Rapporti&Relazioni
I have a dream

di Giampaolo Ormezzano

I have a dream: che tra telefilm su Coppi e Bartali anzi stavolta su Bartali e Coppi, ripristinando cronologia di personaggi ed ordine alfabetico dei loro cognomi, Milano-Sanremo, corse classiche del Nord, primavera e sana voglia individuale di bicicletta, si riesca a parlare di ciclismo non dentro noi stessi, ma con gente diversamente interessata. E questo senza dover attendere il film su Pantani che temiamo, fortissimamente temiamo sarà un film sulla cocaina. Perché il problema nostro, del nostro sport, sta diventando di sopravvivenza sulla scena sportiva, con tutto quello che si sta affollando in essa.
Essì, questo 2006 rischia di diventare un anno da incubi di dissolvimento. Il ciclismo che perde consistenza e si fa ologramma piatto, insomma. Perché è difficile conservare identità e visibilità quando si è perennemente sotto lo schiacciasassi calcistico normale, di campionato e di coppe europee, e in più ci sono in casa nostra i Giochi olimpici invernali e persino (oltre che per fortuna), a catturare attenzioni e soprattutto sentimenti, quelli paralimpici, cosa mai accaduta prima in queste proporzioni. E in questo 2006 ci sono anche i campionati del mondo di calcio: il che vuol dire due mesi di occupazione degli spazi, di precettazione delle attenzioni, magari anche di rimbecillimento coatto.

Pensiamo al Giro d’Italia e ci prende paura. Per l’interesse che rischia di suscitare: un interesse piccino piccino picciotto picciò. Ci vorrebbe il ritorno alle corse di Armstrong e quello di Cipollini trasformato in scalatore, per avere spazio vitale. A proposito: il Giro d’Italia l’anno scorso ha offerto ai Giochi invernali di Torino, che stavano vivendo una vigilia lunga, dura, convulsa, preoccupata ed economicamente drammatica, tutto se stesso in una fase importantissima, quella montana del Sestriere e di Pragelato e delle valli di Susa e Chisone, insomma dei posti olimpici, con in più l’offerta speciale del sensazionale Colle delle Finestre rimesso al mondo dal ciclismo, e però i Giochi olimpici di Torino quando finalmente si sono svolti al ciclismo non hanno restituito niente di niente, neanche - già detto, ma va ridetto e urlato - una memoria di Coppi in qualche coreografia.

Pensiamo al Giro d’Italia e ci prende paura per come verrà strizzato dal Mondiale di calcio, che non comincia il 9 giugno in Germania, comincia in tanti paesi e specialmente in Italia molto ma molto prima, anzi per certi versi è già cominciato, e non viene già adesso “giocato” tutti i giorni soltanto perché esiste ancor un po’ di campionato ed esistono soprattutto le coppe europee: che comunque non sono ciclismo, anzi..
Il tema della sopravvivenza in questo tremendo 2006 dovrebbe essere prioritario, per chi ama la bicicletta. E naturalmente il Giro sta al centro di questo tema. Specialmente con un Tour de France che sfugge abbastanza, come date, al Mondiale di calcio e che senza Armstrong offre perlomeno la garanzia di essere nuovo e non noioso.

Da una parte saremmo pronti a qualsiasi forma di prostituzione mediatica, pur di trovare per il Giro spazi nelle teste e nei cuori degli italioti. Intanto che saremmo pronti anche all’ufficializzazione di una sorta di ascesi, dunque ad un comportamento diametralmente opposto. Purché si assuma una linea di condotta chiara, e cioè: o ci si mette alla corte del calcio, e si mendicano posti a tavola, la sua tavola, però stando alle estremità da dove ci si può anche alzare e fare un poco i camerieri, intanto che gli altri si mangiano i cibi migliori, o si decide che il calcio fa schifo, che il suo mondo è marcio, e lo si dice chiaramente, facendo la cosiddetta scelta e confidando in una simpatia magari piccolissima ma sicuramente purissima. Insomma o si fa l’amore pornografico o si fa l’amore stilnovistico. O ci si ficca nell’orgia, e pazienza se da comparsa, o si sospira scrivendo sonetti molto nobili...

hhhhhhh

Ma il discorso va esteso, cominciando con un interrogativo: il ciclismo è timido, ha paura di esporsi, di fare brutta figura televisiva, presentandosi col tramite di questi stupidi che pedalano anziché andare su auto lussuose? Possibile che in televisione, fuori degli spazi canonici (ma sempre meno) delle dirette per patiti, il ciclista sia Pantani che si droga o Cipollini che balla? Possibile che se Pozzato vince la Sanremo subito si trovi chi dice che un ciclista che sogna la Ferrari non va bene, mentre ormai la può sognare anche il vincitore di una prova da circo, da baraccone, in uno degli ormai troppi sport-spettacolo che stanno rovinando persino l’Olimpiade?

Quando poniamo queste domande troviamo facilmente assensi e consensi. Di gente che capisce tutto e che non conta nulla. Gente che ci ascolta ed annuisce: già, come mai il ciclismo non riesce a proporsi in televisione fuori dalle gare, e non tutte si capisce, mentre vengono ospitate in continuazione performances parasportive demenziali? Possibile che si facciano così tanti reality shows senza che mai entri in essi qualcosa di ciclistico? Invece di fare gare di caccia al granchio degli abissi e di marcia fra le liane di plastica, quelli sull’isola non possono portarsi una bicicletta, almeno una cyclette, e misurarsi così?
Personalmente sogno una pirateria televisiva, uno dei nostri che irrompe in uno spettacolo in diretta, in prima serata, di grosso ascolto e dice e urla qualcosa di ciclistico. Non importa cosa: qualcosa. Magari lo dica agli infanti di Raffaella Carrà, che dovrebbe essere assoldata dalla federazione perché lei sa, cinicamente, duramente, cioè professionalmente, come arrivare al cosiddetto cuore della gggente. In maniera così scoperta, aggressiva, da non apparire mai biecamente funzionale, anche se tutto è stato probabilissimamente prefigurato, calcolato, provato. Uno dei nostri che, quando si celebrerà un fasto o un disastro calcistico, riesca, magari travestito da presunto esperto del pallone, a dire, in piena assise biscardiana o no: ma lo sapete che in nome di una cosa gaglioffa e corrotta e sporca come il calcio stiamo uccidendo il ciclismo? E l’ultima domanda: possibile che il ciclismo non sia mai riuscito a usare quel suo formidabile appassionato che si chiama Romano Prodi?
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