di Federcio Guido
Atterrando ad Haikou e poi, ancor di più, allontanandosi dall’aeroporto del capoluogo dell’isola, basta davvero poco per rendersi conto che quella di Hainan è una realtà che niente ha a che vedere con l’idea e gli stereotipi che solitamente in Europa abbiamo della Cina. Non sono infatti il grigio e le sue innumerevoli sfumature a caratterizzare il paesaggio, non sono infinite distese di palazzi, industrie e case avvolti da un’aria irrespirabile a riempire l’orizzonte né, tantomeno, fitti intrecci di autostrade e carovane di veicoli a dominare la terraferma ma, al contrario, i colori vividi di una natura lussureggiante, tipicamente tropicale, fatta di foreste pluviali, palme da cocco, spiagge di sabbia bianca e mare cristallino, il tutto inframmezzato, a seconda delle circostanze, da sparuti villaggi rurali, resort accattivanti e città sì popolose ma mai opprimenti.
Tutto questo, unito a un’aria tra le migliori del paese, fa sì che quest’isola a sud della Cina, distante 240 chilometri dalle coste del Vietnam a ovest e separata dal continente a nord dallo stretto di Qiongzhou, rappresenti una sorta di mondo a sé e venga generalmente riconosciuta come un apprezzato luogo di villeggiatura, un posto ideale in cui rilassarsi e staccare dall’impegnativa e frenetica routine metropolitana, assaporando un altro tipo clima e dilettandosi in attività di vario genere, dallo shopping al trekking, dalla pesca al bird watching, dal rafting alle degustazioni di the fino al ciclismo.
In quest’ultima arte, non per svago ma per lavoro, si sono cimentati anche i 138 corridori che a fine agosto hanno animato il 15° Tour of Hainan, corsa ProSeries tornata a disputarsi nel 2023 dopo cinque anni di stop e questa stagione, per la prima volta nella sua storia, proposta a fine estate.
Tale collocazione ha fatto sì che per i protagonisti di quest’edizione i principali ostacoli siano stati, più che il dislivello (2.390 metri quello complessivo) o la quota (778 metri il punto più alto toccato dalla corsa), il caldo e l’elevato tasso di umidità che, in simbiosi, hanno spinto (quasi) ogni giorno la temperatura percepita ad impennarsi costringendo gli atleti (e con loro anche gli addetti ai lavori e le persone al seguito) a far ricorso senza soluzione di continuità a ghiaccio e acqua. Emblematica in questo senso la presenza dopo il traguardo di ogni frazione in programma di due provvidenziali autopompe che, aprendo i loro tubi, hanno garantito a tutti i partecipanti una prima rinfrescante “doccia” una volta terminata la fatica di giornata.
In questo afoso ma partecipato contesto, chi meglio si è destreggiata è stata la formazione ProTeam della Burgos-BH che ha concluso la manifestazione facendo incetta di podi e premi. A Sanya infatti, arrivo designato dell’ultima tappa, la compagine spagnola ha chiuso al primo posto la graduatoria a squadre, quella a punti e, in particolare, la classifica generale, risultati frutto soprattutto dei due successi parziali conquistati dal campione neozelandese Aaron Gate.
Con un magistrale attacco da finisseur a Wuzhishan nella tappa regina e con una volata di resistenza il giorno dopo a Changjiang, il pistard kiwi (fresco di partecipazione ai Giochi di Parigi e reduce dalla vittoria della Trans-Himalaya Cycling Race la settimana precedente) è andato di forza a conquistare la maglia gialla conclusiva. Un’affermazione che, anche visto il profilo accidentato di alcune tappe, alla vigilia nessuno (Gate compreso) si aspettava di ottenere e che invece è arrivata grazie a una condizione evidentemente buona e, come lui in persona ha poi rimarcato, all’ottimo comportamento dei suoi compagni, dai suoi apripista George Jackson e Georgios Bouglas (5° nella frazione conclusiva) fino all’ex campione di Mongolia Jambaljamts Sainbayar (6° nella terza tappa).
Il collettivo nero-viola ha, dunque, capitalizzato impeccabilmente la trasferta cinese convertendo in vittorie (le numero 11, 12 e 13 della stagione nel momento in cui scriviamo) il gran lavoro svolto nell’arco delle cinque giornate di gara, una finestra temporale in cui però non è stata la sola a togliersi delle soddisfazioni. Anche Martin Laas, visto nel World Tour dal 2019 al 2023 e vincitore allo sprint della tappa di Lingshui, e Ivan Smirnov, stagista della Astana Qazaqstan (rimasta orfana dopo tre tappe di Alexey Lutsenko per una discussa squalifica) e primo a sorpresa l’ultimo giorno a Sanya, sono stati capaci di imprimere il loro marchio sulla gara al pari del Team Corratec-Vini Fantini che, con Jakub Mareczko, ha ottenuto un trionfo dal valore non indifferente. La vittoria (la cinquantesima in carriera) dello sprinter azzurro sul traguardo di Qionghai ha infatti certificato ulteriormente il feeling che i corridori nostrani hanno storicamente con la corsa dell’isola, una manifestazione in cui l’Italia è la prima nazione (al pari della Russia) per numero di successi parziali (24), la seconda per vittorie finali nella generale (3) dietro al Kazakistan e l’unica dal 2017 ad aver saputo griffare con un suo rappresentante almeno una frazione in ogni edizione disputata.
Il contingente tricolore ad Hainan (il secondo più numeroso con 15 elementi dopo quello cinese) anche quest’anno quindi si è ben disimpegnato, non solo facendosi vedere in più circostanze sul podio (dove, con merito, sono saliti anche Filippo Magli, 3° della generale, e Alessandro Tonelli, più combattivo dell’ultima frazione) ma anche sfiorando quest’ultimo in diverse occasioni con elementi come Lorenzo Quartucci (9° a Wuzhishan), Mattia Pinazzi (3° a Sanya) e, soprattutto, con un Enrico Zanoncello (5° a Qionghai e 2° a Changjiang) che non ha nascosto il suo dispiacere per aver sfiorato ma non concretizzato l’acuto importante. Nonostante la vittoria più volte sfuggita, il velocista veronese della VF Group - Bardiani CSF - Faizanè è stato comunque, come d’altra parte tutti i colleghi al suo fianco, il destinatario del calore, degli applausi e dei tanti sorrisi dispensati dal pubblico locale che, di volta in volta, non ha mai mancato di riversarsi in strada e salutare il passaggio dei corridori. Dalle campagne alle città, in tanti si sono fermati, chi con fare più partecipe ed entusiasta, chi invece con più circospezione e genuina curiosità, per ammirare la corsa, far sentire la propria presenza e conoscere così un gruppo ricco di profili magari poco noti che però, col passare delle tappe, sono diventati via via più riconoscibili e riconosciuti. È questo il caso, ad esempio, del viso da putto di Alex Vandenbulcke della Tarteletto-Isorex, della mole imponente di Kane Richards (Roojai Insurance) o dei baffuti e simpatici fratelli Ronan e Aidan Teese della St George, tutti ragazzi che in un modo o nell’altro hanno cercato di onorare al meglio una corsa combattuta e aperta, impeccabile da un punto di vista logistico (ogni giorno ci si rimetteva in moto da dove si era arrivati 24 ore prima) e andata in scena in un contesto caldissimo ma indubbiamente piacevole.