Editoriale
Prendere e lasciare: perché, altrimenti, il ciclismo rischia di essere l’agnello da sacrificare sull’altare della credibilità. È necessario quindi prendere coscienza del fatto che così non si può più andare avanti e, di conseguenza, lasciare questa strada prima che sia troppo tardi.
L’estate calda dei meroloni, dei secessionisti, dei piccoli grandi scandali di doping è alla spalle, ma la situazione del nostro movimento è oltremodo preoccupante. Il professor Luigi Cecchini, da noi intervistato sul numero di settembre, ha lanciato dure accuse all’indirizzo delle famiglie, a quelle famiglie che vivono una vera e propria «ossessione da doping».
Cecchini, però, ha solo spostato l’attenzione del problema, sparando altrove. Il problema dei genitori folli, dei diesse disposti a sottoporre i loro corridori a qualsiasi pratica, dei presidenti di società che badano solo e soltanto alle vittorie esiste ed è certamente reale e preoccupante, ma il nodo del problema resta il grande mondo del professionismo e quei dottori-preparatori che ne muovono le fila.
La situazione è al limite del grottesco. Anzi, il limite è già oltrepassato. Non voglio apparire oltremodo pessimista, mi limito semplicemente a considerare i fatti. Oggi è impossibile assistere ad un avvenimento, a una corsa, a una manifestazione di grido senza che il vincitore sia avvolto dall’aura del sospetto. «Ma cosa credi che quello vada veramente a pane e acqua?». Si parla in ogni occasione di pratiche illecite, tutti lo sanno, tutti sono pronti a guardarti negli occhi con quelle espressioni da sapientoni che ci imbarazzano non poco e ci fanno sentire tapini. Sono tutti pronti a spiegarti come funzionano le cose. I più sinceri dicono che anche loro fanno come tutti gli altri; gli altri, appunto, negano, limitandosi a dire che il problema è circoscritto a pochi personaggi che non meritano considerazione. Ma il problema è il testosterone, l’eritropoietina e quant’altro c’è: noi ascoltiamo ma non possiamo scrivere, perché per mettere nero su bianco occorrono testimonianze e queste devono essere accompagnate da prove. Prove che nessuno dice di possedere. Così, come nelle più belle realtà meridionaliste tutti tacciono, in una omertà che rende questa Italia dilaniata dal dubbio secessionista, veramente unita: nel silenzio. Il silenzio dei colpevoli.
E in questo clima di confusione e parolai, le colpe cadono incredibilmente sui giornalisti e i loro giornali. «Dovete essere voi a denunciare i fatti», dicono a gran voce. Per poi scandalizzarsi non appena appare un titolo un po’ pepato. «I soliti giornalisti che si vogliono fare pubblicità alle spalle di chi lavora per lo sport».
Noi di TuttoBici la pubblicità vogliamo farcela solo con il rigore dell’informazione, non con i titoloni. Tanto è vero che alcuni mesi fa abbiamo ospitato una «lettera aperta», una paginetta senza titolo, una lettera molto sensibile e accorata, a firma Gianpaolo Porreca: questo nostro autorevole amico, scrittore, medico chirurgo vascolare che opera all’ospedale di Napoli, avanzava alcune perplessità per le continue operazioni all’arteria iliaco-femorale a cui erano stati sottoposti un numero sempre crescente di corridori. Non accusava nessuno, metteva solo in guardia dei ragazzi, ricordando loro che quelle operazioni potevano essere l’estrema conseguenza di certe «pratiche» (leggi EPO). Una semplice «lettera aperta» che ha procurato una denuncia alla Procura della Repubblica: a TuttoBici e a Porreca.
A questo punto, mettiamo punto. Ho partecipato, ad Empoli, ad un convegno dal tema “Doping e sport», organizzato da quel galantuomo del dottor Remo Borchi, medico della nazionale professionisti su strada. Un solo concetto: così non si può più andare avanti. Oggi non esistono corridori puliti, tutti fanno ricorso a sostanze proibite. Il rimedio? L’esame del sangue.
Noi non siamo né medici né tantomeno professori, ma prendiamo nota e chiediamo, a chi ha il dovere di rimettere ordine in questo disordine, che si possa continuare a sognare per le imprese dei nostri e vostri beniamini. Vorremmo solo che ad ogni corsa corrispondesse un vincitore vero, credibile e pulito.
Una data: 21 aprile 1994. Il ciclismo si è fermato a quel giorno. Il dottor Michele Ferrari, a Liegi, dichiara alla stampa quanto segue: «Per me non c’è doping finché il corridore non viene trovato positivo al controllo. L’eritropoietina (Epo) è una sostanza vietata ma i controlli non sono in grado di individuarla. E allora che cosa la vietano a fare? Personalmente, se fossi un corridore, la userei per essere competitivo con tutti gli avversari che comunque la usano».
Il problema, quindi, non è quello di capire se i corridori si dopano o meno, perché questo ci sembra ormai un problema assodato, ma di utilizzare tutti gli strumenti necessari per porre fine al perpetuarsi dell’inganno. Di queste vittorie non sappiamo proprio che farcene. Perdere o lasciare.
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