QUELLA BICI CHE SALVO' COPPI

STORIA | 19/01/2016 | 07:51
Quando nel febbraio del 1945 sbarcò dal piroscafo Città di Orano a Napoli, Fausto Coppi era pallido e smagrito. Cinque anni prima, appena ventenne, era stato il dominatore a sorpresa del Giro d'Italia, proprio alla vigilia dell'entrata in guerra del nostro Paese. E nel 1942, sulla pista del Vigorelli di Milano minacciata dalle bombe alleate, aveva migliorato il record dell'ora. Due imprese che però, diversamente da altri campioni dello sport, non lo salvarono dal fronte: in Tunisia - col 38º Reggimento fanteria Ravenna di Tortona - dove fu ben presto fatto prigioniero dagli inglesi.

Salvò la vita solo grazie all'Armistizio e riuscì così a rientrare in Italia due anni dopo con altri prigionieri: «prisoner of war» destinato a Caserta come aiutante del tenente Towell della Raf.
Fu là che Coppi venne scoperto da Gino Palumbo, allora giovane cronista (sarebbe diventato direttore della Gazzetta dello Sport dal 1976 al 1983), che lanciò un appello sulle colonne del giornale La Voce: «Date una bicicletta a Fausto Coppi».

Era l'Italia di Sciuscià, devastata dalla guerra, dove mancava tutto, anche l'acqua. «Fu allora che si fece avanti mio padre», dice Angelo D'Avino, preside della scuola Vittorino da Feltre di Napoli, che abbiamo incontrato a Collegno dove è stato invitato al Trentennale della Polisportiva Borgonuovo.

Suo padre Giuseppe D'Avino, allora trentenne falegname di Somma Vesuviana con la passione per il ciclismo (anche praticato), fu uno dei tre a presentarsi a La Voce, nell'aprile 1945, con una bici per Coppi.
«Io non ero ancora nato ma mio padre mi ha raccontato spesso quella storia. Era una Legnano verde da corsa, un po' scassata ma sempre un gioiello in quei tempi di miseria».

Negli anni di «Ladri di biciclette» donare una bici pareva cosa da ricchi, o da matti. «Mio padre stravedeva per Coppi e infatti si commosse quando lui scelse proprio la sua Legnano verde».
Anche gli ufficiali inglesi della caserma di Caserta capirono così chi era quel soldato Coppi Fausto, nato a Castellania nel 1919, e gli permisero di fare qualche allenamento.

Mentre l'Italia lentamente rialzava la testa, anche Fausto ricominciava a pedalare e sempre col suo nuovo amico Giuseppe D'Avino. L'omino con le ruote e il falegname. «Coppi partiva in bici all'alba da Caserta e di buon mattino era a Somma Vesuviana, nella casa dei miei - continua Angelo D'Avino -, da dove ripartivano per allenarsi».

Così Coppi e D'Avino diventarono amici. «Mio padre diceva che per lui Fausto era come un fratello». Mentre a Castellania lo credevano morto al fronte, Coppi aveva trovato una nuova casa. «La mattina, quando arrivava da mio padre, Fausto andava subito nel pollaio e si beveva 4 o 5 uova fresche. Poi uscivano in bici». Andò avanti per qualche mese, poi però Coppi sentì forte il desiderio di tornare a Castellania.

Ma tante strade e ferrovie erano distrutte dalla guerra, come fare? Naturalmente con quella Legnano verde, oltre 800 km che Coppi coprì in bici in poco più di un giorno. «Ma tornò spesso a trovarci e finalmente anch'io potei conoscerlo. Ci restituì anche la vecchia Legnano verde e per sdebitarsi ne promise una a mio fratello Franco nel giorno del suo 18º compleanno».
Non potè fargli quel regalo, perché morì di malaria a soli 40 anni il 2 gennaio del 1960.
«Avevo solo 8 anni ma ricordo bene le lacrime di mio padre». L'airone aveva chiuso le ali per sempre.

Giorgio Viberti, da La Stampa del 18 gennaio
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