L’estate se ne è andata, con il suo ciclismo che conta troppo (Tour de France: nonostante tutto il Giro d’Italia si è ulteriormente rimpicciolito al confronto, e nel tutto mettiamo anche montagne che in Francia manco si sognano: ma quando il vincitore del Giro è costretto al Tour a fare il gregario sia pure del grande favorito, bisogna dire che qualcosa non funziona nel rapporto fra le due corse, e non funziona a discapito di quella rosa, non ci sono santi) ed anche con il suo ciclismo che conta troppo poco, come quello di garucce offerte in teleregistrazioni a collage rapido, ed anche di un Giro delle donne troppo rigidamente tecnicizzato ed enfatizzato, quasi a copiare il Tour che ha invaso il teleschermo appena prima.
L’estate se ne è andata e gli appassionati di ciclismo non possono lamentarsi quanto a ore di video, la televisione di stato ha dato molto, si è anche spesa per tutta la mattina di una domenica sulla Maratona delle Dolomiti, con persino un eccesso di belle immagini paesaggistiche e di buonismo generale di organizzatori e partecipanti, così che l’insieme è parso più un pellegrinaggio noiosetto in posti dove è facile essere puri di cuore che una rassegna permeata anche di agonismo non spinto ma non sopito e rivolta a estrinsecare un diritto, quello alle strade, alle attenzioni, al rispetto (troppe volte la teletrasmissione in questione è parsa voler ricordare ai poveri sommessi e sommersi ciclisti non un diritto o un insieme di diritti, bensì un dovere, quello di pedalare in umiltà e se possibile anche in letizia, così da fare felici un po’ tutti senza disturbare troppo nessuno).
Naturalmente non siamo mai contenti, naturalmente era molto difficile fare qualcosa di migliore o anche di diverso da quello che si è fatto, naturalmente meglio così che niente. Capiamo tutto, si capisce, e accettiamo anche di essere pignoli ed esigenti in maniera quasi odiosa. Però c’è stato un posto dove il ciclismo doveva tele-esistere, in estate, e non è praticamente tele-esistito. E qui ci permettiamo di essere critici (propositivi, si capisce) ad oltranza.
Dunque: la televisione è stata riempita di trasmissioni estive a sfondo salutistico: al limite anche del ridicolo. Un giorno le virtù della pera, un altro i benefici della liquirizia, un altro ancora gli apporti decisivi del lavorare al centrino all’ombra di un faggio, o del ruotare i pollici stando sotto l’ombrellone. Il tutto spiegato da gente orpellata di formidabili lauree, di solenni incarichi. I vantaggi del pesce azzurro e del pompelmo rosa, della camminata all’ombra e della capriola al sole. Del massaggio indiano e di quello mozambicano, del fischio andino e dell’emissione d’aria e acqua a sputo, come i lama tibetani. Dello spalmarsi i glutei con pietre della Réunion o dell’inalare effluvi di sterco bruciato di cammello, però cammello del deserto australiano
Bene, chi scrive queste righe, costretto da problemi di salute ad un’estate abbastanza contemplativa, cioè con tanto letto e tanta televisione, denuncia la quasi completa latitanza della bicicletta dalle proposte sul video di salutismo legato al pedalare. Eppure sono state montate in studio finte palestre, sono state presentate macchine tanto ingombranti quanto inutili, sono state predicate le virtù di quasi tutti i movimenti più idioti praticabili entro le quattro mura di casa. Tutte le proposte di sport fasullo sono state mandate avanti, da sedicenti o annunciati esperti con la faccia ed i modi del furbastro. Ma la bicicletta, o almeno la figlioletta cyclette, quasi non è esistita.
Proponiamo per la prossima estate azioni federali di invasione degli studi televisivi, e anche infiltrazioni di elementi ciclofili nelle file di cuochi che cucinano con la glassa della nonna o la soya del samurai mancato, la salsa ottentotta o il burro esplicitamente rancido. A dire in diretta, piratescamente, che son tutte porcherie, tutte bugie, e a dirlo anche delle ginnastiche proposte, dei movimenti suggeriti, dei balletti in body che fanno bene soltanto ai produttori dei body. A ricordare che basta salire su una bicicletta e dare cento pedalate per ottenere più salute che da tutte le proposte di quel consorzio, quella cosca di presunti sapienti. Il prossimo anno dovrà essere quello della rivolta, dell’invasione: e ricordiamo che tre irruzioni a Uno Mattina valgono presso le plebi come tre ore di pur grande, degna, splendida Maratona delle Dolomiti.
fffff
Vogliamo proporvi un giochetto. Il ciclismo italiano è quello francese, che non vince il Tour dal 1985 di Hinault, che non ha un grande velocista, un grande passista, un grande arrampicatore. Che ha smesso anche di campare di Jalabert e di Virenque. Che soltanto perché il Tour è qualcosa di magico non patisce la contrapposizione fra il tutto della grande corsa francese e il nulla del piccolo ciclismo francese.
Cosa faremmo? Come ci comporteremmo? Indifferenza assoluta? Critica violenta? Critica derisoria? Offerta di ciclisti professionisti per almeno insegnare ad andare in bicicletta ai figlioletti dorati, platinati dei calciatori? Interrogazioni parlamentari? Derubricazione della pedalata a peccato quasi mortale? Divieto di nominare Bartali e Coppi? Obbligo di nominarli costantemente, però facendo seguire una risata, un pernacchio? Identificazione di un numero del lotto che significa ciclismo-che-non-vince-mai e che ha uno spaventoso ritardo di uscita, con conseguente impoverimento dei già poveri, che a pro dello stato si svenano in giocate mai premiate dalla sorte? Identificazione in culla di un neonato che ha grosse doti ciclistiche (basta vedere come agita le gambe) ed elezione di questo bipede a pupo nazionale, perché ci riporti ai fasti antichi? Identificazione dello stesso talento e sua immediata eliminazione perché almeno di ciclismo non si parli più?
Domande senza risposte. È comunque certo che agiremmo diversamente dai francesi, i quali in attesa di tornare ad amare un loro ciclista amano sempre più il ciclismo, così facendolo, in pratica, tutto loro.
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