L’etica, questa sconosciuta. S’è avvertita l’urgenza di organizzare un convegno (un altro, l’ennesimo) anche tempo fa, nelle ore del “Lombardia”, per studiarla e invocarla. Ritrovo al cospetto della Madonna del Ghisallo, quasi a chiederne l’intervento e a pietirne l’intercessione. Il mondo del ciclismo in seduta di autocoscienza, per arrivare alla storica e geniale conclusione: bella roba, quest’etica. Ce ne vorrebbe di più. Allora sì che questo sport ripartirebbe di slancio. Però, che convegno importantissimo.
Anche se parlo senza essere invitato da nessuno, non voglio perdere l’occasione per dire quello che penso io sull’etica. Sintetizzando: mi ha rotto le scatole. Non tanto l’etica: loro, i cacciatori di etica. Gli uomini marketing dell’etica. I sacerdoti dell’etica. I guru dell’etica. I maestrini dell’etica. Sarò anche un po’ ingeneroso, perché comunque il solo richiamo a un senso più alto e più leale dello sport meriterebbe un applauso a prescindere. Ma cosa ci posso fare: troppe volte, in tutti questi anni, abbiamo tirato in ballo l’etica a sproposito, profanandola poi immancabilmente con i nostri comportamenti concreti e quotidiani. I risultati li conosciamo. Basta guardarci in giro. Siamo sempre qui a piangere sui campioni bruciati e sulle loro bellissime difese, a base di bistecchine e di shampoo antiforfora…
Sarà che questo è il periodo di Natale e delle riflessioni più nobili. Prendiamoci almeno un impegno minimo: basta convegni sull’etica. Basta codici etici (chi dimentica: lo inventarono qualche stagione fa, ancora risuona come la barzelletta del secolo, con tutta quella brava gente pescata con ematocrito a ottomila poche settimane dopo averlo sottoscritto). Basta ideali eccessivi. Basta chiacchiere. L’etica si pratica, naturalmente e istintivamente. Non si evoca con riti woo-doo, o con pater-ave-gloria ai piedi della Santa madre vergine del Ghisallo. L’etica, soprattutto, non può essere imposta per contratto o per convegno. L’etica è un attrezzo di uso strepitosamente semplice: si accende una volta, in una vita, e non si spegne più.
Sognando che un giorno tutti vivano spontaneamente un ciclismo etico, conviene volare molto bassi e organizzare convegni molto più pratici e molto meno ambiziosi. Io sto invecchiando, come il tenente Drogo nel Deserto dei tartari, in attesa che qualcuno si decida a organizzare un convegno con questo titolo: “Visto come hanno ridotto il ciclismo, li vogliamo radiare o no?”. Se sembra troppo articolato, ho pronto anche un titolo semplificato: “Radiazione, perché no?”.
In periodo invernale c’è il clima adatto per pensare. Non capisco perché non si possa dedicare un paio di giorni a questo argomento, che a me sembra l’unico in grado di mettere una pezza alla gravissima situazione. Sempre in attesa che l’etica trionfi in tutti i cuori. Ma temo purtroppo che neppure stavolta i tartari si presenteranno all’orizzonte. Neppure stavolta il convegno lo faranno.
La gente, nel ciclismo, è troppo impegnata sull’etica, a pestare aria nel mortaio, girando ben alla larga dalle questioni terrene. Volano talmente alto, nel ciclismo, da non riuscire più a vedere quel che avviene giù in basso, molto in basso, a livello del fango. Difatti, escono dai loro convegni con le conclusioni più epocali: serve più etica, dobbiamo riscoprire l’etica. Se poi c’è sempre il sole e nessun bambino muore più di fame, abbiamo praticamente risolto l’intera questione. Sono fenomenali.
Io ammiro e mi inchino, restando fermo al livello pedestre di una modestissima convinzione: non so perché, ma ho come l’impressione che cominciando a radiarne qualcuno, improvvisamente anche l’etica comincerebbe a rifiorire.
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