Da dove si ricomincia? Io sarò un inguaribile pessimista, ma secondo me la nuova annata ricomincia esattamente da una domanda che qualche tempo fa mi ha rivolto un mio amico, nonché mio maestro.
Si chiama Franco Grigoletti, da noi del vecchio Giorno chiamato Grigo. Guidava una splendida redazione sportiva, quando il Giorno era il Giorno: per dire gli esempi, ci bazzicavano - dopo Brera e Fossati - i Giulio Signori, i Giorgio Reineri, quindi i Paolo Ziliani e i Massimo Gramellini. E mi scuso se restringo l’elenco. Per chi non mastica giornali, nomi magari sconosciuti. Ma chi soltanto ha una qualche attenzione sul settore, sa di chi parlo. Grigo era il capo, un capo come non ne esistono più, con un grande gusto delle pagine, con un grande gusto degli articoli ben scritti e dei giornalisti di razza, anche con un grande gusto del bestemmione quando qualcuno girava male, ma soprattutto con una grande cultura di tutti gli sport (soltanto lui era capace di fare anche tre pagine senza una sola apertura sul calcio).
Ecco, uscendo dal personalissimo amarcord e tornando a bomba sul tema: proprio un personaggio che ancora oggi, in pensione, legge un pacco di giornali tutti i giorni, dedicandosi poi ad una gustosa rubrica sull’Adige (il genio è di Rovereto), proprio un personaggio che si interessa di tutto e si documenta su tutto, un giorno mi chiama e in un attimo mi smonta: «Cristiano, ma allora, questo ciclismo: sai che non ci capisco più un …???».
Sì, mettiamoci il cuore in pace: il 2007 riparte da questa domanda. Se a porla è il Grigo, uno che si sforza da sempre di capire, vuol dire che davvero nessuno capisce più niente. Inutile stia qui a specificare come la pensi io: hanno ragione loro. Dal Grigo giù giù fino all’ultimo tifoso sprovveduto. Uno sport, se vuole piacere, ha prima di tutto un dovere: essere accessibile, comprensibile, commestibile. Pongo a mia volta una semplice domanda: se ne accorgono, i genialoidi che prendono decisioni e scrivono regole, come siamo messi? ProTour che ogni tre giorni muore e risorge (più di Nostro Signore), codici etici e commissioni disciplinari, tassi ematici e protocolli scientifici, calendario Uci e calendario degli organizzatori, squadre di serie A e squadre professional, gare di prima fascia e gare di seconda fascia (hanno anche delle sigle, mi rifiuto di riproporle). E avvocati, e querele, e carte bollate. E corridori sospesi, e corridori riabilitati, e alcune squadre contro alcune altre. Vogliamo dirlo? Da sport modello di semplicità assoluta, il ciclismo è ormai assurto ad un’identità nuova e mostruosa. Un rompicapo.
Qualche addetto ai lavori finge di capire. Ma al di là di Pier Augusto Stagi, direttore di questa rivista, che passa le sue giornate e rimettere assieme le tessere di un simile delirio, sinceramente non ho ancora incontrato persona vivente in grado di elaborare un quadro completo. E ti credo: è umanamente impossibile. Emblematico il caso più noto: Basso. Qualche organizzatore lo considera indesiderato, altri gli spianano la passatoia rossa. Giustamente, il Grigo di turno osserva e alla fine mi chiede: «Ma Basso corre o non corre?». È chiaro, noi sappiamo che Basso è finito in mezzo a una furibonda guerra mondiale tra organizzatori e Uci, una guerra per stabilire chi davvero debba comandare, ma onestamente non si può infliggere ai Grigo e ai tifosi un paio d’ore di cervellotiche spiegazioni. Dopo cinque minuti, i Grigo ti mandano giustamente affancubo.
Tassativo, se non si vuole sparire: bisogna risolvere il rompicapo una volta per tutte. Così non si può continuare. C’è un bisogno estremo di semplicità, di chiarezza, di linearità. Queste le gare, queste le squadre, questi i campioni. Il resto, chissenefrega. Se la soluzione del rompicapo è rompere l’Uci, lasciando che i grandi organizzatori mettano in piedi il loro grande spettacolo (Giro, Tour, Vuelta e una dozzina di classiche monumento), bene, procediamo pure. Di fronte alla cancrena, meglio il bisturi dell’aspirina. Dice: ma come si fa senza l’Uci, e l’Uci che fine fa… Cosa dire: è un problema dell’Uci. Se non riesce a mediare le tensioni in gioco, se anzi evidenzia libidine nell’alimentarle, al diavolo anche l’Uci. Si dedichi ai Giri della Malesia e del Burkina Faso, priorità che ormai sembrano in vetta alle sue strategie, e amici come prima. Noi continueremo a seguire la Sanremo, la Liegi, la Roubaix, il Lombardia. Come sempre. Come quando vincere il Giro di Polonia o di Danimarca non equivaleva a vincere il Tour de France, perché qualunque idiota capiva che erano cose un po’ diverse.
P.S.: e per favore, che nessuno si azzardi più a buttare lì la consolazione tanto in voga oggigiorno, “comunque il calcio è messo anche peggio”. Se abbiamo sempre amato più il ciclismo del calcio, una ragone ci sarà. Forse, perchè è diverso.
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