E se i nostri ciclisti, i ciclisti italiani facessero. al Giro d’Italia o comunque in occasione di una grossa manifestazione, il silenzio-stampa, come i nostri calciatori hanno fatto al Mundial 1982 in Spagna?
Un po’di storia. Trent’anni fa accadde che una certa stampa italiana esagerò nella ricerca del gossip, specialmente in occasione dello stentatissimo avvio dei giocatori azzurri in quella manifestazione, e arrivò ad ipotizzare persino un’amicizia omosessuale fra una coppia di calciatori nostrani. Il citì Bearzot e i suoi ragazzi furono tutti concordi nel demandare al solo capitano Zoff, creatura notoriamente muta, il dialogo quotidiano con i giornalisti. Alla fine gli azzurri diventarono campioni del mondo, vincendo anche contro la stampa italiana e provocando un immane assalto pennaiolo al carro dei vincitori, per trovare posto su di esso.
La differenza fra l’allora e l’adesso è che il silenzio stampa dei ciclisti potrebbe anzi dovrebbe essere deciso non per eccesso di attenzioni, anche morbosucce, al loro lavoro, bensì per sempre più allarmante, voluta, cinica addirittura mancanza di attenzioni. Non basta un Giro d’Italia a fare primavera di stampa. Si pensi a cosa è stata, cioè non è stata, la presenza del ciclismo sulla stampa nostrana in occasione delle grande classiche dette appunto di primavera. Una vergogna, vien facile dire “al volo”. Ma attenzione: la vergogna è di chi trascura, ma anche di chi si lascia trascurare, si fa trascurare.
Premesso che parliamo soprattutto di stampa scritta, ce la sentiamo di dire che sicuramente non esiste, nelle redazioni, un piano anticiclismo. Sicuramente esiste, specie nei giovani giornalisti, una carenza di attenzione verso il mondo della bicicletta (non si può parlare di una disaffezione che presuppone lo spegnimento di una luce che però non è mai stata accesa). Il calcio dà ribalta più illuminata e più facile, dà sfogo (spesso gettonato) sul video, offre trasferte più seducenti come località e meno faticose come ore di lavoro: Nel calcio le immagini vengono a trovarti, nel ciclismo te le devi cercare, specialmente se non ti rassegni alla semplice mediazione televisiva. E poi col calcio si fa carriera, si frequentano i potenti.
Personalissimamente conosciamo un giornalista che ha cominciato col ciclismo ed è diventato direttore di un quotidiano sportivo senza avere mai scritto il resoconto di una partita di calcio, ma è roba di quasi quaranta anni fa, e ammettiamo che adesso una vicenda simile sarebbe impossibile Casomai adesso uno può arrivare alla direzione di un quotidiano sportivo provenendo dal giornalismo della moda, dell’enogastronomia, dello spettacolo, del gossip. Ma del ciclismo proprio no. Perché no.
Ma torniamo all’ipotesi di silenzio-stampa attuato dai ciclisti, Diciamo francamente che esiste il rischio che della cosa non freghi niente a nessuno, o che freghi poco a pochi. Il silenzio sarebbe un boomerang? Un poco sì, è indubbio. Bisognerebbe scegliere bene il momento, quando l’opinione pubblica si sposta ad esempio sui pedalatori per farsi una specie di shampoo alla coscienza, dopo avere esagerato in affettuosità e indulgenze con i calciatori, e dopo essersi finalmente accorta che il calcio è pieno di gaglioffi (eufemismo) in malafede (supereufemismo). E poi certe cose devono essere fatte per la dignità che riverberano, non per l’utilità che possono rappresentare.
Obiezioni molte, su tutte forse questa: gli sponsor si infurierebbero, loro pagano per la visibilità almeno nelle grandi occasioni, e ne perdono una bella fetta, quella legata alle interviste eccetera. La cosa lì per lì sembra davvero potersi mettere sul brutto, però facciamo due considerazioni realistiche: 1) se gli sponsor si arrabbiano, questo vuol dire che gli sponsor esistono e sono attenti, e per il ciclismo slombato e smagrito questa è già una notizia buona, “viva”; 2) gli stessi sponsor potrebbero utilitaristicamente, cinicamente considerare che un silenzio stampa fa audience in tutti sensi più di una intervista di poche righe, di una dichiarazione stupidotta.
Comunque riteniamo che la nostra idea debba essere quantomeno considerata e, bontà vostra, discussa. O qualcun altro ha la soluzione magica per ovviare al declino? O ancora si preferisce il microcabotaggio del vivacchiare mendicando spazio? O molto semplicemente noi siamo dei pazzi?
Guai comunque se l’idea viene ritenuta degna di discussione e si nomina una commissione ad hoc: vero che è cresciuta la lunghezza media della vita, anche in Italia, ma siamo certi che così non arriveremmo alla concretizzazione della proposta. E prima perderemmo del tutto la vista, considerata la difficoltà sempre crescente di rintracciare notizie di ciclismo sui giornali, capaci di frullare in poche righe un Giro del Trentino e un Week End della Ardenne come è accaduto in questa maledetta primavera, andando versi un Giro d’Italia che se parte dalla Danimarca delle favole di Andersen non vuole seriamente andare da nessuna parte seria.
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