C’è speranza. Il ciclismo non sta benissimo, ma c’è speranza. Non lo scrivo per contraddire l’inchiesta sulla crisi che tuttoBICI sta conducendo con intelligenza, senza disfattismi e però anche senza stupide facilonerie. Da realista ascendente pessimista, lo dico per aggiungere qualcosa che comunque ci induca a resistere, a combattere e a guardare avanti. Nonostante tutto.
Partirei dalla crisi degli sponsor. È vero, si fa una fatica mortale a convincerli. Del resto, cosa dovrebbero fare, buttarsi a corpo morto su uno sport che per anni li ha sputtanati con figuracce solenni, trascinandoli nel fango della truffa e della menzogna? È già moltissimo che qualcuno abbia resistito. Ed è un vero miracolo che addirittura qualcuno stia pensando di cominciare, o di ri-cominciare. Cito la Geox, ormai certa, e voglio citare con slancio sentimentale anche la Mapei, cui sono ancora grato per aver portato in questo sport un esempio di organizzazione e di serietà, prima di fuggire per manifesto disgusto. Mi lasciano sperare nel ritorno le continue dichiarazioni d’amore di Giorgio Squinzi (parentesi: condivido pienamente la sua idea di affidarsi a Damiani e Guercilena, due personaggi - due persone - che per competenza e stile fanno solo bene a questo sport. Fosse per me, Damiani l’avrei visto benissimo anche ct della nazionale).
In ogni caso: c’è speranza. C’è speranza che si chiuda l’era di tante sponsorizzazioni mordi e fuggi, dettate soltanto da interessi quanto meno equivoci (sono maligno se cito l’allegro giro delle fatture?), o da semplici slanci megalomani di questo o quel salumiere. Si sta arrivando a poche squadre, ma buone, ma serie, ma strutturate. Si esce dalla casbah, piena di bancarelle più o meno colorate, per entrare in un nuovo mercato di boutique. Già il modello Liquigas, che ripercorre e perpetua il modello-Mapei, tiene viva l’idea. Non è moltissimo, ma traccia la strada. Indietro non si torna. Si può solo andare avanti. Ed è questo che mi dà speranza. La speranza che questo ambiente, per troppo tempo compiaciuto dei suoi maneggioni e dei suoi faccendieri, abbia definitivamente compreso quanto sia utile e conveniente la serietà. E vediamo di non confonderci: questo non significa cadere subito in un ciclismo freddo e calcolatore, cinico e disumano. Non c’entra nulla. La serietà si coniuga benissimo con l’umanità. Non sono alternativi: possono benissimo diventare complementari.
Un altro dettaglio su cui dobbiamo capirci: non è necessariamente la grande dimensione a determinare la rispettabilità di una squadra. Il ciclismo sta crescendo anche nelle sue realtà più piccole. Penso alla premiata ditta Colnago-Reverberi, che ha sposato l’idea molto originale di una squadra giovane e tutta italiana. A me ricorda molto l’Atalanta, con il suo glorioso settore giovanile e la sua dignità di regina delle provinciali (ora in B, ma fa parte del gioco e delle dimensioni). Sempre nel settore medio-piccolo, voglio riconoscere pubblicamente gli sforzi operati anche da Gianni Savio, che sta tentando di tutto per riposizionarsi in questi tempi più selettivi. Ovviamente non ho dimenticato la Lampre, gruppo a metà strada tra le piccole e le grandi: soltanto, mi sembra in una fase di transizione. Quanto prima capiremo dove stia andando a parare.
Già sento in lontananza i primi mormorii: tutta qui, la speranza? No, non è tutta qui. L’autorevolezza degli sponsor, vecchi e nuovi, è di primaria importanza. Ma ci sono altri motivi. Almeno, io li vedo. C’è sempre questo fenomenale boom di praticanti a tenere alta la speranza che la passione comunque non morirà mai. E non è poco. Ma poi altre cosette. Che Zomegnan lasci fuori Riccò dal Giro, per esempio, è un segnale di speranza. Non perché Riccò debba espiare in eterno (se davvero si riabilita con una condotta decorosa, al prossimo Giro ci può stare): semplicemente, è un segnale di speranza perché dimostra che l’ambiente riesce finalmente a privilegiare il prestigio e la reputazione rispetto al botteghino, guardando oltre il proprio naso, considerando molto più importante il prodotto rispetto a qualche tifoso in più per le strade di Modena. Una volta non era così: perché nulla venga dimenticato, ricordo come lo stesso Zomegnan non esitò a lasciare in corsa un Mazzoleni in odore d’inchieste, qualche Giro fa, ritrovandoselo poi sul podio, ma un podio che poi finì inevitabilmente in vacca.
C’è speranza perché il passaporto biologico comunque fa da deterrente. C’è speranza perché finalmente le case farmaceutiche siringheranno nei prodotti le molecole “traccianti”, così da smascherarli subito ai controlli antidoping. C’è speranza perché le stesse case farmaceutiche avvertiranno prontamente la Wada quando immetteranno sul mercato un nuovo ritrovato. C’è speranza perché bene o male, prima o poi, più male che bene, più poi che prima, comunque Valverde ce lo siamo levato dalle scatole…
Lo so che sopravvivono cocciutamente anche tantissimi motivi per non sperare affatto. Ma una volta esistevano solo questi. Adesso il clima è un po’ diverso. Direi semplicemente questo: tanti segnali ci dicono che forse, e al momento sottolineo tre volte forse, il ciclismo ha scoperto come la serietà non sia un virus letale, dal quale fuggire ululando. Ma anzi un’amica fedele, umile, silenziosa, capace però di portare lontano. Può darsi che col tempo tutti si affezionino davvero, e che nessuno più rinunci a questa amicizia. Sono troppo ottimista? Se c’è una cosa che proprio non sopporto è che mi diano dell’ottimista.
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