Non è un dilemma nuovissimo: meglio pochi ma buoni, oppure più siamo e meglio è, anche se il livello non è eccelso? Si tratta più che altro di un dilemma da festa, o da gita, o da cenone. Ma da un po’ di tempo me lo pongo per un’altra questione, me lo ritrovo ad ogni inizio di stagione, accorgendomi di come ormai il ciclismo italiano sia ridotto a due vere squadre, parlando ovviamente di altissimi livelli.
Siamo - benissimo, per la verità - rappresentati da Liquigas e Lampre. Il resto è tutto un tessuto di squadre più o meno attrezzate, più o meno solide, più o meno serie. Purtroppo, l’organizzazione che si è data l’Uci non lascia molte speranze di salire un giorno al soglio più alto, come succede in altri sport, che prevedono le promozioni sul campo da una serie all’altra. Dobbiamo riconoscerlo: la trasformazione si è rivelata lenta e strisciante, come il cambio delle stagioni su boschi e foreste: puoi guardarle in qualunque momento, ma non noti nulla di strano, poi improvvisamente ti accorgi che tutto è cambiato.
Uguale per il nostro ciclismo: eravamo fermi al gruppone indistinto di diverse squadre presenti in quasi tutte le corse, ricordo quando alcune addirittura sceglievano se andare o meno a certe classiche (pensa te, facevamo pure gli schizzinosi), improvvisamente ci ritroviamo con una ristretta elite di due formazioni e un arcipelago di sottoformazioni che si accontentano di quanto avanza il calendario, cullando la segreta speranza, un giorno, chissà, se magari un grosso sponsor…
Il problema è che siamo davanti ad un circolo vizioso, come più volte tuttoBICI ha denunciato: la squadra giovane e piena di progetti può dannarsi l’anima per convincere un grande sponsor a consentirle il salto di qualità (convincendo a sua volta la commissione Uci di essere abbastanza onesta, forte, soprattutto danarosa), ma mi spieghino gli ideologi di questo sistema come fa un grande sponsor ad affiancare una squadra emergente se questa è condannata alle frattaglie del calendario.
Certo anche nel calcio succede che non tutte le squadre giochino in serie A. Ma succede pure che tutti gli anni tre squadre salgano dalla B e tre sloggino per fare posto in serie A. Chiedo, molto ingenuamente: perché non lasciare questo margine anche nel ciclismo, al limite ristretto persino ad una sola promozione sul campo, diciamo come bellissimo e doveroso riconoscimento al valore unicamente sportivo? La riposta me l’hanno già data più volte in queste ultime stagioni, come Enzo Iannacci: perché no. Punto e basta.
Così, mentre fior di corridori si ritroveranno frustrati, lontani dalle corse vere e dagli avversari veri, noi tutti ci ritroviamo davanti al dilemma iniziale: meglio pochi ma buoni, oppure più siamo e meglio è? Dal nostro punto di vista, di noi tifosi, meglio adesso con due squadre nella superserie mondiale, oppure meglio allora, quando avevamo squadre e corridori sparsi ovunque?
La mia soluzione ideale è più o meno già espressa: meglio pochi, buoni e ben organizzati, ma con la possibilità che qualcuno con i requisiti giusti possa aggiungersi agevolmente. Dovendo invece scegliere tra il sistema bloccato di adesso e l’affollamento un po’ sgarrupato di prima, sinceramente alla fine cedo: scelgo adesso. Sono per squadre vere, con corridori veri, in corse vere. Della miriade di squadrette farlocche e truffaldine, con duecento sponsor paesani sparsi sulle maglie arlecchino, con gli stipendi arretrati da pagare, con i contributi da versare, con le fatture false, con i corridori tesserati non per meriti ma per sponsor in dote, ecco, di questo sistema non rimpiango proprio nulla. È una brutta cosa, mi tocca dare ragione agli affaristi del marketing Uci, ma non ho altra scelta. Spero solo che Lampre e Liquigas non si disamorino mai. Soprattutto, che non li faccia disamorare il solito idiota dalla siringa facile.
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