Ci sono corridori che non abbiamo sentito francamente vicini, sia pure campioni, che forse abbiamo sentito addirittura lontani, dalle nostre tonalità ciclistiche. Succede. Questione di feeling, di disposizione emotiva, di atteggiamento... Con disarmante serenità, per quanto tale distinguo possa valere, in una esposizione che è totalmente personale, l’ottimo Moreno Argentin, che ha appena varcato la soglia del mezzo secolo, non ce ne voglia, è stato per noi uno di questi. D’altronde, il gioco delle simpatie, o meno, resta per gli episodi dello sport - se non pure per i giorni della vita - splendidamente immotivato. Meravigliosamente irrazionale.
Un corteo di classiche da standing ovation: 4 volte la Liegi, 3 volte la Freccia Vallone, un Fiandre, un Lombardia. E poi un Campionato del Mondo a Colorado Springs (’86), due altri Mondiali sfiorati, contro Zoetemelk, nel 1985 e Roche, nell’87...
Eppure succede che di quell’Argentin stravincente solo in un giorno di dicembre, un sabato ultimo, si riaffermasse perentoria in noi - per i cortocircuiti inimmaginabili del cuore - la straordinaria grandezza.
Se la dimensione di un campione, diciamo, va confrontata sempre sulla reazione e sul comportamento dei suoi avversari, ebbene, in un sabato di dicembre, sul Lago di Averno - Campi Flegrei, uno strepitoso struggente panorama battuto dal vento e dalla solitudine e popolato dalle piccole anatre a ruota delle madri che chiamavano gli assenti -, Argentin, uomo del Nord, ci è tornato miracolosamente in mente. In una vertigine di ammirazione.
Sul Lago di Averno, basolato a larghe pietre vulcanico, io che da solo tornavo a fermarmi sul suo bordo, cercassi quasi i miei affetti personali, si concludevano spesso i Cicloquartieri, brevi scorribande domenicali fra Napoli e l’hinterland degli anni ’80, con un curioso incrocio fra il morbido cicloturismo e la grinta cicloamatoriale.
C’era, di sicuro, sempre, un ultimo tratto da vivere in chiave agonistica. E questo sabato di dicembre mi veniva a mente lo sprint finale di una volta, mentre l’atmosfera reclamava l’incanto di una dispersa Fata del Lago. Una volata, mi sentivo in grande forma quella volta, lanciata ad una distanza inaccettabile, sull’asfalto di strada, e naturalmente frenata poi dal ruvido basolato del lungolago... Già un rush, come un sogno, infranto dalla realtà.
Ricordavo gli altri battistrada che mi superavano a doppia velocità, ed io che mi rialzavo. Decimo, o ventesimo, che senso più poteva avere, e sì, sconfitto come ero stato. E di allora, però, mi tornava vivo un successivo gesto particolare. Quello del vincitore, un corridore robusto, bruno, maglia bianca e pantaloncini neri, che sarebbe tornato indietro a cercarmi, io fermo contro un albero, e mi avrebbe stretto la mano, dicendomi: “guagliò, sei andato forte, però...”.
Argentin, sul Lago di Averno non c’era e non c’è mai stato. Eppure questo modesto ricordo personale ci appare la sponda più giusta, la chiave di lettura esemplare - il Rispetto dell’Avversario - per l’applauso maggiore che ad Argentin sia stato un giorno tributato. Il gesto, diciamo, del suo sconfitto prediletto, il belga Claude Criquelion, puntualmente vittima, per un cronico difetto di velocità o di scaltrezza, di Moreno Argentin, sua perfetta controfigura sulle côtes, sul traguardo della Liegi. Il gesto tenerissimo di Criquelion, alla sua ultima Liegi, nel ’91. Ancora un testa a testa, sì, come nell’85 o nell’87... Ma questa volta, più disperatamente: l’ultima Liegi. Ed il nostro Argentin che di giustezza, implacabile, lo supera ancora. E lui, il belga che dopo l’arrivo no, non maledice le stelle, non si dispera, ma va a dare invece una pacca sulle spalla ad Argentin, il suo inesorabile mattatore. Gli fa i complimenti. “Chapeau”.
E gli rende così quell’onore eccelso che solo gli uomini di sport, innanzitutto quelli del ciclismo, sanno misurare e concedere. E che rimane intatto nel tempo. E per sempre giovane. Come fosse il magico innamoramento di un lago.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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