Su «Il Giornale», Ivan Basso: «Aspettatemi sulle montagne»

| 02/01/2007 | 00:00
Sveglia alle cinque e mezzo. Alle sei in palestra: due ore di attrezzi. Quindi colazione. Alle otto e mezzo, Ivan Basso è finalmente pronto per cominciare la sua giornata da ciclista praticante e militante, dalle quattro alle sei ore in bicicletta. Non tutti i giorni così, ma molti giorni così. L'inverno è trascorso in questo modo, a testa bassa, inseguendo soltanto un traguardo: la riabilitazione. Adesso siamo prossimi alla resa dei conti: per un campione da sempre chiamato ad affrontare l'anno della verità - prima per vedere se è corridore da grandi Giri, poi per vedere se è corridore in grado di competere con Armstrong, poi per vedere se è corridore che regge lo stress da vittoria -, stavolta c'è l'anno più anno di tutti. Ha a disposizione un solo risultato utile: vincere. Vincere di nuovo il Giro, vincere quel Tour che finora ha avvicinato solo con due grandi podi. Il tribunale del popolo, che per sua natura non bada tanto alle sfumature, è già pronto con i verdetti. Se vincerà ancora, sarà bello dire che Basso è un campionissimo vero, molto più forte delle dicerie e dei pasticci spagnoli. Ma se solo si azzarderà a perdere, la conclusione sarà inevitabile: campione finto. E quando vinceva da dominatore, come l'anno scorso, sappiamo tutti perché. Basso, come si affronta un'annata con il plotone di esecuzione pronto a premere il grilletto? «Non ho paura. Sono pronto. Nessuno avrebbe scommesso che avrei scelto di correre Giro e Tour. Invece l'ho chiesto io alla mia nuova squadra (l'americana Discovery, ex Armstrong, ndr). Avrei potuto limitarmi al solo Giro, invece vado a cercare una sfida in più...». È la rabbia che la tiene in piedi? «Quando c'è rabbia, sto male io. Voglio solo voltare pagina». Come si spazza via un 2006 come il suo? «Ho provato paradiso e inferno nel giro di poche settimane. Quando mi hanno chiuso in faccia le porte del Tour, a poche ore dal via, mi sono sentito morire. Era come se avessi attraversato un binario, però mentre passava il treno. Ho fatto l'unica scelta possibile, oltre a urlare la mia innocenza: rituffarmi nel mio lavoro. Sono risalito subito in bicicletta e ho continuato ad allenarmi, come se mi aspettasse sempre una corsa il giorno dopo. Certo, senza corsa è stata dura. Mi sono mosso come un autodidatta. Ho fatto consumare il motorino al mio amico allenatore, standogli dietro per ore...». Frustrante. Quasi da piantare lì tutto e cambiare mestiere. «Non ho mai pensato una sola volta di smettere». E l'umanità come s'è comportata nei suoi confronti? «Dopo il Giro, ho avvertito un tot di amici e di affetto. Prima del Tour, questo numero era decisamente calato. Ho scoperto anch'io certe regole della vita. Poche persone si sono dimostrate veramente tali: schiette e leali. In tanti, dopo essersi presentati in un certo modo, mi sono apparsi completamente cambiati». Ammetterà che qualcuno si sia sentito tradito: provi lei a sentir dire che la moglie non è santa e devota come pensava... «Lo so. È legittimo che tanti abbiano sospettato di me. Che si siano sentiti traditi. Ma io parlo del modo di porsi: accetto tutto, da chi mi parla chiaro in faccia». Sta cercando anche lei di uscirne da martire? «Non fa per me. Io resto un ottimista. E continuo a rispettare gli altri. Non sono mister perfezione, però credo in un certo modo di fare. Purtroppo, da tanti altri non ho avuto lo stesso rispetto. Per questo dico: è anche bello, una volta nella vita, stare nella palta. Vedi una verità sugli uomini che non avevi visto mai, quando stavi in alto». Diventerà più carogna? «Non metto il muso a nessuno. Continuerò ad essere persona educata. Nessuno si accorgerà di niente. Ma io, dentro, mi sono fatto idee molto precise sulle persone». Proprio lei, sempre accusato d'essere troppo buono. «Anche questa storia: ciascuno deve essere se stesso. Io sono così. Non posso improvvisamente trasformarmi in un energumeno». Certo che il suo amico Simoni la sta aspettando col solito garbo: subito dopo la presentazione del Giro, ha simpaticamente detto «speriamo che stavolta i valori siano reali»... «La prego, chiudiamola qui. Ho compiuto uno sforzo immane per voltare pagina. Basta con queste storie. Ho detto e ridetto che io col dottor Fuentes non c'entro nulla. Ho accettato l'eventuale esame del Dna. Non so che altro dire. Non voglio morire a quarant'anni di esaurimento nervoso». Ma la pace con Simoni si farà mai? «Prima del Giro di Lombardia ci siamo ritrovati con altri campioni per inaugurare il Museo del Ghisallo. Io gli ho teso la mano, come agli altri. Era l'occasione. Lui ha detto no. Cosa vuole: per fare la pace, come per fare la guerra, bisogna essere in due». Non si sente un po' babbeo a cercare sempre lei la prima mossa? «Glielo ripeto: ciascuno deve essere se stesso». Neppure Bettini si è rivelato molto tenero: ha polemizzato pesantemente dicendo che sul Dna lei ha fatto il voltagabbana, prima no e poi sì. «L'ho detto, a Paolo: la prossima volta, anche per insultarmi, alza il telefono. Non mandarmi a dire le cose dai giornali. Infatti, al telefono, gli ho spiegato che io l'esame del Dna l'ho accettato praticamente subito, con le dovute garanzie. Ci siamo chiariti, mi ha detto d'aver sbagliato, tutto a posto». Se le dico il nome Riis, suo ex mentore, lei che dice? «Dico ancora: brava persona. Come dirigente, è stato travolto dallo tsunami. Lo capisco, in un certo senso: ha dovuto pensare al destino di settanta persone. Non poteva immolarsi per Basso». S'è immolato Basso per lui. «Ognuno per la sua strada. Comincio un'altra storia». Quali gli avversari, dopo lo tsunami? «Stimo tantissimo, anche se magari non ricambiato, Cunego. Non potrà che migliorare, giovane com'è. Così come stimo Valverde, il talento spagnolo. Poi, se Ullrich tornerà, sarà sempre Ullrich». Cosa pensa, ultimamente, quando si sveglia la mattina? «Per fortuna, la stessa cosa di sempre: penso ai miei due bambini». E cosa pensa, ultimamente, della bicicletta? «Ho cominciato a correre che avevo sei anni. Tempo fa mi sono ricapitati in mano i diari di allora: tutto un disegno di ruote e biciclette. Credo ci sia un destino segnato. Da 23 anni la bicicletta è il mio toccasana. Già da allora, magari partivo per l'allenamento arrabbiato e tornavo felice. Di solito, per tanti corridori è il contrario». Ma davvero Basso sostituirà Armstrong non soltanto nella sua squadra? «Posso solo dire questo: se possibile, ho più motivazioni di prima. E sono anche più forte dentro. Ho imparato a sopravvivere: se piove apro l'ombrello, se esce il sole prendo la crema solare». Cosa vuole dire a chi, dopo averla adorata, ha cominciato a dubitare di lei? «Chiedo solo di rivedermi all'opera. C'è ancora poco da aspettare. Al primo arrivo in salita avrà la risposta». (da "Il Giornale" del 2 gennaio 2007, a firma Cristiano Gatti)
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