Sivakov Dinasty

di Giulia De Maio

«L’Italia deve essere nel mio destino». A dirlo è Pavel Si­vakov, vincitore del Tour of the Alps, ed è difficile dargli torto. Anzitutto per­ché è nato… a San Donà di Piave (Venezia): papà Alexei, infatti, è stato professionista dal 1996 al 2005 e quando Pavel è ve­nuto alla luce stava correndo con la Roslotto di Moreno Ar­gentin. Cre­sciu­to in Francia (a Saint Gaudens, zona pirenaica), è doppio fi­glio d’arte, nel sen­so che la madre - Aleksandra Ko­lia­seva - è stata due volte iridata nella cronosquadre negli anni Novanta. E sempre in Italia, nelle categorie giovanili, Pavel ha vinto il Giro Under 23 e quello della Val d’Aosta nel 2017, due pro­ve estremamente indicative per le qualità dei giovani.
«Credo che ricorderò per sempre questi cinque giorni perché ne esco decisamente con maggiore fiducia nei miei mezzi. Il passaggio al professionismo, nel 2018, non era stato facile. Ma già nei primi mesi di quest’anno mi sembrava di avere fatto un salto di qualità» spiega Pavel in maglia ciclamino.
Due anni fa, con indosso la maglia rosa del Giro d’Italia Under 23, ci aveva confidato di sognare di correre le grandi corse di tre settimane tra i professionisti. Ora, che a 21 anni ha rotto il ghiaccio nella massima categoria conquistando la seconda tappa e la classifica generale del Tour of the Alps, ha realizzato un altro dei suoi sogni nel cassetto.
«Non ci credo, ancora non mi rendo con­to di cosa sono riuscito a fare. Mi piacciono le strade italiane, mi portano bene. La prima vittoria tra i grandi è speciale, sa di ricompensa. La stagione scorsa è stata molto impegnativa, per non subire il salto dalla categoria Un­der 23 ho dovuto lavorare tanto. Alzare le braccia al cielo è un’iniezione di fi­ducia enorme. Ora speriamo di continuare così…»,  raccontava a Scena do­po aver conquistato la tappa.
E all’arrivo finale di Bolzano ha ag­giunto: «Sono state giornate molto stressanti, ma non ho mai dubitato del mio team e non ho mai pensato di perdere la maglia. Avevo paura che Nibali potesse scappare, di non essere in gra­do di tenergli testa, ma come squadra ab­biamo fatto per l’ennesima volta l’impossibile e tutto è andato per il me­glio. È da pazzi pensare che un neoprofessionista come il sottoscritto abbia avuto come gregario un campione che ha vinto quattro Tour de France, un Giro d’Italia e una Vuelta a España, ma è successo. Chris (Froome, ndr) mi ha dato tanti consigli, si è trovato in questa situazione così tante volte che sa come comportarsi quando si è al co­mando della classifica generale di una corsa. In questi giorni abbiamo dimostrato quello che possiamo fare al Giro d'Italia, ma nel corso delle tre settimane rosa ci aspettano tante tappe di alta montagna e sappiamo che è lì che si deciderà la corsa. Questa settimana è stata fantastica, mi sono divertito, è stato tutto bellissimo, non la scorderò tanto facilmente. Conquistare un successo in Italia, per me che sono nato in questo Paese, è fantastico. Ora non vedo l'ora di mettermi alla prova con il Giro».
Pavel ha regalato al Team Sky l’ultimo successo di un’era che ha segnato profondamente il mondo delle due ruote. Dal debutto nel ciclismo nel 2010 i corridori di David Brailsford hanno conquistato 331 vittorie tra cui 8 grandi giri e altre 55 corse a tappe. Il tutto in 10 anni.
Alto (1.88 cm) e magro, fisicamente Sivakov ricorda Chris Froome. «Con ragazzi così, mi piace pensare che il futuro del team sia assicurato - commenta dal canto suo il 33enne keniota naturalizzato britannico, pronto a sfoggiare la casacca del Team Ineos. - Si­va­kov e Geoghegan Hart hanno tan­ta classe e sono sicuro che al Giro d’Italia si faranno valere al fianco di Bernal. Mi rivedo molto in Pavel, anzi io a 21 anni ero meno forte, soprattutto a cronometro. Il Tour of the Alps non è una gara World Tour ma vi si avvicina mol­to come livello e come percorsi, dunque per loro era un esame importante e l’hanno superato in pieno. Quanto a me, continuo la strada verso il Tour de France con grande fiducia».
Il ciclismo per Pavel è tutto.
«Sono cresciuto respirandone i va­lori in famiglia, in casa si parla sem­­pre di due ruote. Papà e mamma mi danno numerosi consigli. Che dire di me? Sono un ragazzo russo, nato in Italia, che vive in Francia. Un bel mix (sorride, ndr). Il Giro ha un valore speciale per me, anche se ho vissuto in Ita­lia solo il primo anno della mia vita. Ho un bellissimo ricordo del Giro U23. Ho ereditato la nazionalità di pa­pà e mamma e corro per la nazionale russa, ma sono cresciuto in Francia. In realtà non ho molti legami con la Rus­sia: là non ci sono strade adatte per i ciclisti, tutti i giovani russi devono ve­nire in Europa per coltivare la loro passione, è un peccato. Ho conosciuto Di­mitri Konyshev all’Europeo di Plu­me­lec, ci ha dato consigli per la gara. È da ammirare, ha avuto una carriera super. Se arriverò mai ai suoi livelli? Ci spero, ma ho ancora tanta strada da percorrere»
Al prossimo Giro d’Italia sarà un uomo preziosissimo per Bernal. Egan può vincere la maglia rosa a soli 22 anni?
«Questa è una domanda difficile alla quale rispondere, ma di certo partiamo con quest’obiettivo. Non sarà facile, ma daremo il massimo. Sono orgoglioso di far parte di questa nuova generazione che sta emergendo nelle corse im­portanti. Siamo un gruppo giovane, ma abbiamo lavorato insieme a lungo e preso parte già a numerose corse. Non avremo tanta esperienza, ma abbiamo dimostrato di sapere correre e, ne sono convinto, ci faremo onore. Sarà di sicuro un’esperienza interessante e preziosa per tutti noi».

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