
Nel piazzale sono parcheggiate auto e furgoni provenienti da ogni dove, carichi di adesivi e di storie. Sotto le tribune del velodromo, in prossimità del museo che raccoglie i cimeli di Attilio Pavesi e della storia quasi centenaria dell'impianto che gli è stato intitolato, ci sono rulli, maglie, biciclette, asciugamani e di tutto un po'. Il prato (e la tribunetta) a bordo del rettilineo opposto alla tribuna è colonizzato dai meccanici con ruote, attrezzi e tutto quel che serve. Il velodromo Pavesi di Fiorenzuola è come un villaggio che si anima ogni pomeriggio per sei giorni: atleti che si scaldano, che riposano, che chiacchierano, che studiano il programma e i rapporti da usare, che tifano per i loro colleghi. Per i connazionali, certo, ma come il ciclismo insegna, in fondo tifano per tutti.
Come accade nelle rassegne iridate e continentali nei velodromo al coperto, atleti e tecnici di diverse nazioni sono al lavoro spalla a spalla ma qui a Fiorenzuola il caldo dell'estate, il sole del pomeriggio e un programma mai eccessivamente pesante, consentono contatti e confronti che altrove sono più difficli. Eppure le prove dei Gran Premi Internazionali di Fiorenzuola sono gare che contano, categoria 1.1 per la pista, il massimo che ci sia al di fuori dei campionati che assegnano titoli. Far bene qui può significare conquistare (o almeno contribuisce fattivamente a conquistare) un posto per i prossimi Mondiali o addirittura per le Olimpiadi.
Qui chi fa pista è di casa: quest'anno 150 atleti, 24 federazioni nazionali rappresentate, candidature a partecipare che vengono anticipate di anno in anno, firmate con una stretta di mano, per confermarle poi ci sarà tempo. Ma nessuno mai tradisce la promessa "ci vediamo il prossimo anno".
Il segreto del successo di questa manifestazione? Quello vero lo conoscono solo le donne e gli uomini dell'Asd Florentia: 29 anni fa, guidati dall'intuizione di Claudio Santi, si sono inventati qualcosa di incredibile e da quel momento hanno continuato a crescere. Prima con la Sei Giorni nel formato tradizionale, poi con le gare internazionali di categoria 1.1: ogni anno un passo in avanti, un nuovo tassello nel mosaico, una scelta che si è rivelata vincente.
Alle delegazioni, viene riservata un'accoglienza calorosa e un'attenzione meticolosa; al pubblico, vengono aperte gratuitamente le porte e al tempo stesso vengono spalancate le braccia; ai più golosi, vengono servite specialità che trasformano la kermesse in un ristorante gourmet (posti sempre esauriti...).
Tutti, a Fiorenzuola, si sentono in famiglia; tanti, a Fiorenzuola, si rimboccano le maniche spinti dalla voglia di dare una mano. Non è un caso che autorità, personalità e sponsor negli anni siano entrati nell'organizzazione non certo con l'intento di apparire ma con il desiderio di contribuire.
E allo stesso modo non è un caso che tanti atleti diventati campioni ricordino le loro esperienze al velodromo di Fiorenzuola: chiedere lumi a Chris Hoy (che ha battezzato Fiorenzuola il suo primo modello di bicicletta da pista), a Geraint Thomas, a Benjamin Thomas, a Elia Viviani e Filippo Ganna, solo per fare qualche nome.
Fiorenzuola isola felice? Probabilmente non sempre è stato così - in quasi trent'anni di storia errori, discussioni e momenti forti sono inevitabili - ma di sicuro qui per sei giorni (che per tutta l'organizzazione diventano un anno intero di lavoro) il mondo della pista trova un porto sicuro, un rifugio perfetto e soprattutto un trampolino verso la gloria.
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