Scripta manent
Quale futuro per il Sud?

di Gian Paolo Porreca

Caro Presidente Di Roc­co, ci permettiamo di uti­lizzare questa pagina di credito, che tuttoBICI con­tinua a riservarci, per ri­vol­gerle una ri­chiesta di in­ter­vento in qualche modo for­male.
Caro Presidente, abbiamo ancora vivo l’entusiasmo e il senso della complicità del no­stro ultimo incontro, sul Ve­suvio, al Giro d’Italia. Quel­la giornata, incorniciata da una folla plaudente e da uno spettacolo naturale in­comparabile, fu una vetrina sontuosa di grande ciclismo e di Grande Italia. Offerto, a prezzi di cuore e di affe­zio­ne, dal Sud.

Ed è invece di queste settimane, purtroppo, che è stata soppressa l’edizione 2009, la numero 75 della sua storia, del Giro del Lazio, una corsa ancora fregiata della nobile sigla H.C., hors catégorie, in pro­gramma il 4 ottobre.
E contestualmente, su un gra­dino di rilievo certo mi­nore, ma pur tuttavia nel se­gno di un avverso denominatore comune, ci risulta ancora incerta la sorte di una clas­sica del ciclocross italia­no, quel Borgocross di Ca­ser­­tavecchia, secondo per anzianità nazionale al solo cross di Scorzè, che non si è disputato nell’inverno scorso “per motivi economici” e che corre il rischio concreto di perdere la sua annualità, qualora non lo si programmi nei mesi autunnali a venire.
Il Lazio e i suoi (quasi) tre-quarti di secolo e di gloria, con le immagini inossidabili di De Vlaeminck e Moser sul pavè dell’Appia antica, da un
lato, e il Borgocross d’essai, con i suoi laboriosi artigiani del fango, dall’altro, si fon­dono in un unico punto di do­manda che alla sua risposta autorevole affidiamo.

Quale futuro per il ci­clismo del Centro-Sud? Quale propo­si­to per non de­luderlo oltre?
Quale chance per una platea di appassionati che vedono sempre più ammainate le lo­ro storie di ciclismo locale e regionale? Via il Giro del La­zio, come il Giro della Cam­pa­nia, che ormai è de­pen­na­to anche dalla memoria bre­ve degli almanacchi, via la Pu­glia, via la Sicilia, ridimensionato il Giro della Calabria a tappe ad una giornata sola, tanto per non perire....
Quale possibilità ideale, an­cora di più, per i ragazzi del Sud che diventano professionisti, di correre un giorno sul­le proprie strade ? E lo di­ciamo senza retorica o sdol­ci­natura, pensando nel no­stro ambito ad ogni campano che si affaccia nel ciclismo maggiore, e stavolta il riferimento immediato va a Fabrizio Lucciola, come ieri a Muto o a D’Andrea o a Gial­lorenzo: giovani tutti che l’emozione di pedalare da “pro” sulle vie di casa per il momento la realizzano solo per fiction, solo in allenamento.

Certo, quest’anno è tornato il Giro di Sar­degna. Certo, c’è in Basilicata un valido Giro per juniores, c’è un Pro­getto Soli­dale che mira ad in­cen­tivare i talenti delle regioni ciclisticamente meno evo­lu­te, e il Velodromo di Mar­cia­nise ha ospitato con successo i Campionati ita­lia­ni gio­va­nili su pista, e a Gru­mo Ne­vano è finito il Giro rosa... Certo.
Ma la sensazione è che queste siano eccezioni, sia pure lodevoli. E che la regola sia invece quella “altra” lì, la ne­gativa. Quella che abolisce Lazio e Campania, Puglia e Sicilia, quella che ha rimosso la “Papà Espedito”... Quella di una Italia sempre più criticamente a due velocità ciclistiche. Ma che ha una sola Federazione.

Caro Presidente, quel mattino di maggio, sul Vesuvio, ci sem­brava che al Sud ci fosse il ciclismo migliore. Forse per illusione, forse perchè nu­triamo una profonda, an­che se leale, miopia municipale.
E così, ci consenta, ogni vol­ta che dai nostri territori vie­ne sottratta una speranza di ciclismo - sia pure quello dei nostri giorni perplessi -, e parliamo così delle corse dei professionisti come di quelle degli under 23, ci sembra venga sottratta una speranza di civiltà.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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