TUTTOBICI | 23/12/2016 | 07:30 Pensavamo, in questi giorni, che un ciclista in meno al via sarà, a malincuore, un ricordo in meno. Pensavamo, nella coincidenza degli eventi, alla decisione dei Grandi Organizzatori di ridurre di una unità l’organico delle squadre al via delle loro corse nel 2017, per motivi - nella sostanza certo ineccepibili - di sicurezza.
Un ciclista in meno, con i team che un domani da nove ne schiereranno otto poniamo nei Grandi Giri, e da otto passeranno a sette nelle classiche, sarà di per sé una sottrazione di fantasia, per quelli come noi che nel ciclismo vi hanno inteso quale destino innanzitutto questo. Sarà un nome in meno da condividere e da rammentare, anche se oggi lo sport, ed il ciclismo multinazionale non di meno, ha una lettura così rassegnata all’obbligo del successo, che il NONO o l’OTTAVO componente di una squadra potrà apparire solo corollario di un Capitano.
Noi però siamo così. E della sottrazione di un gregario, di una figurina proviamo ancora dolore. Noi però siamo così. E di un ciclista in meno proveremmo sempre il cruccio. Guardavamo, poco di meglio nella vita, le formazioni della Faema prediletta di Guillaume Driessens ai Giri intorno al ’60, elencavamo i nomi fatidici intorno al nume sovrano Rik Van Looy e ci ripetevamo che no, no e poi no la nostra vita sentimentale sarebbe stata diversa, e la nostra scrittura pure, se ci fosse stato un solo nome in meno da stringere al cuore bambini.
Volevate rimuovere, di grazia, dal nostro patrimonio di stagioni fiamminghe Zilverberg o Fisherkeller, Van Tongerloo o Derboven, Armand Desmet o Schroeders, Proost o Van Est? Ma non sarebbe risultato così monco l’affresco di un Giro fanciullo, improprio un qualsivoglia suo ordine di arrivo, puranco quello dei perdenti? Senza Armand Desmet, cosa saremmo mai stati? Un ciclista in meno al via sarà - per chi non lo comprende ancora oggi - un ricordo in meno domani.
Ed è così, per la devozione a quelle squadre al gran completo del ciclismo che noi abbiamo conosciuto, che un ciclista in meno può per altri mondi consegnarci invece un ricordo in più. Non avremmo potuto amare a ragione Edgar Sorgeloos, scomparso giorni fa e ben ricordato da Giuseppe Figini sulle pagine di tuttobiciweb, se la Faema non gli avesse attribuito ad esempio il numero meritato nei Giri d’Italia suoi e nella passione nostra. Il “55” nel Giro ’59, il “43” nel ’60, il “63” nel ’61, il “126” nel ’62, il “42” nel ’63... Avremmo perso qualcosa, in cuore, e nel sogno, non solo un gesto gregario, mica solo un piccolo albo d’oro fatto di Sassari-Cagliari, una tappa al Tour di Gimondi ed onesti piazzamenti. Un ciclista in meno, perché è la vita eguale degli uomini, purtroppo, e dolorosamente lo sia. Un ciclista in meno, ma solo alla fine della corsa. Giammai al via.
Sarà per un problema generazionale, ho 63 anni, ma questi sono gli articoli che preferisco. Da ragazzo la passione per il ciclismo era tanta che non ci accontentavamo di conoscere le storie dei capitani, volevamo saperne di più, conoscendo le storie di tutti. Cosa dire dei fedeli gregari di Anquetil a cominciare da quel Graczyk che non riuscivamo neppure a scrivere. Oppure del povero Franchini che per una vita ha dovuto sopportare Taccone. Altri tempi, altri ricordi, altri rimpianti, per il ciclismo di allora, ma soprattutto per la nostra gioventù ormai andata.
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