In attesa di scoprire chi vincerà il Giro, mi sovviene una riflessione di carattere generale, che sta sopra le lotte del gruppo e le strategie di marketing. Riguarda semplicemente la bicicletta, signora dei nostri sogni e delle nostre giornate migliori. Provo a spiegarmi, con doverosa premessa: non assumo droghe pesanti e bevo il giusto.
Altri forse cercherebbero di dare a questa idea la dignità di un saggio. Non chiedo il copyright, se qualcuno vuole approfondirla mi trova curioso di leggere lo studio. Tutto è legato alla vita e alle diverse età della bicicletta. Facciamoci caso: gli esseri umani cominciano subito ad innamorarsene nei primi anni. Non esiste bambino, di tutte le epoche, che comunque non avverta il richiamo istintivo allo strano gioco della pedalata. Prima il triciclo, poi la prima bici con le rotelle dietro, poi la prima mountain-bike. Fino ai quattordici anni, salvo precoci diserzioni, l’animale uomo ama terribilmente le due ruote.
Purtroppo, al compimento dei quattordici anni, la passione si allarga inesorabilmente alle due ruote con comodo motore. Così, avviene il primo disamore di massa. La bicicletta entra in una fase di difficile abbandono, sempre più relegata in un angolo oscuro dei box, sempre più impolverata e con le gomme a terra. Il declino diviene di anno in anno sempre più triste. L’animale uomo arriva a sedici anni e sgasa su cilindrate maggiori, quindi passa a diciotto e perde la testa per le quattro ruote. È una febbre che assale tutti quanti, un morbo irresistibile che alla fine si accanisce proprio sull’antico legame con la bici, sino a reciderlo.
Per fortuna, non è un morbo letale. Bisogna solo resistere e aspettare. Verso i venticinque-trent’anni, l’animale uomo tende a rinsavire. Lentamente, timidamente, riacquista il lume della ragione e realizza che in fondo pedalare non è poi così stupido: può essere molto utile, può essere molto divertente. Ad uno ad uno, sono in molti a tornare in cantina e a rimettere in sesto il vecchio rottame. In seguito, il riscatto può persino portare a una pratica maniacale e agonistica. In ogni caso, dai trenta anni in su, il fenomeno è chiaro. Dopo i quaranta e dopo i cinquanta, sempre più marcato. Si può giustamente concludere che la bicicletta viva due stagioni felici: l’età acerba, l’età matura. Nel mezzo, proprio non la vogliono.
La mia idea non si ferma qui. Curiosamente, si allarga anche alla progressione geografica della bicicletta. Facciamoci nuovamente caso: la bicicletta va tantissimo nei paesi poveri e nei paesi ricchissimi. In quelli che non hanno ancora conosciuto il benessere, in quelli che ne sono già un po’ sazi. In mezzo, nei Paesi che scoprono i piaceri e le comodità, viene subito scaricata in cantina. Bisogna che questi stessi Paesi di mezzo, andando avanti nei Pil fino all’opulenza, riscoprano improvvisamente tutti i lati positivi e salutistici, ecologici ed economici, della bicicletta. Quando il Paese è adulto, la bicicletta diventa persino moda. Pure troppo.
Tranquilli, non intendo farla lunga. Sono già alle conclusioni del mio breve saggio. Possiamo dire che la bicicletta piace da morire nelle età e nei luoghi acerbi, nelle età e nei luoghi maturi. Nelle età e nei luoghi di mezzo, viene dimenticata. Mi piace pensare che la bicicletta è amata nelle età e nei luoghi dove ancora sono possibili il candore e la poesia.
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