Laigueglia, la favola di Velasco

di Valerio Zeccato

Un volo solitario. Un gioco da ragazzi per uno che sta prendendo il brevetto di vo­lo PPL (licenza di pilota pri­vato)... Ma un conto è farlo alla guida di un piccolo aereo, un altro spingendo sui pedali della bicicletta. Simone Velasco, classe 1995 emiliano-toscano (è nato a Bo­logna ma vive all’Isola d’Elba), domenica 17 febbraio si è improvvisato “pi­lota di bici”: si è alzato sui pedali al primo passaggio sulle rampe della cor­ta ma tosta salita di Colla Micheri e ha fatto il vuoto andando a trionfare in solitaria nella 56a edizione del Trofeo Laigue­glia.
Il ragazzo della Neri Sottoli - Selle Ita­lia - KTM di Angelo Citracca e Luca Scinto, si è sciroppato oltre 40 chilometri di fuga in solitudine tenendo testa agli inseguitori che qualche volta si so­no avvicinati, ma non sono mai riusciti a riaprire ve­ramente i giochi. Una ca­valcata trion­fale, sognata e voluta, nella prima domenica in cui il sole ha fatto capolino e ha rallegrato la sempre regale cornice di folla che accompagna la corsa della Riviera di Ponente, organizzata dal Comune di Laigueglia con l’im­pareggiabile regia tecnica del Grup­po Spor­tivo Emilia diretto da Adriano Amici.
Dopo i baci e gli abbracci, le emozioni, i sorrisi e i pianti sul palco delle premiazioni, Simone prima di “concedersi” all’antidoping, si presta volentieri alle nostre domande.
Felline e Moser, i vincitori delle ultime due edizioni del Trofeo Laigueglia, avevano fatto il vuoto con una “fucilata” nel finale. Alla vigilia era lecito pensare a qualche azione sulla stessa falsariga per vincere l’edizione n° 56 della classica di apertura del calendario italiano, tu hai fatto addirittura meglio non una fucilata ma un “colpo di cannone” sparato a lunghissima gittata...
«Io sono così: quando faccio una cosa mi piace farla bene. E stavolta l’ho fat­ta davvero come si deve... (e a Simone scappa una bellissima risata, ndr). Sin­ceramente sono partito pensando di ri­manere come appoggio di Giovanni (Visconti, ndr); ho visto che nessuno mi è venuto a ruota e ho preso un bel vantaggio. Sono andato via con il mio ritmo, prendendo un bel passo, e dentro di me pensavo continuamente, adesso verranno a prendermi, e me lo ripetevo spesso mentre pedalavo e continuavo ad andare col mio passo, molto forte. In discesa andavo a tutta e guadagnavo sugli inseguitori, vengo dalla mountain bike e quindi guido molto bene la bici. E alla fine sono arrivato da solo. Si è concretizzata una favola. Ed è vero che i sogni esistono. Mi sen­to di dire a tutti di crederci sempre, e di impegnarsi. Dietro questo successo ci sono un’infinità di sacrifici e di difficoltà passate. E le persone che mi sono sempre state vicine, i genitori, i parenti, gli amici, sanno cosa c’è dietro. De­vo un grosso grazie a tutti loro, così come un grosso grazie lo devo a chi mi ha dato la possibilità di iniziare a correre in bici, a chi mi ha dato la possibilità di esprimermi così, Angelo (Citrac­ca, ndr), Luca (Scinto, ndr) e tutto lo staff della Neri - Selle Italia - KTM. Ma­­gari dimentico qualcuno, non so cos’altro dire: sono ancora molto euforico per la vittoria, ancora quasi non ci credo: è stata davvero un’impresa».
Sei professionista dalla stagione 2016 e l’anno scorso ti sei messo in buona evidenza con il 5° posto al Trofeo Matteotti e il 10° al Gran Piemonte, due corse im­portanti. Avevi già fatto capire di saper restare al livello dei migliori...
«Da dilettante penso di aver dimostrato di essere un corridore abbastanza completo e andavo forte. Poi purtroppo ho avuto il riacutizzarsi della mononucleosi subito all’inizio del primo anno da professionista che mi ha co­stretto a stare fermo e iniziare a gareggiare da metà stagione, sempre però a rincorrere la migliore condizione. Pur­troppo sono dei virus che ti lasciano strascichi per tanto tempo, finalmente a metà della scorsa stagione ho iniziato a sentirmi bene, ho ritrovato quelle sensazioni che provavo quando ero di­lettante, e quest’anno mi sono detto di ripartire col piede giusto, così come avevo finito la scorsa stagione con del­le buone corse e buoni piazzamenti. Di­rei che meglio di così non potevo partire: debutto in Italia col botto a Laigueglia. Qui in zona, a Loano, ave­vo vinto una corsa internazionale tra gli Juniores, anche in quell’occasione arrivando da solo, ma vincere tra i professionisti è davvero un sogno che si realizza».
Ripercorriamo la tua carriera dagli albori. Nato a Bologna il 2 dicembre 1995, ma da una vita nella bellissima Isola d’Elba.
«Mi sento un po’ cittadino del mondo. Sono nato a Bologna ma mi sono trasferito subito all’Isola d’Elba perché la famiglia di mio papà è di Procchio (ri­nomata stazione balneare, ndr), una piccola frazione di Marciana e ho sempre abitato là. Poi da quando ho iniziato a frequentare le scuole superiori sono tornato a Bologna nel periodo in­vernale per frequentare l’Istituto tecnico aeronautico Alessandro Manzoni. Da lì è iniziato il discorso della bici, e se da una parte per strade e clima l’Isola d’Elba è un paradiso per allenarsi, per gli spostamenti è però un pochino limitata, per questo sono tornato a vivere un certo periodo dell’anno nella mia città natale, a Bologna».
Quando Simone Velasco si è avvicinato alle due ruote e perché?
«È sempre stata una passione di famiglia. Il mio bisnonno Candido Velasco correva in bici nell’epoca di Coppi e Bartali, e vinse da indipendente per ben due volte il Giro dell’Elba nel 1938 e nel 1946. È stato lui che ha trasferito la passione per il ciclismo a mio babbo Gabriele, che ha corso in mountain bike ad altissimi livelli all’inizio degli anni 2000. La mia prima bici è stata una mtb, ricordo il colore giallo e verdolino e non la marca, ma se cerco be­ne in cantina può essere che ci sia an­co­ra. Avevo un paio di anni e la usavo con le rotelle, poi prima di avvicinarmi al ciclismo le ho provate tutte. Nuoto, calcio giocando un anno nei Pulcini con l’Audace Isola d’Elba, rugby dove ero mediano di mischia con l’Elba Rugby; poi visto che papà aveva una scuola di vela mi sono avvicinato anche a questo sport e da giovanissimo ho fatto anche l’istruttore di windsurf. Avevo sedici anni ed era il mio primo “lavoro”, bellissimo anche se è stressante stare tutto il giorno in mare. Nel frattempo però già gareggiavo nella categoria Allievi, sempre nelle ruote grasse, con l’Elba Bike, poi sono passato alla strada grazie a Mario Trevisan che mi ha messo in contatto con Mas­simo Levorato e Marco Germin della Work Service. Da lì sono andato alla Zalf nei dilettanti, poi alla Bardiani-Csf tra i professionisti e ora sono arrivato qua alla Neri - Selle Italia - KTM e devo dire che mi trovo davvero bene, mi sento come in famiglia. Questa è la storia della mia vita ciclistica, nella qua­le c’è parte anche della passione per la bicicletta che c’è sempre stata anche dalla parte della famiglia di mia mamma Elisa».
Figlio unico - «sono viziato e coccolato» - tiene a precisare Simone con quel suo sorriso a volte timido a volte travolgente, che poi torna indietro nel tempo e si commuove.
«Mio bisnonno Candido non c’è più e a lui devo veramente tantissimo - e qui trattiene a stento le lacrime nel ricordare quella figura e quei momenti -, nei primi periodi a Bologna solo lui sa co­sa ha fatto per me: mi veniva dietro in macchina agli allenamenti, poi al ve­nerdì dopo aver finito la scuola mi portava a Piombino per prendere il traghetto e tornare a casa dalla mia famiglia nell’isola, e la domenica mi veniva a riprendere».
Quindi la grande impresa del 56° Trofeo Laigueglia è dedicata a lui?
«La vittoria la dedico a tutte le persone che mi sono vicine. Ad una persona che mi è venuta a vedere ma che per il mo­mento non voglio svelare, alla quale avevo detto: “se vieni vinco”, l’ho detto per scherzare e si avverato. E a mio bi­s­non­no non dedico la vittoria, dedico tutto quello che ho fatto in carriera fi­no ad oggi, e quello che riuscirò a fa­re in seguito. È stata una persona fantastica e mi sembra limitativo dedicargli so­lo una vittoria».
La favola l’hai concretizzata, guardiamo oltre: dove vuoi e puoi arrivare? Il capitano Giovanni Visconti ha tanta fiducia nella squadra.
«Siamo un gruppo ben allestito, siamo giovani, tutti volonterosi e affiatati. Come dicevo prima, siamo una vera e propria famiglia, cercheremo di fare il meglio possibile in tutte le corse a cui prenderemo parte: dopo qualche gara all’estero torneremo in Italia e saremo al via alle Strade Bianche, poi a Lar­cia­no, la Tirreno-Adriatico, Milano-San­remo, Coppi e Bartali. Giro di Sicilia, Tour of the Alps e Giro dell’Appen­ni­no. Quindi tante possibilità in corse importanti per metterci in evidenza».
Quanto conta avere in squadra un corridore forte ed esperto come Visconti?
«Visco è veramente un grande. Un va­lore aggiunto. Ti dà consigli, ti dà sicurezza, sai che puoi fare affidamento su di lui e quindi ti toglie anche un po’ di pressione, e sono cose che contano tan­to. Poi è anche uno che fa gruppo e questo è importante».
Velasco un sogno lo ha realizzato. Ne ha tantissimi altri nel cassetto, si definisce un ro­mantico e come i romantici è appassionato e sognante. I garretti sono buoni, la testa anche. Il resto ver­rà da sé. Che sa rialzarsi dopo essere caduto lo ha già dimostrato. E ha il pregio di essere giovane ma allo stesso tempo di saper aspettare. Le favole esistono: parola di Simone.

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