Editoriale
Braccio di ferro. Antonio Colombo, anima e cuore di aziende come Columbus, Castelli, Cinelli e 3TTT, ha deciso di passare all’azione. Per gli «Spinaci», famosissime appendici per manubri, ha deciso di intraprendere un vero e proprio braccio di ferro con l’Unione Ciclistica Internazionale (Uci). Motivo del contendere le appendici dei manubri ideati e prodotti da Cinelli e messe al bando dalla federazione internazionale perché ritenute pericolose. Antonio Colombo, assistito dall’avvocato Ugo Dal Lago, non si è dato per vinto. Sa di avere le sue carte da giocare e vuol farlo come è giusto che sia. Colombo, nel corso di una conferenza-denuncia, tenuta a Milano il 18 dicembre scorso, ha ricordato che gli «spinaci» erano stati approvati dalla commissione tecnica dell’Uci nel ’94 e sono stati successivamente ri-approvati nel ’96: difatti figurano nel regolamento internazionale. Ne produce di 34 modelli diversi. In tre anni i pezzi commercializzati sono stati 800 mila: mezzo gruppo li adotta. E l’Uci cosa ha deciso? A ottobre, senza dare comunicazione preventiva a nessuno (che sò, crepa!), decide di abolirli (potranno essere utilizzate solo nelle prove contro il tempo). Dietro il provvedimento c’è ben più di un sospetto: l’ombra lunga del Tour de France, e di Jean Marie Leblanc, il gran cerimoniere della più importante manifestazione del mondo, si fa larga e minacciosa. La ragione di questo provvedimento? Perché in una fase di gara il francese Heulot, che montava le appendici, aveva fatto una manovra azzardata, c’era stata una caduta, e si era parlato di «ebbrezza da spinaci».
Insomma, le ripetute cadute al Tour erano diretta conseguenza degli «spinaci», questa per lo meno la tesi (molto comoda) di monsieur Leblanc. La Cinelli, fino a questo momento, non ha avuto nemmeno la possibilità di illustrare gli studi compiuti prima e dopo il provvedimento. Nessuno della Commissione Tecnica dell’Uci si è degnato di prendere in considerazione almeno in parte le obiezioni avanzate dalla società milanese: l’Uci ha deciso così? che si proceda. Non importa sapere che il ciclismo è sport di ricerca, è sport che alimenta ed è alimentato da aziende che investono centinaia di miliardi per il miglioramento costante della prestazione sportiva. Questo provvedimento prosegue nel solco di una logica miope e retrograda che vuole un ciclismo proiettato all’indietro, verso il biciclo piuttosto che proteso verso la bicicletta. Se veramente hanno a cuore la testa dei corridori, che una volta per tutte istituiscano l’obbligatorietà del casco e poi, cosa che non sarebbe malvagia, ascoltino almeno le ragioni di un’azienda che ha il sacrosanto diritto di dire la sua prima di dover vedere sfumare ordini per decine di miliardi. Questa vicenda non è «una questione privata», ma riguarda indistintamente tutte le aziende che operano e avranno ambizioni di operare nel mondo del ciclismo. Verbruggen e compagni sono stati chiamati a gestire il microcosmo ciclismo, con regole chiare e inappellabili: non a farne quello che vogliono. Perché in questo caso la proprietà (indebita) è un furto: di almeno trenta miliardi.


Via vai. Squadre che nascono, squadre che muoiono, squadre che restano, soprattutto squadre che vanno. Ne abbiamo già parlato, lo scorso mese: l’esodo delle squadre professionistiche verso l’estero è lento ma inesorabile. Affiliazioni in Italia, ma sono molte moltissime le società di gestione con sede legale e amministrativa all’estero: San Marino, Montecarlo, Svizzera, Slovenia, Inghilterra, per poter sopravvivere ed evitare la morsa fiscale del Belpaese. Ma di questa vicenda, di questa emigrazione collettiva una cosa ci lascia perplessi: il ruolo dei corridori. Nessuno ne parla, loro men che meno. Sembrano sempre più un’armata Brancaleone che vaga senza sapere nemmeno dove sia il traguardo e, per un corridore, questo è estremamente preoccupante. Il ciclismo sta cambiando (bene o male, questo lo lasciamo decidere a voi), e loro sembrano quasi disinteressarsene. Le riunioni dell’ACCPI vanno praticamente deserte, mentre gli altri decidono al posto loro. Che le società trovino il modo di tirare una boccata d’ossigeno per gestire e gestirsi meglio possiamo anche capirlo, ma che i corridori nemmeno si preoccupino di capire gli eventuali rischi di questa operazione è per lo meno triste. Poi però pensiamo all’ACCPI (a proposito: tanti auguri all’avvocato Enrico Ingrillì, neo presidente), a quanto niente è riuscita a mettere assieme fino ad oggi, e capiamo il perché di tanto disinteresse. Che abbiano ragione i corridori a disertare le riunioni? Al neo presidente eletto Enrico Ingrillì l’ardua sentenza.

Questione di ranking. Ultima annotazione, che riguarda l’Uci e le squadre professionistiche. Ma la grande organizzazione mondiale del ciclismo non ha ancora capito che forse è il caso di regolamentare meglio il ranking che va a produrre la «starting list» stagionale? Uno dei grandi problemi dei team è quello di avere delle certezze, che poi altro non sono che garanzie da girare agli sponsor, i quali investono un mucchio di quattrini e vorrebbero sentirsi dire che cosa avranno loro in cambio. Non si può arrivare a metà gennaio per sapere se la Polti è ottava, piuttosto che diciottesima, e quindi fuori dai Grandi Giri e dalle prove di Coppa del Mondo (vi prendono parte di diritto le prime 16). E lo stesso discorso vale per la Brescialat o la Scrigno. Ci vuole tanto per adottare regole, o meglio, logiche che già muovono altri sport? Nel calcio, per esempio, se l’Inter vince il campionato, l’anno seguente partecipa di diritto alla Champions League. Non importa se poi durante l’estate Moratti vende Ronaldo e tutti i suoi pezzi più pregiati e da squadrone tritatutto diventa semplice squadretta: il diritto acquisito (quello di partecipare alla coppa dei campioni) non glielo leva nessuno. Che si faccia lo stesso nel ciclismo: se la Mapei ha finito la stagione ’97 al primo posto, resti prima anche all’inizio del ’98 a prescindere dai punti portati da tizio caio e sempronio. Vediamo di tornare a dare peso specifico alle squadre, le quali potranno a loro volta fornire qualche garanzia in più ai loro sponsor e, perchè no?, investire sui personaggi veri del ciclismo. A beneficiarne sarà solo lo spettacolo.

Pier Augusto Stagi
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