Gatti & Misfatti
Un quarto d'ota di Mondiale

di Cristiano Gatti

Ho sempre creduto nel campionato del mondo in prova unica. L’ho sempre difeso per il fascino unico della sfida secca e senza rimedi, consapevole che raramente il vincitore sia il campione più forte del pianeta Ter­ra, come poi vorrebbe significare lungo l’arco dei dodici mesi quella maglia così particolare, ma convinto che in ogni caso sia una lotteria talmente prestigiosa da scatenare negli atleti la loro parte migliore. Lo sappiamo tutti che il vero numero uno in assoluto, a livello globale, è il vin­citore del Tour. Eppure il Mon­diale conserva nella sua stessa es­senza aleatoria il se­greto di tanto interesse.

Dopo essermi schierato sul piano ideale, sperando che davvero il campionato del mondo resti per sempre così com’è, respingendo con perdite i periodici tentativi di cambiare la formule, non posso però evitare questa volta di manifestare una pesante critica. Non al Mondiale, ma al Mondiale 2011, o comunque a quei Mondia­li, soprattutto in epoca recente, che gli somigliano molto. Quale Mon­dia­le? Diamine, un Mondiale che vede Cavendish favorito assoluto, che ve­de l’Italia senza i Basso, i Nibali, i Cunego, gli Scarponi, tut­ta una na­zio­ne da mesi in attesa di sapere se finalmente Bennati sarà in grado di reggere la fascia di capitano. Via, davvero possiamo perdere il sonno per un Mondiale così?

Lo so che molti puristi già espri­meranno il loro di­sprezzo, sostenendo che anche un Mondiale per sprinter, ogni tanto, serve a riequilibrare la lunga serie dei Mondiali a loro proibiti per la severità dei percorsi. Dunque, viva i tracciati piatti e veloci che ogni qualche anno premiano le virtù degli spericolati uomini-jet. Vo­glia­mo forse dimenti­care quanto ci è piaciuto il Mon­diale di Zolder, con quella schiacciante prova di squadra azzurra che scodella ai duecento me­tri finali la grande vittoria sul piatto dell’irresistibile Cipol­lini?

Echi lo dimentica. Però at­ten­zione: nessuno dimentica i propri trionfi, ovunque essi avvengano, ma nessuno può neppure dimenticare la noia di queste set­te ore in attesa dei venti secondi fi­nali. Ne faccio una questione di spet­tacolo, prima di tutto: quando il percorso è facile, lo schema fisso diventa quello dei velocisti che tengono tutto legato per salvare la so­luzione allo sprint. Hanno voglia gli altri, poveracci loro, di cercare so­luzioni a sorpresa, coraggiose, da lontano. Fanno la figura patetica dei kamikaze, tutto sommato pure un po’ pirla. Non a caso, ultimamente i cittì ta­gliano la testa al toro ancora pri­ma, lasciando direttamente a casa i campioni delle fughe e i super fondisti.

Una questione di spettacolo, ne faccio. Ma non solo. Ce n’è una squisitamente tecnica, forse ancora più importante: sappiamo tutti che per definizione la corsa di un giorno solo non sempre - quasi mai - riesce a premiare dav­vero il numero uno del mo­mento. Fosse così, sapremmo già per esempio che il duello 2011 sa­rebbe un discorso chiuso tra Gil­bert e Evans. Sappiamo di questo peccato originale, che il Mon­diale si porta dietro come fascino e come condanna: non sempre, quasi mai, vince davvero il più forte del mon­do. Pe­rò c’è un però: bisognerebbe sforzarsi di trovare un vincitore che gli somigli molto. Cioè un atleta che comunque, quel giorno, vinca la distanza, la fatica, gli ag­guati avversari, dimostrando d’essere un campione completo, in senso compiuto. Certo che Conta­dor può vincere sei grandi giri in pochi anni, senza per questo riuscire a vincere altrettanto facilmente un Mondia­le. Fa parte del gioco. Lo accettiamo. Ma c’è un limite a tutto: il prossimo Mon­dia­le, con tutto il rispetto per Ca­ven­dish, che fa benissimo il suo mestiere di sprinter, può somigliare alla Mi­lano-Vignola, non certo a una se­vera prova di resistenza. A quel pun­to, dovendo puntare sulla velocità, mi gusto molto di più, e la considero molto più “iridata”, la Mi­la­no-Sanremo. O persino la Parigi-Tours…

Mi si dirà: bravo, e come fai ad organizzare un Mon­diale duro su quel campo da biliardo che sono ad esempio i Paesi Bassi? Non lo so. Non è a me che devono chiederlo. Ricordo comunque che persino in Olanda, quando vogliono, una corsa maschia riescono ad inventarsela, vedi l’Amstel, vedi lo stesso Mondiale di Valkenburg. In fondo non serve molto: qualche strappo serio messo nei punti giusti. La verità è che il problema non nasce dalla conformazione idrogeologica delle nazioni ospitanti, ma dalla conformazione dei cervelli e degli interessi economici di chi decide, ultimamente sempre più convinti del fascino di questi Mondiali a ro­tazione, una volta per fondisti, una volta per velocisti, una volta per neri, una volta per rossi, e così via, scucendo denaro da tutte le parti.

La situazione è questa, bisogna solo subirla. Da parte mia, posso solo prendere personalissime precauzioni. Se a qualcuno interessa, propongo una velocissima - come uno sprint - guida pratica al prossimo Mondia­le: sveglia puntata sulle 17 di do­menica pomeriggio. Prima, grigliate, gite fuoriporta, qualche rapidissimo collegamento radio o tv per sapere che nessuno sia caduto e che nessuno dei nostri si sia ritirato. Poi, allo squillo della sveglia, velocissimi - come sprinter - in poltrona: il quarto d’ora finale è imperdibile. An­che la volata ha il suo fascino irresistibile. Però per favore non chiamiamolo più Mondiale di un giorno: è il Mondiale di un quarto d’ora. Per me, già da un po’, il vero Mondiale di un giorno si corre in due giorni: Lie­gi-Ba­stogne-Liegi e Giro di Lom­bardia.
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