Scripta manent

La voglia di ciclismo degli "Aurunca Litora"

di Gian Paolo Porreca

Ci voleva il buon ufficio di Dante, Dante Alighieri. E ci voleva la “StoriainBici” di Michelino Davico e la sua edizione 2021, dedicata appunto ai 700 anni dalla scomparsa del grande poeta italiano, e quel suo percorso che da Napoli e dai Cam­pi Flegrei - terra di Virgilio, guida di Dante nel suo divino viaggio - porterà la carovana dei cicloturisti dopo otto giornate sui pedali, dal 4 al 12 settembre, giusto al traguardo di Firenze, terra natale di Dante.
Ci voleva l’allusione a Dante, per riportare una traccia singolare di ciclismo di gruppo, quantomeno evocativa, sulla costiera domizia, gli Aurunca litora, territorio a noi caro, fra il Volturno e il Ga­ri­gliano, fra la Campania e il Lazio.
Ci voleva l’ipotesi di «Vita nova» di Dante, per recuperare a chi vo­glia intendere la suggestione di un territorio, ciclisticamente e turisticamente inteso, che non ha nulla da invidiare ad altri contesti nazionali, maggiormente ci­clocentrici di certo, per la varietà di percorsi e il fascino di paesaggi. Già, il dialogo fra i rettilinei della Domiziana e dell’Appia, il lungomare di Mondragone e Baia Domizia e l’insidia verdeggiante delle sue colline, verso l’interno, da Sessa a Aurunca a Va­logno, da Roccamonfina a Gal­luccio, a Tora e Piccilli...
Ci voleva il fregio di Dante, ubi maior, per rimuovere il silenzio, con quella prima frazione della «Napoli/Procida - Firenze» che porterà giustappunto a Baia Do­mizia, sabato 4 settembre, con la ripartenza il giorno dopo dal Ca­stello di Sessa Aurunca, verso l’Abruzzo e Agnone. Ci voleva il deus ex machina di Dante, per indurci ad una giusta lucidata di brillantante al difetto di memoria...

Sono decenni ormai che il ciclismo maggiore purtroppo non frequenta più il li­torale aurunco. E proviamo allora a ricordarne gli episodi salienti, qui. La prima volta era il 1986, quando il Giro d’Italia vi­de a Baia Domizia il successo alla sprint di Guido Bontempi, da­vanti a Stefano Allocchio e Paolo Rosola, in una volata tutta nazionale, un lungo disordinato sprint fra strade provinciali strette, fra la Stazione e Cellole pae­se, che respingeva giù dal podio, senza complimenti, gli stranieri Van Poppel e  Vanderaerden...
In maglia rosa transitoria, in un Giro che sarebbe stato appannaggio finale di Roberto Vi­sen­tini, quel giorno c’era Giuseppe Saronni. E di lui si ricorda ancora da queste parti una stretta di mano forte, leccornia per i fotografi al seguito, con il rivale storico Francesco Moser, a tacere di sottintese tensioni passate o presenti. A testimoni di un patto di onore, furono le pareti bianche e la hall discreta, lo charme ineguagliabile di un resort al mare di buone letture, senza snob e cialtroni, dell’Hotel della Baia delle sorelle Sello, lì dove è bello restare....
Ed era il 1997, fulgido sole di alto maggio, quando a Mon­dra­gone sfrecciò, c’eravamo, una cittadina in festa, Marcel Wust, maglia Festina, un velocista tedesco dalla carriera non fortunata, davanti a Rossato e Leoni. Ma la Divina Commedia modestamente applicata alla nostra leggenda ciclistica, ci riporta ben diversamente, e clamorosamente, a quella ultima occasione, da girone infernale...

Ed era la Sorrento - Baia Do­mizia, la seconda tappa del­la Tirreno-Adriatico del 1998. In un pomeriggio di marzo da tregenda, primi gli impermeabili, vinse lo sprint dei sopravvissuti Erik Zabel davanti a Jan Svorada e Steven de Jongh, uo­mini che venivano dal freddo, con Gabriele Balducci che conservava la maglia di leader conquistata il giorno prima a Sor­rento. Ma l’esito agonistico che persiste, in fondo modesto - e quella Tirreno sarebbe stata vinta dall’outsider svizzero Jaer­mann -, siglò solo l’epilogo di una giornata ben altrimenti rappresentativa.
Quel giorno viene ricordato tuttora infatti per lo scandalo della gran parte dei ciclisti che conclusero Fuori Tempo Massimo la corsa, per scelta e per protesta. In un finale, fra Casilina e Appia, falcidiato da pioggia e cadute di gruppo a carambola, una quarantina di atleti si raccolse all’attacco e si involò senza curarsi af­fatto - “non ti curar di loro, ma guarda e passa”- dei colleghi ri­masti a terra, sfortunati o doloranti.
E gli altri, distaccati e perplessi, infuriati, allora invocarono - senza ottenerla da Orga­niz­za­zio­ne, un amareggiato Castellano, e Giuria - la neutralizzazione della gara, a causa delle inclementi condizioni meteo, “per cause di forza maggiore”.

Fu lo sciopero bianco adirato, e innanzitutto fradicio, di quel centinaio di corridori fuori dai battistrada che incrociarono pedali e braccia, a un metro prima della linea del traguardo di Baia Domizia centro, per scivolare platealmente oltre il limite del tempo massimo. E parliamo di Cipollini e Bugno, Fondriest e Bartoli..., i campioni, i padroni del reame. La forza e la sfida della perorazione popolare non si applicò all’accidente mal­tempo nel ciclismo, almeno allora. Restarono in gara così, a Baia Domizia, in un livido marzo sconfitto, solo in 51. In 125 tornarono a casa. Si sarebbe ripartiti l’indomani da Sessa Aurunca, la sua piazza del Mercato. E sot­to il Castello medioevale dell’antica cittadina, rimbalzava ancora un gran vociare ferito di diatriba. Come Guelfi trionfanti in sella e Ghibellini invece disarcionati dal destriero della bici. “E il modo ancor ci offende”, avrebbe sentenziato Dante.
Non avremmo più visto dal 1998 il ciclismo maggiore - si dice così? - fermarsi qui. E di quella epoca resta pure tenace un graffito, quel “W SARONNI” scritto in vernice bianca indelebile, sul ponte della Ferrovia che traversa l’Appia, andando verso Min­tur­no, prima del viadotto sul Ga­ri­glia­no. Memorabile.

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