L’ultimo della lista, almeno sino al momento di stampare tuttoBICI, è Rolf Sorensen: anch’egli volto noto dei fenomenali anni Novanta, anch’egli commentatore tv, anch’egli pentito dopo lunghissima meditazione e tantissime bugie. Si faceva di epo e di cortisone, non sa perché non sa per come, sa soltanto che faceva come facevano tutti. Gli spiace, chiede scusa, pace e bene.
Non serviva certo Sorensen - è soltanto un nome in più - per proclamare solennemente che quel recente passato è da buttare in discarica. Non vale niente. O meglio: vale tantissimo perché tutti si dopavano, dunque le classifiche e le gerarchie sono sacrosante. Che tutti, all’epoca, si dopassero, mi sembra ormai fuori discussione. Non siamo più alle sensazioni: siamo alla storia ufficiale.
Cosa serve, ancora? Siamo partiti con il doping di squadra della Festina, poi Campiglio (Pantani distrutto, ma non è che quelli a 49,9 di ematocrito siano da considerare puliti), quindi a posteriori tutti i rei confessi - per rimorso, per necessità, per convenienza - come i Riis, i Sorensen e gli altri che ciclicamente vengono in superficie.
Quando si dice che gli anni Novanta sono di fatto il parco giochi del doping non si sbaglia per eccesso, questa la conclusione. Siamo autorizzati da nomi e fatti concreti. Possibile obiezione: ma non ci sono prove contro tutti. Io dico umilmente che non ci sono soltanto perché i Riis, i Sorensen e tutti gli altri pentiti, in nome di una solidarietà e di un rispetto malintesi, non hanno mai raccontato per filo e per segno i fatti (in tutti i sensi) della loro epoca. Si limitano sempre a caricarsi della proprie colpe, lasciando in pace compagni e colleghi. Ad ogni modo non cambia molto: l’affresco infernale è già abbastanza completo.
Ma gli altri, quelli che non hanno mai confessato? Volendo, potremmo urlare alla Grillo: “Arrendetevi”. Al punto in cui siamo, farebbero bene a dire tutti che i tempi e i modi erano quelli, che per lavorare e sopravvivere bisognava adeguarsi, che senza doping si finiva staccati già al via volante e la carriera saltava. Se non lo fanno, evidentemente hanno i loro motivi. Ma possono stare tranquilli, non se ne facciano un problema: la coscienza è loro, noi estranei non abbiamo il diritto di solleticarla. A noi basta avere ormai un quadro completo dell’epoca.
C erto dobbiamo concedere il beneficio di un dubbio: può davvero darsi che qualcuno di allora abbia corso pulito. Ma a questo punto l’outing - in positivo - si renderebbe ancora più necessario: servirebbe a distinguere, a non fare di tutta l’erba un fascio, a non sparare nel mucchio, operazione sempre odiosa e ingiusta.
L’invito, allora, non è più rivolto ai dopati: molto più interessante ascoltare la testimonianza degli ex a pane e acqua. Io scrivo di ciclismo professionale dal 1988: durante questo periodo, mi è capitata una sola volta di incontrare un ex corridore capace di giurare sulla propria pulizia. Fu talmente sorprendente, per me, che ne scrissi una pagina intera sul mio giornale. Voglio ricordarlo a tutti: è Riccardo Magrini. L’unico che davvero accettò di esporsi - tranquillamente, senza tante commedie - pubblicamente, assumendosi la responsabilità di dire che quando gareggiava non prendeva niente, se non i medicinali di uso comune. Quando gli feci presente che raccontando quelle cose poteva passare per un mezzo eroe, lui mi rispose con il solito sorriso: “Dio bono, e che ci vole: l’è la verità”.
Se qualcuno dell’epoca vuole, io sono qui. Mi metto a disposizione per dare il giusto risalto ad una legittima dichiarazione di onestà. Mi sembra molto giusto restituire l’onore a chi se l’è faticosamente difeso in quel periodo difficile, finendo poi nel calderone del così facevano tutti: se un corridore allora era pulito, va detto. Aspetto copiosi outing. Per chi invece non si farà avanti, è persino ovvio: chiuderemo la pratica “Anni Novanta, tutti dopati” con la nota formula del silenzio-assenso.
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