A quanto pare, siamo a posto. Dopo un decennio di sfaceli, gli alti dirigenti del ciclismo hanno trovato il toccasana per disinfestare e rilanciare l’ambiente. Nel 2008, anno zero dell’era pulita, gli atleti della bicicletta dovranno circolare con il passaporto biologico, questo documento che comproverà la provenienza, la vita, i valori dell’atleta stesso. Io a questo punto avrei optato direttamente per un’etichetta appiccicata in fronte, come quelle dei vini Doc, ma effettivamente viene un po’ scomodo sotto la doccia. Facciamocene una ragione: passaporto dev’essere, passaporto sarà.
Che dire: spero vivissimamente che la nuova idea, la duecentomillesima escogitata contro il doping, serva davvero a qualcosa. Nessun pregiudizio, stiamo a vedere. Però meglio aggiungere subito qualche però. Il primo è quello già sollevato dagli osservatori più accorti, in primo luogo quelli di “Tuttobiciweb”, ormai sito-bibbia del mondo a due ruote. E come no, sono d’accordissimo anch’io: è ridicolo annunciare platealmente la grande innovazione e specificare subito dopo che sarà applicata al Tour. Sai la credibilità: la Sanremo, le classiche del Nord, soprattutto il Giro d’Italia, tutti appuntamenti destinati a passare in secondo piano. La vera lotta, lasciano capire gli alti papaveri della politica sportiva, si farà al Tour. A parte il fatto che questa strana collaborazione Uci-Tour, a me Angelo Zomegnan patron del Giro, comincerebbe un po’ a puzzare: ma come, sino all’altra sera il Tour stava allineato con Giro e Vuelta, ormai fuori dall’Uci, poi si scopre improvvisamente che Uci e Tour lavoreranno fianco a fianco sul passaporto biologico. Vai a sapere. È una cosa strana. Fossi davvero Zomegnan, comincerei a girare ben rasente al muro. Soprattutto, non mi abbasserei mai a raccogliere il sapone in doccia.
Comunque sono cose loro. Resta il fatto che non si può pensare di fare pulizia ramazzando soltanto al Tour. È una stupidaggine. Già mi sembra di sentirli: serve tempo. Ma che bravi. Guarda caso serve il tempo giusto-giusto per arrivare a luglio. Ma cosa credono, che al di là di Francia e Svizzera abbiano tutti l’anello al naso?
Ma cerchiamo per una volta di cogliere un aspetto positivo e diciamo che quanto meno si fa qualcosa. Bene, bravi. Però c’è subito un secondo però. Che magari avverto solo io, ma non per questo dev’essere per forza un’idiozia. Lo riconosco: sapere che i ciclisti andranno alle corse con il passaporto biologico, qualora questo documento fosse davvero una cosa scientificamente attendibile, mi rassicura. Però arrivo al però. Non posso cioè pensare che il ciclismo guarisca all’improvviso per il passaporto biologico. Restano tante altre cose su cui bisognerà, o bisognerebbe, dire qualcosa. Tra le tantissime, per non farla lunga, cito quelle che negli anni mi hanno più scandalizzato.
Punto uno: vogliamo parlare di quei geni che sono riusciti, dopo anni di cervellotiche acrobazie, a partorire un calendario regale con il Giro di Polonia e un calendario di serie B con Sanremo, Roubaix, Liegi, Giro, Tour, Vuelta, Lombardia? Punto due: vogliamo parlare di quei geni che dopo l’esplosione dell’Operacion Puerto ci stanno preparando un’altra annata di veleni e sospetti, lasciando circolare per corse e pure per podii gli ineffabili esponenti del ciclismo spagnolo, intoccabili e intoccati, primo fra tutti Valv-Piti, secondo fra tutti Amigo de Birillo, a seguire tutti gli altri? Punto tre: vogliamo parlare dei team manager che da anni, tranquillamente, pervicacemente, ineffabilmente continuano a contendersi i corridori sporchi scartati dai colleghi, dicendo peste e corna di questi corridori quando corrono in un’altra squadra, improvvisamente cadendo in amnesia quando li prendono loro?
Ovviamente potremmo andare avanti, ma ho detto che non voglio farla lunga. Siamo solo a gennaio, non possiamo già affaticarci. Resta però lo scetticismo. Io lo dico chiaro e tondo. Se il passaporto biologico dei corridori un poco mi rassicura, ancora più rassicurato mi sentirei se dal 2008 venisse introdotto anche un altro documento personale. Un documento obbligatorio per dirigenti, addetti ai lavori e affini. Ma sì, anche per i giornalisti, che quando vogliono posso fare più danni della grandine. Per tutti, obbligo di passaporto psicologico. Un documento che garantisca sulla capacità d’intendere e di volere.
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