LA MOVIDA DELLE CORSE
di Cristiano Gatti
È un conto alla rovescia quasi parossistico, ci si avvicina sempre di più al momento della prima corsa, e poi a seguire di tutte le altre. Anche se ancora sono del partito ci credo quando le vedo, voglio smuovermi dallo scetticismo e fare un passo avanti. Immaginiamo cioè che davvero le corse post-Covid, o durante, in convivenza, siano un fatto assodato: ecco, ma come saranno?
Naturalmente non voglio perdermi nei vicoli chiusi dei protocolli che incomberanno su squadre e organizzatori, tra tamponi e test sierologici, ritiri sotto campane di vetro e pronto intervento in caso di contagi dentro la carovana. Su questo si sono già spesi e ancora si spenderanno oceani di parole, più o meno fondate, più o meno attendibili: d’altra parte, si tratta di dare retta a sette miliardi (uno più, uno meno) di virologi.
Personalmente, vorrei spostare lo zoom e soffermarmi un secondo sulla visione laterale della corsa: sul pubblico. Non so come mai, ma fantasticando sul ritorno alle gare l'enigma che più mi affascina e più mi angoscia riguarda proprio la gente. In altri sport la fanno facile: porte chiuse e avanti con gli incassi televisivi. Per ovvi motivi, il ciclismo può solo scimmiottare l’ipotesi, parlando di porte chiuse. Ma è un tale controsenso, un tale ossimoro, una tale bestialità, che nessuno può davvero credere all’idea di una grande corsa a porte chiuse.
Non c’è bisogno che i soliti solerti si affrettino a spiegarmi delle partenze e degli arrivi con villaggi blindati eccetera eccetera. Io intendo il ciclismo sport da strada, da borghi e contrade, per cui intendo la corsa quando è in giro per i territori delle nazioni. A quel punto, in quelle fasi, cosa significa porte chiuse? E una volta che ce l’hanno spiegato, chi le controlla?
Necessariamente, bisogna subito precisare i termini del ragionamento: inutile sprecare tempo parlando del pubblico civile e responsabile. Questa gente non ha bisogno di alcun protocollo: lo sa da sola come affacciarsi alla corsa senza generare rischi. Tra parentesi, possiamo ben dire che storicamente il pubblico del ciclismo ha proprio queste prerogative. Ma riconosciuto orgogliosamente questo, non possiamo nasconderci anche una nuova verità: negli ultimi tempi, persino lungo le strade del ciclismo qualcosa è cambiato. Dentro il corpaccione pacioso, mansueto, tollerante, godereccio, rispettoso si è sviluppata la metastasi deprimente del cretinismo.
Occupandoci tutti di tragedie Covid, a me viene spontanea una similitudine: vedo un certo tifoso emergente del ciclismo, che si manifesta sempre più spesso in questi strani flash-mob a favore di telecamera, flah-mob di ubriaconi seminudi, di esibizionisti in costume da coniglio rosa, di selfie-dipendenti girati di spalle, tutti eccitati all’idea di correre al fianco del corridore, o di abbatterlo con gomitate e colpi di obiettivo, vedo questa nuova frangia e subito la abbino all’umanità fuori controllo delle movide post lock-down. Senza escludere che in definitiva siano proprio gli stessi individui, di notte a far danni in piazza, di giorno a far danni sui tornanti del Pordoi, le manifestazioni di deficienza pura, ma soprattutto di pericolosità sociale, sono esattamente le stesse. Come è difficile controllare le movide, così è difficile arginare i mentecatti ad alto tasso alcolico che sempre più di frequente inquinano le gare. Ora, con un rischio enormemente più alto: prima rovinavano soltanto il risultato, da qui in avanti possono rovinare la salute.
E allora, tirando le somme: cosa si intende per porte chiuse pensando a questa deriva del tifo incontrollabile? Ancora minoritaria, per fortuna, ma comunque invadente e potenzialmente ad altissimo rischio? Chi e come riuscirà a garantire la sicurezza della carovana e del pubblico sano dagli assalti di queste bestie decerebrate? Se qualcuno è già in grado adesso di dare risposte precise e garanzie assolute, io sarei proprio felice di aggiornarmi e mettermi tranquillo. In caso contrario, se cioè ci affidiamo allo Spirito Santo, aspettando di vedere come andrà alla prova dei fatti, mi metto in modalità ansia e faccio gli auguri a tutti.