Europei. Nizzolo, il collezionista

di Giulia De Maio

Le ha cercate e le ha volute con tutte le sue forze. Per Gia­co­mo Nizzolo, la maglia trico­lore di vincitore del Cam­pio­nato Italiano 2020 e quella di Campione Europeo conquistate nel giro di tre magici giorni, da Cit­ta­della a Plouay, rappresentano una sorta di un nuovo, bellissimo, inizio; una spessa linea di demarcazione tra l’Inferno del biennio 2017-2018, il Purgatorio del 2019 e quello che as­somiglia ad un ritrovato Paradiso nel 2020. Una fastidiosa tendinite gli aveva tarpato le ali ad inizio 2017, quando indossava proprio la maglia tricolore conquistata a Darfo Boario Terme nel giugno 2016 e sembrava in procinto di fare quel salto di qualità che gli poteva permettere di entrare definitivamente nell’elite del ciclismo mondiale. Invece da lì è cominciata una brusca discesa che lo ha visto alzare le braccia al cielo so­lamente una volta nei successivi due anni, in una tappa della Vuelta San Juan 2018; troppo poco per un corridore con le sue qualità. Così nel 2019 ha provato a dare una svolta alla sua carriera, lasciando la squadra che lo aveva lanciato tra i grandi nel 2011, la Trek Segafredo, per accasarsi alla Di­men­­sion Data, oggi NTT Pro Cy­cling, che, come lui, aveva bisogno di rialzarsi dopo un paio di stagioni opache. Il primo anno con la formazione sudafricana è stato discreto, non particolarmente brillante sui grandi palcoscenici ma utile a fargli riprendere confidenza con la vittoria, visto che si è portato a casa una tappa al Tour of Oman, una al Giro di Slovenia e una alla Vuelta a Bur­gos. Il 2020, invece, ci ha restituito probabilmente il miglior Nizzolo di sempre, che ha ripreso il cammino in­terrotto a fine 2016 e che stavolta non ha nessuna intenzione di fermarsi.
«Riconquistare la maglia tricolore è stata una gioia grandissima, perché quella vinta nel 2016 non sono riuscito a godermela del tutto a causa di vari fattori, in primis il problema al ginocchio che ho impiegato molti mesi a smaltire. Quella Europea, invece, è la ciliegina sulla torta di un periodo veramente fantastico per me», spiega il trentunenne nato a Milano, che è stato anche il miglior italiano alla Milano-Sanremo, chiusa al quinto posto. La maglia verde-bianco-rosso, purtroppo, non potrà mai mostrarla, perché quella biancostellata di Campione Europeo è più importante nella scala gerarchica delle maglie e nel 2021, verosimilmente, metterà in palio prima quella Trico­lore (giugno) e poi quella Continentale (settembre). Questa stagione flash, infatti, ha costretto ad assegnare due maglie così importanti in appena tre giorni: «Voglio metterla in mostra, ma­gari portandola nel gradino più alto del podio di qualche corsa importante. De­dico entrambe le vittorie a tutti quelli che mi sono stati vicini e, un po’ egoisticamente, anche a me stesso, perché solo io so quello che ho passato per tornare a questi livelli. Per quanto ri­guarda il Campionato Italiano, una menzione speciale va anche a Samuele Battistella, eravamo solo noi due in squadra e lui ha corso alla perfezione per tutta la gara. Ascoltava sempre quello che gli dicevo e ha fatto un ottimo lavoro».
A Plouay, invece, aveva a disposizione una squadra tutta per sé, compreso il vice-campione nazionale Davide Bal­lerini, che insieme a Matteo Tren­tin, Diego Ulissi, Davide Cimolai, Edoardo Affini, Giovanni Visconti e Manuele Boaro gli hanno confezionato una volata perfetta, che l’atleta milanese non ha fallito, pur dovendosela vedere con avversari del calibro di Arnaud De­ma­re, Pascal Ackermann e Mathieu Van der Poel: «La squadra è stata veramente eccezionale. Il treno è stato im­peccabile, ma per tutta la gara il team si è mosso benissimo, controllando e rispondendo agli attacchi di tutti. Ave­vamo deciso che ci saremmo giocati le nostre carte in volata e così è andata. Ho vinto di poco, non ero sicuro che il mio colpo di reni fosse stato vincente, ma per fortuna è andata bene. In tre giorni ho vinto due volate per pochi centimetri!»
Già prima del lockdown il brianzolo aveva messo in chiaro che per lui non sarebbe stato un altro anno ad inseguire gli altri. Così al Tour Down Under, nell’ultima volata di Victor Harbor, tutti si aspettavano Sam Bennett e Caleb Ewan, e invece è sbucato lui co­me una freccia a porre il primo sigillo della sua stagione. Nella paradossale Parigi-Nizza a porte chiuse, l’ultimo atto prima della maledetta quarantena, Jack è poi riuscito a fare un altro im­portante passo avanti: la seconda tappa nel bel mezzo della campagna francese, da Chevreuse a Chalette-sur-Loing, ha messo i corridori a dura prova tra pioggia, vento e tantissime cadute. Alla fine sono rimasti solo 11 corridori a giocarsi la tappa, tra cui l’ex Trek, che ha preso la ruota di Pascal Acker­mann, pilotato addirittura da Peter Sagan, e lo ha saltato negli ultimi 100 metri, vincendo nettamente. La progressione tecnica di Nizzolo è stata evidente e ormai definirlo solamente un velocista è estremamente riduttivo, considerando anche gli altri risultati ottenuti prima dello stop forzato, come il secondo posto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e il settimo a Le Samyn, corsa all’attacco sul pavé. Allo stesso Campionato Italiano, con la scalata de La Rosina per ben 12 volte e il muro in pavé de La Tisa, ha dimostrato di non temere per nulla i percorsi misti, anzi.
«Quando ho visto il percorso del Cam­pionato Italiano ho capito che sarebbe stato più selettivo di quanto avremmo immaginato, però sapevo che se avessi avuto una buona gamba avrei potuto tenere bene. Per vincere in questo tipo di corse bisogna avere tanta testa per riuscire a respingere i momenti di crisi, ma anche tante gam­be, perché se non le avessi avute avrei fatto fatica a superare Ballerini, essendo partito un po’ indietro nella volata finale».
Insomma, quello che abbiamo di fronte è un Nizzolo inedito: «Continuavo a ripetermi di voler tornare ai livelli del 2016, e adesso penso di essere addirittura un gradino sopra - ha ammesso -. Superare delle difficoltà importanti come ho fatto io ti aiuta a crescere e io, sinceramente, mi sento cresciuto. Di testa sono più forte e anche fisicamente mi sembra di aver fatto dei passi in avanti».
E allora non c’è niente di meglio che provare a tastare qualche nuovo orizzonte. Tipo le classiche del Nord, che ha sempre detto piacergli ma che, di fatto, non è mai riuscito a fare: «Ho corso due volte la Parigi-Roubaix e una volta il Giro delle Fiandre quando ero neoprofessionista e non sono mai riuscito a portare a termine la gara - am­mette ancora -. Questo potrebbe essere l’anno giusto per provare a ci­mentarsi con queste gare, se si faranno. Partirei senza nessuna pressione, ma solo con la curiosità di vedere do­ve posso arrivare».
Attualmente impegnato al Tour de Fran­ce, Giacomo è uno dei pochi uo­mini veloci ad aver scelto la Grande Boucle, vista la presenza molto esigua di tappe adatte agli sprinter. Proprio questo elemento, però, lo ha spinto a volare in Francia per provare a spezzare il tabù della vittoria di tappa in un Grande Giro: «Penso che nel complesso il percorso sia più adatto ad un velocista atipico come me, perché le volate sono da conquistare e di frazioni scontate non ce ne sono. L’obiettivo principale è vincerne una. La maglia verde? Non è una mia priorità, ma se mi do­ves­si trovare in lotta certamente non mi tirerò indietro».

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