Overdose. Overdose di autoemotrasfusioni, di sacche congelate, di ormoni Gh, di testosterone. Di camere iperbariche e di ventolin. Di corticosteroidi e di coprenti. Di studi farmaceutici e di rivelazioni mediche, di ricerche genetiche e di biologia corsara. Di tutto questo ciarpame parascientifico che da un decennio ci obbliga a riciclarci in tanti esperti di medicina fai-da-te, con competenze e bagaglio professionale da infermiera caposala.
Overdose di blitz, di Nas, di Gendarmerie. Di perquisizioni, di interrogatori, di intercettazioni. Di piemme, di procuratori federali, di commissioni disciplinari. Di tutte queste interminabili trafile giudiziarie che annunciano cataclismi e partoriscono topolini, lasciando sempre la sensazione che a pagare non sia certo il più sporco, ma solo il più ingenuo della compagnia. O comunque il meno furbo. Tanto per dire che non si può credere nemmeno nel giusto castigo.
Overdose di Operacion Puerto e di Birilli, di Amigo de Birillo e di Valv-Pitì. Di liste rivelate e poi negate. Di nomi sparati e poi misteriosamente spariti. Di queste regole assurde che in alcuni Paesi mietono vittime, mentre in altri - leggi Spagna - bellamente sorvolano sugli scandali più truci. Lasciando ogni volta la penosa certezza che esistano due pesi e due misure. E che soprattutto la giustizia proceda schizofrenica a due velocità, trattando gli indiziati della stessa inchiesta in modi diametralmente opposti, secondo umori e interessi personali di chi al momento comanda.
Overdose di codici etici, di autocertificazioni, di regolamenti pro-Tour. Di tutta questa catasta fumosa e inconcludente, parolaia e gaglioffa, che nasconde soltanto la penosa realtà dell’immobilismo, perché nessuno è diposto a mollare su niente.
Overdose di miti infranti e di eroi fasulli. Di campioni appena nati e subito soffocati in culla. Di imprese appena raccontate e subito cestinate. Di figuracce personali, per noi che questo mondo e questi fatti raccontiamo, sulle orme di inarrivabili cantori come Buzzati, Prezzolini e Montanelli. Signori della letteratura che avevano un invidiabile vantaggio: potevano liberare la fantasia e lavorare di cesello. Sai che spettacolo vederli all’opera adesso, tra tassi d’ematocrito e controlli a sorpresa, tra prescrizioni Wada e normativa Uci. Forse persino loro, insigni ed eminenti, alla fine si darebbero all’ippica.
Overdose di bugie spudorate e di scusanti grottesche. Gente che giura d’essere in Messico e invece risulta sulle Dolomiti, gente che alla mattina partecipa al sit-in contro il doping e la sera finisce in caserma per doping conclamato.
Overdose di chiacchiere, di sottili distinguo, di scuse accampate e di attenuanti invocate. Lo sappiamo, il doping è di tutto lo sport, non solo del ciclismo. Ma sappiamo benissimo che in tema di droghe fanno titolo dosaggi e frequenze. Ci sono modiche quantità e usi saltuari. Ci sono pratiche pesanti e totali dipendenze. Tutto è furto, ma c’è una differenza tra chi ruba una mela e chi assalta il treno postale. Riescono a capirlo, gli insopportabili vittimisti di questo mondo sgangherato?
Overdose di telecronache grottesche, una vera emergenza nazionale, con questa coppia parastatale dei Bulbarelli e dei Cassani, nuovi Ollio&Stanlio, che neppure dopo un decennio di scandali e di vergogne riesce a trovare un minimo di misura, ogni volta ricominciando dai superlativi spudorati e dai peana smodati, evidentemente convinta che il gentile pubblico abbia l’anello al naso.
Overdose di alti dirigenti come il popolare Pat McQuaid, presidente Uci, che dopo un anno e mezzo non si vergogna di confessare come i suoi legali siano ancora lontani dal completare la lettura delle seimila pagine di quel grande romanzo horror intitolato “Operacion Puerto”. Solo una domanda: ma questi legali sono analfabeti? Quanto devono metterci, diamine: hanno fatto prima gli archeologi a decriptare i geroglifici nelle piramidi egizie…
Di overdose, purtroppo, si schiatta. Stiamo schiattando tutti quanti noi, popolazione italiana da un secolo legata alle struggenti imprese di una leggenda continua. Dev’essere per questo che molti danno le dimissioni da tifoso, lavorando saturi e stremati sul fedele telecomando di casa, dirigendosi verso altre storie.
Di overdose sta purtroppo morendo – lei sul serio - la bella creatura, ridotta come una povera cosa, senza più colore, anima e dignità. Il suo nome è bicicletta. Restano poche speranze di salvarla, ridotta com’è. A preoccupare non sono tanto le sue condizioni, peraltro disperate, quanto la competenza e la serietà dei soccorritori. Sotto le mascherine dei medici, si nascondono le stesse facce inquietanti e rapaci di quelli che l’hanno ridotta così. Forse è meglio evitarci le illusioni, e preparare i familiari.
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