CHI PUO’ FARE LA MORALE? Un mese dopo ci restano soltanto le macerie. In verità qualcosa avevamo già intuito sul finire del Giro d’Italia: tirava una brutta aria. Dalla Spagna arrivavano notizie inquietanti, i rumors su Basso si moltiplicavano di giorno in giorno, e ci si era messo anche Gilberto Simoni a rovinare la festa che alla fine non c’è stata.
Poi eccoci pronti ad assistere ad un grande Tour, ma dalla Grande Boucle i grandi corridori sono tornati immediatamente a casa, con il sospetto di aver fatto ricorso alle cure del ginecologo delle Canarie Eufemiano Fuentes; con il sospetto di aver lasciato per strada qualche sacca di sangue; con il sospetto che tutto questo sia vero, ma forse no.
Al momento di andare in macchina, non si sa molto di più, ma a noi interessa poco. La nostra posizione è sempre stata la stessa: una volta accertate le responsabilità, lotta dura senza paura. Fino a prova contraria, però, chiunque per noi è immacolato. Da sempre siamo garantisti e fino a prova contraria vogliamo credere fino in fondo e cocciutamente alla buonafede dei corridori e non solo alla loro. Siamo per la presunzione di innocenza, non per quella di colpevolezza.
Avremmo preferito che questa fosse stata la linea adottata anche dalle squadre di Pro Tour, che sulla base di documentazioni poco documentate hanno preso decisioni importanti. Avremmo preferito non ascoltare alcuni sgradevoli commenti da parte di dirigenti e corridori del nostro ambiente, sempre pronti a fare le verginelle e la morale a chiunque, dimenticandosi le proprie storie, le proprie origini, le proprie magagne. E in quel momento di moralismi e ipocrisie, ci siamo interrogati. Se Fuentes ha una sessantina di clienti, Cecchini ne ha altrettanti, Santuccione e Ferrari idem pure loro e ci sono poi altri preparatori con altri corridori, chi può dirsi al di sopra di ogni sospetto? Chi può fare la morale a chi? E se Basso al Giro volava e per taluni era un extraterrestre, in questo Tour tanto umano (terza media finale di sempre) come hanno fatto i nostri prodi a prendere distacchi siderali che neanche il campione varesino ha saputo infliggere nell’ultima competizione rosa?
Noi non scriveremo mai che Basso e compagnia sono innocenti, perché non lo sappiamo. Tuttalpiù lo speriamo. Ma nessuno può permettersi di dire il contrario senza averlo provato, senza averli messi spalle al muro.
Ultima annotazione: lo sapevate che l’anno scorso, al termine della stagione, i valori sanguigni di Basso e Boonen sono stati presi a modello dalla commissione sanitaria dell’Uci, per la loro linearità priva di sbalzi e sospetti?
E allora? Allora avremmo preferito ascoltare il silenzio di chi aspetta di capire. Avemmo preferito più coerenza e misura, invece, ancora una volta, ci siamo fatti riconoscere facendo prevalere l’antico adagio «mors tua, vita mea». Senza sapere che a morire, avanti di questo passo, è il ciclismo.
UCI UCI SENTO ODOR... «Ben arrivato». Così Paolo Dal Lago, il signor Liquigas, ha accolto Pat Mc Quaid, il signore del ciclismo, che si è presentato al Tour a poche ore dal via del cronoprologo di Strasburgo. Nel venerdì nero del ciclismo, l’Uci si è fatta notare per la sua assenza. Al Tour non è parso vero mostrare nuovamente i muscoli, ribadire la propria forza, il proprio potere. E non gli è parso vero lasciare nelle mani dei team del ProTour - loro che questo circuito non hanno mai amato - il peso della decisione più pesante in assoluto: mandare a casa i propri corridori sporcati dal sospetto. All’Uci non è parso vero girare alla larga e invitare i team di ProTour ad applicare un codice etico che loro non hanno ancora recepito e ratificato come regolamento. E qui arriviamo al punto. A nostro parere l’Uci avrebbe avuto e ha il dovere di prendere in mano la situazione, perché questo è il suo compito. È custodito nel Dna del direttivo mondiale il dovere sommo di controllare, regolamentare, legiferare e fare in modo che non vengano calpestati i principi fondamentali dei propri tesserati, vigilando sull’etica e la morale di uno sport che l’etica e la morale ormai ha ridotto in brandelli. Invece, niente: basso profilo per Basso & C. All’Uci preferiscono pensare ai diritti televisivi, al marketing e alle sponsorizzazioni, anziché gestire questioni spinose, fondamentali: di principio.
SOSPETTI & REATI. Per la serie siamo tutti un po’ corridori, eccoci con chi lo è un po’ meno di altri o, se preferite, con qualcuno che lo è un po’ di più. Il Tour chiede pulizia e le squadre di ProTour la fanno in nome e per conto dell’Uci, impugnando il codice etico. Per la serie siamo tutti uguali e soprattutto siamo tutti sulla stessa barca, alcuni dall’imbarcazione scendono e altri restano ai remi, seduti ai loro posti. Basso, Ullrich e compagni a casa sulla base di sospetti raccolti dalla Guardia Civil, mentre Inigo Landaluze a correre sulle strade del Tour. E dire che per questo corridore e non solo per lui, l’Uci si è rivolta al Tas per chiedere giustizia e andare contro la sconcertante decisione della Federazione spagnola che ha assolto sia Aitor Gonzalez che Inigo Landaluze, entrambi corridori della Euskaltel, entrambi trovati positivi ad un controllo antidoping. Il primo per uno steroide anabolizzante (Vuelta España 2005); il secondo per testosterone alto (Giro del Delfinato 2005). Insomma, il sospetto di essere cliente di Fuentes è più grave della certezza di un reato.
IDEM COME SOPRA. E che dire della T Mobile, che caccia senza colpo ferire, sia Ullrich che Sevilla oltre al tecnico Rudy Pevenage? Un giorno però ci dovranno spiegare perché hanno deciso di riprendere sia Ullrich che Pevenage. Perché hanno deciso di ingaggiare Rogers, Sinkewitz e Mazzoleni (quest’ultimo coinvolto nel filone d’inchiesta “Oil for Drug”, quello del dottor Santuccione per intenderci), nonostante fossero preparati da Michele Ferrari, dal quale a scoppio ritardato, il colosso tedesco della telefonia prende adesso le distanze? E di Gonchar, che dire? L’avvocato Federico Cecconi ha subito precisato la posizione del proprio assistito, spiegando a Le Monde - che si domandava come mai l’ucraino d’Italia fosse al Tour anziché a casa come tutti gli altri visto che è rinviato a giudizio - il perché non ci sia nulla di pruriginoso. «Gonchar come numerosi atleti - si legge nella lettera che l’avvocato milanese ha inviato ai dirigenti della T Mobile - ricevette informazione di garanzia nel giugno 2001 da parte della Procura della Repubblica di Padova, l’inchiesta a carico di Gonchar è culminata nel 2003 con una sentenza di incompetenza territoriale pronunciata dal Gup di Padova e da allora mai reistruita». Insomma, nessuno vuole processare Gonchar, ma se vale un sospetto per rispedire a casa un atleta, come è possibile che possa correre chi è in attesa di un giudizio?
UN EQUIVOCO DI NOME RIIS. Chi da questa storia ne esce senz’altro male è Bjarne Riis, colui che si è sempre vantato di aver fatto della sua squadra un’organizzazione modello e soprattutto di avere un atleta ideale. Poi è bastato il primo refolo di vento, e il glaciale marine danese è diventato una mammoletta. Addio corsi di sopravvivenza nel mare del Nord, addio riti e ritiri da uomini veri, capaci di tirar fuori nei momenti più difficili risorse impensabili e nascoste. Le risorse di Riis, nel momento del bisogno, sono però rimaste nascoste, tra disagio e singhiozzi. Povero cocco. «Ivan si deve difendere, ma non sarà facile, perché le accuse sul suo conto sono pesanti», dice lui per metterci una buona parola. Poi, una volta letto il dossier della Guardia Civil, ci si accorge che pesanti sono le sue parole, e soprattutto le sue azioni. Il premio “non c’è limite alla vergogna” lo vince di diritto anche quando fa sapere all’agenzia danese Ritzau, che cesserà la collaborazione fra alcuni suoi corridori e Luigi Cecchini, che segue Cancellara, Breschel, Blaudzun e Sorensen. «Conviene cessare certe collaborazioni per evitare equivoci». Ma l’equivoco più grosso resta lui.
BIONICI ED EXTRATERRESTRI. Per spazzare via gli ultimi equivoci, un piccolo commento su questo Tour incerto ed emozionante per alcuni, noioso e privo di pathos per tal altri. Per noi è stato un Tour sottotono, e non solo perché ci aggrappiamo ai dati Auditel che confermano il crollo verticale degli ascolti, con una media di dieci punti di share in meno rispetto agli altri anni.
Si va in giro dicendo che questo è stato un Tour più «umano», dove è riaffiorata la fatica sui volti dei corridori. Noi abbiamo visto un Tour semplice, con pochissime salite, sufficienti però a far saltare il banco: in modo imbarazzante. Per due volte la giuria ha dovuto far ricorso al buonsenso per dilatare il tempo massimo e tenere in corsa una montagna di corridori. Ci si interroga: alleggerire le corse per fare in modo che questi non ricorrano più al doping. Posso essere d’accordo con chi ha trovato il Giro di quest’anno oltremodo duro, ma il Tour al confronto è stato una passeggiata. Quindi, anziché addolcire i percorsi, i corridori lascino da parte i beveroni, e soprattutto tornino ad allenarsi e a fare la vita da corridori. Oggi moltissimi non si dopano per vincere, ma semplicemente per accusare meno la fatica e accelerare il recupero, in modo da arrivare a sera belli tonici per poter vivere le loro notti da leoni. Fanno gli atleti bionici di giorno per essere extratterestri la sera. Si diano una regolata: anziché alzare il gomito, tornino ad alzare le gambe. Allenamento e riposo. Tanto riposo. È un po’ noioso, ma è l’unica ricetta che non dà controindicazioni. Nemmeno per la Wada.
Pier Augusto Stagi
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