ADDIO GARAU, ORGOGLIO DI SARDEGNA

LUTTO | 15/12/2016 | 09:07
Ieri è morto Giovanni Garau, sardo, dilettante e indipendente con l’Audax Cagliari, professionista dal 1961 al 1964 con Vov, Ignis, Springoil e Salvarani, e indipendente nel 1965 con la Libertas Lazio. Aveva 81 anni. Questo il ricordo di Marco Pastonesi.

La sua prima bici era paesana. Gli serviva per andare di qua e di là dietro alle capre, mica poche, sette-ottocento, prenderle e mungerle. Finché uno zio, che correva non dietro alle capre ma ai corridori, gli propose di andare a Oristano: c’era una corsa. Così anche la sua prima corsa fu paesana. Tutta gente del luogo. Partì in testa, Giovanni Garau, con la bici dello zio prestata fra mille raccomandazioni per la grande occasione, e in testa arrivò al traguardo.

Era una forza della natura, Garau. Sardo di Santa Giusta, Oristano, 12 gennaio 1935, scuole elementari poi in campagna, il mare negli occhi, il vento nelle orecchie, il fuoco nel cuore, la miniera (di Ingurtosu) nel destino. Visto com’era andata la prima corsa – aveva 13 anni e ne dichiarò 14, il minimo sindacale per essere alla partenza, ed eventualmente anche all’arrivo -, ci prese gusto: una corsa via l’altra, e anche una vittoria via l’altra. Quando lo zio, sempre lui, gli promise di comprargli una bici nuova tutta per sé, se solo avesse spostato una montagna di legna, Giovanni prima partecipò a una corsa più ricca delle altre, poi la vinse, quindi con i soldi guadagnati a forza di garretti si comprò la bici da solo e lasciò allo zio la montagna di legna da spostare.

Quando compì 15 anni – nel frattempo aveva riportato indietro di un anno la dichiarazione d’identità -, Giovanni Garau partecipò al campionato italiano allievi. Un viaggio. E un’avventura. Perché in volata, roba ristretta per pochi valorosi, Garau volò non al traguardo ma sull’asfalto ed entrò nell’ospedale giusto mezz’ora dopo che ne era uscito un altro corridore, di poco più famoso di lui: la sua maglia era biancoceleste, il suo nome Fausto Coppi. Non sapeva, Garau, che Coppi, reduce da una delle sue cadute, aveva messo in palio un premio al giovane più sfortunato. Non granché, però abbastanza: una serie di tubolari. Così, quando Garau, stanco di fare flanella, si dimise da solo recuperando gli abiti e prendendo la porta, prima passò a ritirare il premio vinto, poi lo rivendette e, con quei soldi, riuscì a tornare sull’isola.

Da dilettante Garau conquistò un centinaio di vittorie. La sua rivalità con Ugo Atzeni, di Monserrato, divenne leggendaria almeno come quella fra Bartali e Coppi. Atzeni vinse, nella categoria allievi, il Campionato italiano Centro-Sud del 1951, dove Garau arrivò quarto, ma dopo una caduta. Il giorno di gloria Garau lo visse alla fine degli anni Cinquanta: dopo avere spopolato in corse paesane e avere vinto anche il circuito di Olmedo, il presidente della Federazione ciclistica sarda, il cavaliere Mallus, lo invitò a disputare una gara di inseguimento su pista, all'Acquedotto di Sassari, contro il campione del mondo del 1957, il torinese Carlo Simonigh. Garau lasciò tutti stupefatti: vinse.

Orgoglioso e focoso, Garau. Nel 1959, quando altri due ciclisti sardi, Ignazio Aru e Natale Pau, passarono al professionismo, lui s’infuriò, perché si considerava più forte di loro: allora smise di fumare e bere, decise di fare la vita del corridore, partecipò alla finale nazionale della San Pellegrino, a tappe, si mise in grande evidenza e ottenne un ingaggio dall'Audax di Franco Preti. Finalmente professionista, arrivò quarto nel Giro del Piemonte e 11° nel Gp Industria e Commercio di Prato prima di scoprire che avrebbe dovuto fare il gregario: Gregarau.

Giovanni, che aveva ancora casa e bici a Santa Giusta, è stato l’unico corridore sardo – prima di Fabio Aru - ad avere mai finito un Giro d’Italia. Successe nel 1961, quando correva per la Vov, gregario di Federico Bahamontes: 66° (e primo sardo a concludere anche la Vuelta: 45° nel 1964). L’impresa di finire il Giro gli sarebbe riuscita anche nel 1963, quando era passato alla Springoil-Fuchs. Terzultima tappa, più che tappa era un tappone, da Belluno a Moena, cavalcata dei Monti Pallidi e battaglia sullo sterrato. Garau forò, cambiò la ruota e aspettò il compagno Vittorio Chiarini, che aveva forato appena prima di lui. Chiarini non passò mai, perché un boscaiolo gli aveva suggerito una scorciatoia, ma Garau non lo sapeva e aspettò tanto, troppo. E quando gli dissero che Chiarini era avanti, lui, ormai irrimediabilmente staccato, pensò: “Se non l’ho visto passare, vuole dire che sono cotto”. E si ritirò.

Nessuna vittoria, due terzi posti (nel Gp di Pistoia del 1962 e nella Coppa Bernocchi del 1963), mille avventure e un posto nella storia. Ciao, vecchio Gregarau.

Marco Pastonesi
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