Elena Cecchini: «La mia nuova avventura»

di Giorgia Monguzzi

Elena Cecchini è ormai da anni una delle atlete più rappresentative del movimento italiano: per lei parlano cinque titoli tricolori tra strada e cro­no e una collezione impressionante di convocazioni in nazionale. Dopo un quinquennio tra le fila della Canyon Sram, la friulana ha deciso di approdare nel team Sd Worx, la formazione capitanata da Anna Van Der Breg­gen.
«Dal 2021 mi aspetto davvero tanto, c’è l’esigenza di ripartire, ma mi guardo intorno e tutto è un disastro» ci dice Elena dalla sua casa di Montecarlo, dove la situazione ospedaliera a fine gennaio è quasi al collasso. L’atleta del gruppo sportivo Fiamme Azzurre è tornata da nemmeno un giorno dal primo ritiro con la sua nuova squadra ed è re­duce dalla trafila ormai inevitabile di tamponi. C’è bisogno di ripartire, ce lo dice lei stessa e non c’è occasione mi­gliore che iniziare un’avventura tutta nuova al fianco della campionessa del mondo.
Dopo cinque anni in Canyon Sram inizi una nuova avventura…
«In Canyon ho vissuto cinque stagioni intense e assolutamente belle, in quella squadra sono cresciuta e sono diventata quell’atleta che desideravo tanto es­sere. Andarmene non è stato per nul­la facile, ma sentivo di aver bisogno di cambiare, non tanto a livello personale quanto piuttosto lavorativo. Io credo molto nel destino e il fatto che, in se­guito allo spostamento delle Olim­piadi, Anna Van Der Breggen abbia deciso di correre una stagione in più, l’ho interpretato come un segno, appena mi han­no proposto di essere al suo fianco ho accettato la sfida»
Come è stato il primo impatto con la squadra?
«Devo ammetterlo, prima di partire per il ritiro ero veramente terrorizzata. Sia­mo state nella zona di Calpe, in Spa­gna, per dieci giorni, ma per quattro di questi ha piovuto incessantemente. Non potevamo uscire in bici e così ci siamo ri­trovate tutte insieme chiuse in una villa megagalattica e tutto questo ha aiutato il gruppo ad entrare in sintonia. Ab­biamo fatto delle cooking class, lezioni di yoga, rulli, palestra e molte altre attività. È stata un’occasione per conoscerci meglio, capire cosa c’è oltre la bicicletta. Questa squadra è veramente fortissima e non è un caso se le atlete olandesi sono sempre così competitive, hanno una maniera particolare di interpretare il ciclismo, affrontano il lavoro al 200% ma, una volta finita la gara, sono serene e rilassate, a volte stressarsi troppo non fa bene»
Quest’anno sarai in squadra con la campionessa del mondo Anna Van Der Breg­gen. Come sarà non averla più come av­versaria ma come capitana?
«Avere Anna Van Der Breggen in squa­­dra è sicuramente uno stimolo. È una ragazza fantastica, ho avuto modo di parlare molto con lei e ho notato quanto sia serena e rilassata nonostante sia consapevole di essere il faro della squadra, penso che questo modo di fare l’abbia aiutata molto nella sua carriera. Poter essere al suo fianco è una opportunità grandissima, farò di tutta per aiutarla, ma so anche che lei è sempre ben disposta a dare una mano, quindi se io sto bene e se c’è una corsa a cui tengo particolarmente sono sicura che sarà dalla mia. E poi si sa, l’aiuto del campione del mondo dà quella spinta in più che manca».
Van Der Breggen ha detto che il 2021 sarà la sua ultima stagione da prof...
«Anna ha un’idea chiara della sua vita e sa quello che vuole. Mi ha detto che ha scelto di smettere non tanto perché non le piace più il ciclismo quanto perché non vuole più sentire addosso la competitività, non vuole continuare ad andare in bici per essere a tutti costi la prima. Nella sua testa ha l’idea di di­ven­tare mamma e sa cosa vuole fare do­po, smettere avendo già un piano è una cosa fondamentale. Lei è molto serena, anche perché ha già un lavoro offerto dalla squadra come direttore sportivo, ma sa benissimo che non è un compito semplice, non è sufficiente avere carisma, bisogna fare tante in contemporanea, sa di avere molto da imparare»
Invece tu ti vedresti come direttore sportivo?
«Fino a qualche anno fa avrei detto che, una volta smesso, non avrei più voluto avere più a che fare con il ciclismo: ormai da 22 anni sono in sella ad una bici, ma vi ho dedicato talmente tanto che sarebbe anche un po’ difficile lasciarlo. A questo punto della vita, però, non mi precludo nulla. Nel 2020 ho fatto il corso di primo e secondo livello per allenatori organizzato dalla Federazione, per il terzo invece preferisco aspettare quando smetterò di correre. A mio avviso, è davvero difficile diventare direttori sportivi appena si scende dalla bici, bisognerebbe aspettare un attimo e poi prendere tutta l’esperienza che si è accumulata negli anni e staccarla dall’essere atleti, altrimenti si è inevitabilmente portati a fare dei paragoni. Ritengo che continuare a confrontare le proprie atlete con quello che si è state non porti a risultati concreti, perché si rischia di compromettere la serenità di un ambiente. Forse è meglio staccare e poi ripartire».
Tornando invece al 2021, quali saranno i tuoi grandi obiettivi della stagione?
«Al primo posto metto i Giochi Olim­pici, penso che sia un po’ l’obiettivo di una carriera intera, un sogno grandissimo. Correre a Rio è stata un’emozione pazzesca, mi piacerebbe avere ancora quell’onore, ma so benissimo che non è facile, i posti sono pochissimi e ci so­no molte atlete giovani che scalpitano per essere della partita. Non ho an­cora studiato bene il percorso e non so quanto possa essere difficile, ma sono sicura che le favorite andranno a tutta e renderanno la gara dura»
E poi c’è il mondiale in Belgio…
«Assolutamente si! Ho indossato la ma­­glia azzurra in molte occasioni, ma quest’anno in particolar modo punto a fa­re veramente bene. Correremo in Bel­­gio, i muri sono sempre difficili, ma sono strade che conosco bene perché li affronto ogni anno in occasione delle classiche. È un percorso che mi piace e che mi sta a cuore, spero di avere l’occasione di dire la mia»
Come sarà il tuo percorso di avvicinamento ai Giochi Olimpici?
«È difficile fare programmi precisi con i calendari che cambiano praticamente ogni giorno, ma è certo che avrò sempre un occhio di riguardo per le classiche del nord che sono le corse che mi piacciono maggiormente. Inaugurerò la stagione con la Nieuwsblad, la Strade Bian­che, il Trofeo Binda in cui spero veramente di fare il colpaccio, poi il Fian­dre e molto probabilmente il Thu­ringen Tour a fine maggio. Quindi il Giro Rosa»
Hai già disputato sei volte il Giro d’I­ta­lia, è una corsa che ami molto….
«Essere al via del Giro d’Italia è sempre un onore grandissimo, ma è anche molto difficile, l’anno scorso in particolar modo è stata l’unica corsa a tappe che è sopravvissuta al Covid e abbiamo corso veramente a tutta, anche perché non abbiamo avuto gare intermedie per prepararci. Il percorso era piuttosto duro e già dalla seconda tappa la classifica era praticamente chiusa. Mi sento di chiedere agli organizzatori di pensare a delle tappe diversificate, non tanto per aprire la lotta alla generale, che do­vrebbe essere comunque riservata alle scalatrici, quanto invece delle frazioni intermedie anche rivolte alle velociste: in questo modo molte più atlete sarebbero invogliate ad essere della partita».
Quest’anno il Giro Rosa è stato retrocesso di categoria, c’è il rischio che non arriveranno più le grandi atlete del panorama internazionale?
«Nel 2020 il Giro ha fatto qualcosa di veramente incredibile, c’è da fare un grande plauso agli organizzatori: sono riusciti a mantenere una corsa a tappe nonostante ci fosse la pandemia e a ga­rantire tutte le misure necessarie, noi atlete eravamo assolutamente tutelate, il pubblico era ben distanziato e tutte le norme rispettate. Presumo non sia stato affatto semplice anche perché si è svolto tutto al Sud dove la cultura ciclistica non è così tanto sentita, bisognerebbe premiare queste cose, invece l’Uci l’ha ingiustamente retrocesso. È una decisione totalmente sbagliata che non condivido, ma la corsa rosa non ha bisogno di una classificazione per essere importante. All’estero gode di molto prestigio, è considerata come la corsa più importante in assoluto, anche se non è più nel calendario World Tour sono sicura che potrà sempre contare su un parterre di fortissime atlete straniere».
Quanto è cambiato il ciclismo femminile da quando hai iniziato a correre?
«Rispetto a 10 anni fa, quando sono diventata élite, sono cambiate tantissime cose e anno dopo anno miglioriamo sempre. Una volta non avevamo nemmeno il pullman, arrivavamo alle gare in macchina e ci cambiavamo per strada, ora invece tutte le grandi squadre ne hanno uno. È brutto dirlo, ma anche a livello di stipendio è tutto un altro mondo, prima guadagnavamo veramente pochissimo, ora anche una ragazza giovanissima che entra nel World Tour ha un salario più che dignitoso. Da quando le squadre maschili hanno creato la propria sezione femminile, si sono alzati anche il livello delle strutture e del materiale tecnico a nostra di­sposizione».
C’è ancora grande divario rispetto al mondo maschile?
«Fino a qualche anno fa non era assolutamente normale che una donna si allenasse con gli uomini, mi davano del­la matta e dicevano che non ne va­lesse la pena. Negli ultimi anni abbiamo fatto veramente passi da giganti, siamo riconosciute dai nostri colleghi e anche dalla stampa e l’avere in comune il 75% delle gare penso abbia aiutato molto. Purtroppo non si arriverà mai al livello del ciclismo maschile, ma credo che non sia nemmeno quello che desideriamo. Io vorrei che il ciclismo femminile venisse riconosciuto come sport vero e proprio, non come versione femminile di uno sport maschile».
C’è qualcosa che invidi al ciclismo ma­schile?
«Ormai abbiamo veramente tutto, ma sento che c’è proprio una cosa che mi manca: la Milano Sanremo. È una cor­sa che mi piacerebbe avere la possibilità di correre, provare a vivere quel so­gno che molti atleti uomini hanno. Pen­­so che a livello organizzativo non sia poi così tanto difficile: potrebbero farci partire a 160 km dal traguardo facendoci fare lo stesso percorso, le strade dopo tutto sono comunque chiuse dalle prime ore della mattina. Mi alleno su quelle strade ogni giorno e sarebbe bellissimo anche gareggiarci, ne verrebbe fuori una corsa non molto dura ma aperta a tantissimi colpi di scena».
Lanciamo un appello ad Rcs Sport?
«Assolutamente sì! Cara Rcs Sport, per il prossimo anno facci un pensierino»

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