Non siamo piu’ soli
Ma che bella novità, si ricomincia scoprendo che questo inverno non è passato invano. C’è nell’aria un incredibile cambiamento: il ciclismo non si trova più solo nel lebbrosario dello sport.
Nel giro di pochi mesi, il prodigio che sembrava impossibile si è improvvisamente compiuto. Proviamo a fare mente locale: fino a qualche tempo fa, la logica comune assegnava al ciclismo la dimensione e la dignità di terra promessa del doping. Terra promessa o zona depressa, a seconda delle opinioni. Ma indiscutibilmente in esclusiva, quasi un mondo a parte con abitudini, costumi e malcostumi tutti particolari. Che cosa succede, ora? È difficile dire. Per sommi capi, mi darei questa spiegazione: a forza di trovare calciatori dopati, anche i più duri di cervice - o in malafede - hanno dovuto riconoscere che la chimica è ovunque. Sì, anche e persino nell’Eden del calcio. Certo ce n’è voluta: ma dopo aver spiegato il primo caso col prosciutto di cinghiale, il secondo con lo shampo, il terzo con i canelloni, al dodicesimo si sono trovati davanti al bivio: o dare la colpa allo Spirito Santo, oppure ammettere più semplicemente che qualcosa non funziona.
Ed eccoli qui, adesso, i nostri amici del calcio. Alcuni hanno addirittura la spudoratezza di salire sul palco dei paladini e dei pionieri, spacciando i loro ridicoli controlli sangue-urine su base volontaria come una nuova guerra senza quartiere al flagello del doping: sì, combattono il nemico chiedendogli se gentilmente, senza troppo disturbo, eventualmente abbia per caso voglia di dare un po’ di sangue. Come anche il più mentecatto può capire, un drogato risponderà sempre no: mi vogliono spiegare allora che cosa sperano di trovare, con questi controlli alla Totò?
Indipendentemente da questi grotteschi dettagli, resta comunque il passo in avanti - storico e decisivo - che ci interessa: ormai è opinione generale che il doping non sia più esclusiva del ciclismo, ma dilaghi nell’intero pianeta sportivo. Possiamo quasi stare tranquilli: quando si ripresenterà qualcuno, l’ultimo dei giapponesi ad uscire dalla foresta convinto d’essere ancora in guerra, per dire la solita frase “ciclisti tutti dopati”, finalmente non saremo i soli a rispondere guardati in giro. Credo che a parte qualche cocciuto giapponese saranno ben pochi quelli ancora disposti a sostenere l’equivalenza ciclista uguale dopato. Se dio vuole, ne è passata un’altra, quella vera e definitiva: sportivo uguale dopato.
Che cosa significa, questa rivoluzione culturale? Metto subito avanti le mani, conoscendo i nostri polli. Non deve assolutamente significare un nuovo via libera alle vergogne del ciclismo. La convinzione di essere ormai nel male comune non deve portare al mezzo gaudio. Sarebbe un errore imperdonabile, sfruttare questo clima generale per fare stupide retromarce: il ciclismo deve continuare imperterrito e imperturbabile la sua durissima lotta per la pulizia, evitando di speculare furbescamente sul clima generale di sfacelo. Il calcio crolla sotto la - tardiva e colpevole - scoperta del doping? Peggio per lui. Provi che cosa significa. Rifaccia la strada che il ciclismo ha già dolorosamente percorso. Ma per quanto riguarda il ciclismo stesso, niente deve cambiare: mano pesante, magari radiazioni a volontà, come unica risposta a chi viene sorpreso. Senza illuderci mai di poter eliminare i bari affidandoci unicamente alla coscienza di ciascuno: se questa coscienza funzionasse in tutti quanti, non esisterebbe neppure il problema.
Allora: patti chiari e amicizia lunga. Nessuno sfrutti le grane del calcio per concedersi nuove avventure. Potrebbe succedere una cosa bellissima: dopo tanti anni di lebbrosario, quelli del ciclismo potrebbero essere presto additati come eroi dell’antidoping persino da quelli che li hanno derisi come sudditi del doping. Non c’è come provare sulla propria pelle, nella vita, per capire un po’ di più gli altri: quando il calcio avrà assaporato per intero la dura prova del doping, probabilmente capirà quanto avanti e rispettabile sia la lotta intrapresa tanto tempo fa dai lebbrosi della bicicletta.
In tutto questo, vorrei soltanto segnalare uno strano fenomeno: l’imbarazzante - o imbarazzato? - silenzio dei Torquemada che in questi anni si sono esibiti sui ciclisti dopati. Parlo soprattutto degli stimabili colleghi che nel tempo hanno definito inattendibili i risultati delle corse, e via infierendo sono arrivati persino a considerare morti di doping alcuni morti di causa naturale. Non ho problemi a fare qualche nome, anche perché li stimo sinceramente e mi sembra civile polemizzare anche pesantemente con gente stimabile: parlo di Eugenio Capodacqua della Repubblica, di Sergio Rizzo del Corsport, di Giuseppe Toti del Corriere della Sera cioè di giornalisti molto documentati, molto seri, molto bravi. Però al momento anche molto deludenti: dopo aver fatto a pezzi - spessissimo giustamente - lo sport della bicicletta, nulla stanno dicendo su quello del pallone. Dove sono i toni forcaioli riservati, faccio per dire, al professor Conconi, peraltro uscito assolto da un regolare processo? Perché il 50 di ematocrito dei ciclisti è una norma truffa, mentre l’esame facoltativo del calcio non merita neanche due righe di commento? Sono domande, in attesa di eventuale risposta. Non vorrei mai che la risposta fosse quella più triste: per campare bene, bisogna essere forti coi deboli e deboli coi forti.
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