La certezza che Carmine Castellano non sarà più dal 2005 sull’ammiraglia del Giro d’Italia e delle altre corse «rosa» rientra nell’ordine dei congedi e delle svolte - siano esse dall’anagrafe imposte o invece dall’anagrafe consentite - di una vita e di un contratto di lavoro. E si abbina, nel contempo, alla garanzia di professionalità e di amore per il ciclismo in senso lato che tanto l’amico Angelo Zomegnan quanto l’esperto Mauro Vegni, leaders designati del nuovo apparato organizzativo della RCS Sport, rappresentano.
Quel che ci turba, da antichi amanti e frequentatori del Giro - dal ’73, arrivo a Fiuggi, primo Tullio Rossi...- visto dalla prospettiva del Sud, è il dubbio che il commiato di Castellano possa segnare un ulteriore, ed in qualche modo fisiologico, allontanamento del ciclismo maggiore dalle regioni centrali, e meridionali innanzitutto, del nostro paese. Esasperarne un divario logistico, già purtroppo stridente.
Castellano, l’avvocato di Sant’Agnello a suo tempo prescelto come delfino da Vincenzo Torriani, in nome della sola preziosa ciclofilìa, identificava un baluardo ed un approdo sensibile proprio per le richieste e le esigenze espresse dalle regioni e dalle province del Centrosud.
«Bisogna parlare con Castellano...», per proporre una sede di tappa o chiedere un consiglio operativo: come ci si rivolge, dalla platea degli studenti, ad una autorità accademica di cui si conosce ad un tempo il magistero e la disponibilità.
Quel Carmine lì, che conoscemmo una sera a Sorrento - Giro ’91, primo Boyer - e trovammo abilissimo nel mitigare una «incazzatura» di Torriani con Sangalli, relativa ad un attraversamento di paese maldisposto per il giorno successivo, ci mancherà tremendamente.
E mancherà, per intenderci, ai tanti Marzaioli, Serino, Cutolo, Rossi, Guerrieri, ai tanti operatori di ciclismo meridionale che affrontano quotidianamente lo scetticismo, e spesso l’indifferenza, di un contesto sociale e culturale ciclisticamente impreparato. (E che qualche anno fa, per inciso, già pagarono a livello di attività di base l’immatura scomparsa di Raffaele Reccia, il vicepresidente della FCI).
«Bisogna parlare con Castellano...». Per un traguardo a Marcianise o una partenza da Sessa Aurunca o Roccamonfina. O per arrivare a Pietralcina, il paese di Padre Pio. O per recuperare il litorale domizio laziale.
Saremo parziali, forse anche municipali, ma ci sembra questa una inalienabile dichiarazione, che è di affetto e di aiuto all’unisono.
Il ciclismo del Sud, pensiamo per esempio a quello campano che pur sempre offre una dozzina di professionisti allo schieramento nazionale, un ciclismo che per tanti motivi non riesce a camminare da solo, non deve correre il rischio di una caduta di visibilità e popolarità: anche rispetto all’incalzare invadente di altre discipline sportive.
«Bisogna parlare con Castellano...». Per riscoprire una cronometro ad Ischia o quella partenza del Giro in notturna su via Caracciolo, a Napoli, che in una stagione non sospetta già illuminava gli occhi di Torriani...
Bisogna parlare con Castellano...». Il Giro d’Italia del Sud e quella stessa Tirreno-Adriatico, che per un paio di anni fece di Sorrento la sua alcòva, sono qui, ad aspettare - con un sentimento che non va tradito - un’altra primavera di corse al sole. Come don Chisciotte, in favore di fantasia.
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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