Rapporti & Relazioni

LA NUOVA GEOGRAFIA

di Gian Paolo Ormezzano

Le corse di primavera ce lo stanno anticipando, per non dire imponendo: fra poco arriva il tem­po delle grandi corse a tappe e dovremo scegliere se tifare sloveno o danese, con forte acrobazia di natura mentale, sentimentale, storica, geografica. Lo faremo allenati peraltro benino da questi ultimissimi anni.

Ricordo che quando (1959, preistoria) se­guii da giornalista il pri­mo dei miei 29 Giri d’I­ta­lia giocavo al gioco di fare l’anticonformiste, e forte di de­coroso fresco passato agonistico di nuotatore e di buone frequentazioni scolastiche nell’atletica leggera di mezzofondo, nonché forte della libertà e della fiducia che il giornale mi concedeva, scrivevo che la pre­ponderanza nelle corse a tappe dei pedalatori del peraltro vasto e nobile villaggio italofrancobelga, con intromissioni sporadiche di altra Eu­ropa olandese, spagnola, tedesca, svizzera, svedese e persino lussemburghese, era dovuta anche al fatto che in tanti pae­si fortissimamente sportivi la meglio gioventù si dava ad al­tre discipline. Scrivevo, per farmi bello con la pratica dell’anticonformismo, come peraltro accade da sempre nel­la meglio cioè anche peggio storia dell’umanità, che quando i favolosi fisici dei californiani (uno stato Usa per il tut­to, ma assai emblematico) si fossero casomai trasferiti sulla bi­cicletta, peraltro molto americonewyorkese ai suoi primordi in velodromo, sarebbe stata la fine del ciclismo miracolistico, romantico, fachiresco, sensazionale ma anche pa­tetico degli euro scorfani, esaltabili esteticatleticamente solo qando si collocavano sul velocipede, su tutti l’immenso Cam­pionissimo dalle ossa fragili e dal torace “appuntito”, da uccello.

Forzavo magari anche gaglioffamente ipotesi, previsioni e paragoni, cercando e talora trovando lo choc, anche perché si stava estinguendo la schiatta dei celeberrimi giornalisti cantori, anziani handicappati dal­la frenesia della concorrenza, delle edizioni per la stampa scritta in piena diffusione dopo la guerra, con il lavoro sempre più arduo, specialmente per chi era abituato a pontificare tranquillo per iscritto interpretando gli ordini d’arrivo, dopo essere fuggito davanti ai corridori lasciando appena in tempo il solenne ristorante di metà tap­pa. Avevo un certo successo che at­tribuivo con falsa modestia all’anticonformismo: ma­gari seguivo addirittura la cor­sa in motocicletta facendomi irrorare (pioggia lustrale, scrivevo) dalle nuvole di pipì dei corridori, magari provavo ad assumere con tante cautele certe pastigliette per capire cosa si provava da dopati, da drogati. Non ero solo, si capisce, eravamo uno sfacciato manipolo di verdi anagrafici, il fatto che volessimo raccontare i corridori in azione risultava quasi sconvolgente, e accattivante per i lettori. Ricordo che per il mio primo Giro feci comunque forte e utile ipocrita professione di umiltà: al raduno di partenza andavo sempre a omaggiare il più de­cano dei decani, il più cantore dei cantori, “buona tappa, direttore” gli dicevo, e lui “grazie caro, ti leggo” (ovviamente non sapeva chi io fossi).

Restando al Giro, vero che si sono succeduti negli ultimi o - meglio - penultimi tempi vincitori di Colombia, Ecuador, Russia, Canada, Usa, Inghil­ter­ra, ma sempre è parsa roba sporadica, occasionale, spesso casuale. Invece gli sloveni e il danese hanno già instaurato una sorta di dominazione. E dire che gli sloveni sono pochi gatti, casomai si poteva supporre, dopo la diaspora della Jugoslavia, un forte arrivo dei loro grossi vicini croati, che hanno lunghi femori, utili da sempre per le loro grandi prestazioni in basket e pallanuoto. Gli sloveni erano magari promettenti nello sci da discesa, la Danimarca si appoggiava storicamente ad un solo grande corridore (Ritter, tanto per fare infine un nome, record mondiale dell’ora). Adesso Pogacar, Roglic, Vingegaard ecc. sono nomi persistenti ai vertici (e a proposito di persistenza Sagan, slovacco/novità, non ha vinto il Giro e il Tour ma ha segnato tanto anche del ciclismo italiano).

Diciamo che grazie al ciclismo si impara tan­ta geografia nuova, va­ria interessante. In at­tesa del primo africano (ma ci sono i prodromi) e, speciale per noi italiani, di qualche no­stro dirimpettaio albanese.

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