Angelo Zomegnan non cucinerà più il Giro d’Italia. Ha lasciato da così poco, eppure non posso negarlo: già mi manca. La solita premessa è talmente solita da diventare quasi superflua: non è una tragedia, nessuno è insostituibile, eventualmente farsi un giro nei cimiteri per verificare quanti insostituibili riposino in pace, tutti regolarmente sostituiti. Anche in questo caso: i patron passano, il Giro resta. Per fortuna. Però attenzione: bisogna anche vedere come resta. Come prosegue, come cambia, come migliora o peggiora. Ma su questo avremo tutto il tempo per ragionare. Qui, adesso, sento il bisogno di esprimere due parole sull’uomo che se ne va, più o meno dimissionario, più o meno dimissionato.
Nemmeno sui dettagli del divorzio intendo sprecare fatica. Evidentemente tra Zomegnan e il suo padrone, la “Rcs”, si è creata una frattura insanabile. Per quanto mi riguarda, da osservatore esterno e da sfegatato ultrà del Giro, dico solo una cosa: mi spiace. Non ci voleva. È comunque una grossa perdita.
Lo sa lui per primo: Zomegnan non è amatissimo da tutti, nell’ambiente. C’è in giro un sacco di gente che segretamente festeggia. Gli imputano questo suo carattere ispido, ai limiti dell’arroganza, senza carinerie e senza vaselina. Certamente qualcosa di vero c’è: Angelone è ruvido come la pietra, raramente si lascia andare, quasi mai si fa prendere dai sentimenti comuni dell’emozione e della commozione. È un uomo del fare, del brigare, del decidere. Da questo punto di vista, è il signore degli organizzatori. Tutto gli si può imputare, non di essere un indeciso. Un temporeggiatore. Uno scaricatore di responsabilità. Questo no, nessuno glielo può rinfacciare.
Adesso che non c’è più, in senso buono, a me manca soprattutto il suo pregio più grande, quello che gli ho sempre ammirato e riconosciuto: ci mette la faccia. Sì, Zomegnan non sarà un mostro di simpatia e di umanità, ma se i mostri di simpatia e di umanità sono quei damerini ambigui e melliflui, opportunisti e servili, calcolatori e falsi, allora sempre viva gli Zomegnan. Angelo è andato avanti in tutti questi anni tenendo la barra dritta, senza curarsi troppo di piacere e compiacere, esponendosi in prima persona con le proprie scelte e le proprie idee. Magari non tutte giuste, come succede a chiunque lavori 16 ore al giorno: ma sempre gestite direttamente, senza ambiguità e zone d’ombra, fino a risponderne anche nei momenti più scomodi. I risultati di questa gestione sono sotto gli occhi di tutti: il Giro è riemerso negli ultimi anni dalla sua dimensione strapaesana, riacquistando gradualmente importanza, prestigio, autorevolezza e soprattutto rispetto, perché tutti adesso sanno che qui in Italia si corre davvero la corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo. E scusate se è poco.
Non so se quelli che raccoglieranno l’eredità sapranno fare subito di meglio. Ho i miei seri dubbi. Li vedremo alla prova. Ovviamente, me lo auguro con tutto il cuore. Ma al momento riesco a vedere più la perdita del miglioramento, più il passo indietro del passo avanti. E non lo dico certo da maggiordomo o sottopancia di Zom. Personalmente, con lui ho avuto anche tante discussioni neanche tanto tenere. Ricordo già tanti anni fa, quando ancora era un inviato della Gazzetta: ci ritrovammo sul palco Rai con il vecchio Adriano De Zan per i commenti del dopocorsa. Io chiesi perché mai l’organizzazione non si prendesse la briga di collocare le tappe più belle nei week-end, quando la gente è a casa e può seguire meglio lo spettacolo, Zom difese le scelte rosa e mi accusò di esercitare lo sport nazionale di maggio, cioè criticare il Giro tanto per criticare. E pazienza se dopo poche edizioni tutti i tapponi più eccitanti sono sempre finiti di sabato e domenica: sono solo coincidenze.
Più recentemente, ricordo le feroci divisioni sul Giro 2009, quando lo battezzai Mago Zom per essere riuscito a far sparire con un colpo di bacchetta magica tutte le più belle montagne d’Italia, organizzando un Giro con la Cima Coppi nelle Marche. Un anno sì e un anno no gliel’ho menata per questa sua strana insensibilità al mito inimitabile, vero made in Italy, del Mortirolo. Un’altra volta ancora gli rimproverai di aver cancellato la prima ascesa al Plan de Corones, che secondo me si poteva fare, nonostante il maltempo...
Sono già ricordi seppiati. Tante occasioni di schietta e onesta discussione, pure di polemica feroce, però sempre nel pieno rispetto dei ruoli e delle persone. Certo, so per primo che essere preso per il naso un mese intero come Mago Zom non può far piacere, e difatti Zomegnan non ha fatto nulla per nascondermelo, come si fa tra persone serie e tra gente orgogliosa. Ma proprio qui sta il senso del rimpianto: mentre moltitudini di intriganti ruffiani esultano nella penombra, e mentre in casa Rai brindano a champagne, io sono qui a dire che il Giro d’Italia mancherà certo ad Angelo Zomegnan, ma forse Angelo Zomegnan mancherà ancora di più al Giro d’Italia. Glielo voglio riconoscere pubblicamente, adesso che non è più il capo supremo della carovana rosa. Adesso che non può più suonare come piaggeria o stupido calcolo di convenienza. Sì, lo ammetto: se n’è appena andato e già mi manca. Simpatico o antipatico che fosse, più del patron mi manca l’uomo a busto eretto.
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