SOFFI AL CUORE. L'ultima bici di un Angelo

STORIA | 02/01/2016 | 12:33
C'è ancora uno straordinario presente, nella gloria passata di Fausto Coppi, a 56 anni dalla sua scomparsa. E così, accade oggi, in quel 2 gennaio diventato appunto dal 1960 il Capodanno virtuoso dei ciclisti, nella Castellanìa nativa, in occasione della commemorazione della scomparsa di Fausto Coppi, succede che il Comitato Colli di Coppi presenti al mondo capace di ricordare l'ultima bicicletta usata in una corsa ufficiale dal più grande campione, con Gino Bartali, che lo sport italiano abbia conosciuto.

Tenuta per mano da Faustino Coppi, il figlio divenuto ormai maturo del Campionissimo - una mano emozionata però senza pari, come quella di un bimbo che ha cercato fino alla fine dei giorni la figura del padre -, tornerà alla luce, recuperata da un collezionista di Milano, quella "Fiorelli Coppi" che Faliero Masi, un Giotto dei telai, aveva preparato per Fausto Coppi e per quel traguardo sportivo di fine 1959 che avrebbe poi rappresentato, senza preavviso alcuno, l'ultima sua impresa agonistica. È il 4 novembre 1959, il giorno rituale - il giorno della Vittoria - per il Trofeo Baracchi, la cronometro a coppie che siglava in quei tempi l'autunno del ciclismo, la stagione morta.

È il 4 novembre 1959, ed un Coppi, un campione ormai in amaro declino,
quarant'anni compiuti, lui che era del settembre 1919, ed una annata senza luci trascorsa in quella anarchica Tricofilina, con Federico Bahamontes al fianco, avrebbe disputato il Baracchi in tandem con Louison Bobet, un gentiluomo francese del ciclismo. Solo quarti al traguardo, primo Aldo Moser ed Ercole Baldini, hai visto mai, quel Baldini proprio che con Fausto aveva trionfato nel Baracchi di due anni prima…
L'ultima bici di Coppi, allora… Prima di un malinverno infinitamente breve e della tournée di dicembre nell'Alto Volta, e del criterium di Ouagadougou, con Geminiani ed un Anquetil diventato d'un tratto amico, e della malaria non riconosciuta per tempo, e di una dose di chinino trovata in ritardo, e della morte tragica. L'ultima bici di Coppi, non una Bianchi della gloria, quella dei Giri e dei Tour e delle Sanremo e del Campionato del mondo e del record dell'ora, no, ma una bici dal profondo sconfitto del cuore, quando si soffre sui pedali, solo 44esimo alla Roubaix, quella primavera, e gli altri, i migliori della corsa, o anche i rincalzi, che vanno via.

Con il nastro di allora ancora rappreso al manubrio, come non si staccavano da lui - raccontava Franco Scandone - gli sguardi degli appassionati che dalle nostre parti lo applaudivano, sul Chiunzi e sull'Agerola, nei Giri di Campania vinto nel ’54 e nel ’55. «Arriva Coppiiii», come fosse stato un Messia, una voce che rimbalzava da tornante a tornante, fino all'Arenaria, in quella fuga perpetua per la vittoria e per la fine. E che sarebbe arrivata dalla Costiera, alzi la mano chi lo rammenta, anche a Capri, dove nel ’58 - a Capri, sì, non a Carpi - fu secondo nell'unico circuito di quella storia mondana, dietro a Dino Bruni.

Arrivava Coppi, anche su una penultima bici che andava certo più piano delle prime. Ma lui per destino, anche arrivando secondo a Capri o quarto al Baracchi del ’59, per virtù divina o per infinita malinconia, per il passato il presente ed il futuro, non sappiamo in che tempo coniugarlo, ci sorvola ancora come uomo solo al comando. Coppi Fausto, ma di primo nome all'anagrafe, Angelo.

Gian Paolo Porreca, da Il Mattino del 2 gennaio 2016
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