Scripta manent
Con un D'Amore in più. E un Savio sempre

di Gian Paolo Porreca

Ci sono notizie che in qualche modo non ti aspetti, non aspetti. E riescono poi ad evocare an­cora atmosfere ed emozioni.
Sì, da non crederci, da non crederci più, ma il ritorno di Crescenzo D’Amore l’ex en­fant prodige napoletano che rientra nel plotone, lui iridato juniores su strada nel ’97 a San Sebastian, dopo aver vissuto una parabola discontinua nel ciclismo professionistico e aver deciso, dopo so­lo otto anni di corse, un com­miato troppo anticipato, può suscitare tutto questo.

D’Amore, certo, lo ricordiamo bambino sgaiattolare nei Cicloquartieri, passeggiate amatoriali nelle domeniche di primavera della nostra cit­tà, al mozzo del padre Fran­co: una di quelle im­magini dei figli che restano im­presse negli occhi e nella sen­sibilità dei padri… E di si­curo, lo ve­diamo ancor più nitidamente, consapevoli stavolta tutti e due, noi e Cre­scen­zo, sul velo­dro­mo della Arenac­cia, quando era attiva ancora quella pista in cemento, a dominare un plotone di giovani leve che si cimentavano nell’esercizio in fondo festoso, in fondo scoppiettante della pista. Lui, D’A­mo­re, il Number One, che fu il pupillo ultimo di una santità non blasfema del ciclismo napoletano, figura em­blematica e non ripetibile di un ciclismo eroico, quel “don” Vincenzo Milano, novantenne dagli occhi chiari: uno che Coppi lo aveva tenuto per mano…
Il ritorno di D’Amore, campione del mondo juniores a San Sebastian 1997, è così per noi innanzitutto il re­cu­pero di un velocista che vie­ne - come fu per Saronni, ed a ben vedere per lo stesso Ca­vendish…- dalla leggiadria del ciclismo su pista, lui che nel ’96 aveva conquistato l’argento nel chilometro da fermo ai Mondiali di No­vo Mesto per juniores, dietro un francese, Gerard, del qua­le avremmo perso presto le tracce.

D’Amore, un ragaz­zo del ’79, che ri­prova, è ancora per noi, che abbiamo qualche stagione in più, saranno state primavere saranno stati autunni, la conferma più edificante che nella vita, sia quel­la del lavoro sia quella dei sentimenti, come nello sport, non bisogna mai rassegnarsi agli addii. Vivamente raccomandati, gli “arrivederci”…
In sella, poi, a quel suo co­gnome così allusivo, “D’A­mo­re”, l’abrogazione del ri­goroso “addio” e l’incenti­va­zio­ne del garbato “arrivederci”, invitano quasi, e non per un banale gioco di parole, ad una interpretazione più positiva della esistenza.
E Crescenzo D’Amore risveglierà, intanto, al di là di que­sta lettura filologica tra le righe, speriamo, con la sua figura giovane e l’aplomb di un campione già fasciato dell’iride, quella tensione ciclistica che nella Campania si è francamente assopita, dopo la bella avventura di Com­mes­so e Figueras, e nonostante la militanza attiva di atleti come Muto, D’Andrea, Illiano, Cesaro, Lucciola, Gial­lorenzo… Anche se i tem­pi sono diversi e l’at­ten­zione dei giovani al ciclismo, inutile negarlo, sempre troppo tiepida.

Ma intanto, conti­nuan­do nel­la no­stra parallela verifica dei sentimenti, rammentiamo a D’Amore, ragazzo del ’79 che correrà nella An­dro­ni Giocattoli di Gianni Sa­vio, come una ulteriore sfumatura speciale di emozione proprio a noi la regali.
A noi, che nel ’79, ragazzi dell’età che ha D’Amore oggi, noi che dal ’76 aveva­mo deciso di assegnare, a no­stre totali spese, ad ogni Gi­ro d’Italia, un Premio ad un atleta, che si fosse distinto per un gesto particolare, nel ricordo del corridore spagnolo Santiesteban, tragicamente scomparso nel Giro appunto del ’76.
Nel ’79, dunque, e non suoni stentato il riferimento, il premio - centomila lire di allora... - volemmo attribuirlo ad un belga umile, Urbain Van der Flaas, per qualcosa di bel­lo, forse: o solo per sim­pa­tia, non ricordiamo... Ab­biamo ancora la lettera di Tor­riani, a notificarlo... Un fiammingo, un gregario della Carlos-Galli-Castelli, diretta in quel Giro dallo stesso ap­passionato Gianni Savio di oggi.

Non sappiamo se ci sia, e do­ve sia Van der Flaas oggi, ma ci fa piacere, in scia a questa nota così intima, che ci sia uno co­me Gianni Savio an­cora. Ad assicurare la perseveranza di uno sport discreto, e a misura di uomini. Ed a dare chance ad un ciclismo e ad un D’Amore che sappiano di buon ritorno. E non si limitino a quel nostro sempre grato, e per questa rubrica sottoscritto per delega pure di Van der Flaas, devoto ricordo.


Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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