ARU. «Il mio anno da Oscar»

PROFESSIONISTI | 24/12/2015 | 08:02
Siamo già alla vigilia di una nuo­va stagione, tutta da scrivere e raccontare. Ma c’è an­cora voglia di parlare di quella appena passata agli archivi. Lo fac­cia­mo con l’Oscar tuttoBICI 2015, Fa­bio Aru, l’uomo nuovo del ciclismo mondiale. Un botta e risposta franco e sincero con uno dei ragazzi più talentuosi al mondo, uno dei più grandi cacciatori di Grandi Giri, che ama andare al cuore del problema senza tanti giri di parole.

Quando sei partito per la Spagna, pensavi di vincere?
«Pensavo di aver fatto tutto il necessario per ambire ad un grande risultato, questo sì. Dopo il Giro ho recuperato bene e poi mi sono messo sotto per toccare un secondo picco di forma in vista della Vuelta e al Giro di Polonia ho capito di essere sulla strada giusta».

Dove hai capito che ce la potevi fare?
«Ad Andorra».

Hai mai temuto di non farcela?
«No, ci ho sempre creduto».

Come hai vissuto l’allontanamento di Ni­­bali dalla corsa spagnola?
«Per niente bene. È stata una partenza molto brutta e complicata. La caduta prima, il provvedimento disciplinare poi: è stata davvero dura. Per qualche giorno eravamo tutti molto disorientati. C’è voluto un po’ di tempo per ritrovare il giusto equilibrio».

Cosa ti piace di Vincenzo e cosa meno?
«Vincenzo ha tante cose che mi piacciono, soprattutto la sua caparbietà, la sua determinazione, anche quando sembra tutto finito lui non si dà mai per vinto. Quello che mi piace di meno è quando vuole che io giochi con i suoi videogiochi: non ho la sua stessa passione».

Qual è la qualità, la dote che vorresti portare via a Vincenzo?
«Da lui ho solo da imparare, e soprattutto in discesa ha un altro passo. Io me la cavo, ma non sono come lui. Certo, Vincenzo è uno che rischia un po’ di più del sottoscritto, però ha indiscutibilmente una capacità di guidare il mezzo che pochi hanno al mondo».

Al Giro d’Italia forse il vero capolavoro l’hai fatto nella tappa del Mortirolo dove, stremato da giorni per un virus intestinale che non ti dava pace, non ti sei dato per vinto. In quante occasioni hai pensato: io a Milano in queste condizioni non ci posso arrivare?
«Almeno in cinque occasioni: Imola, Vi­cenza, Mortirolo, Lugano e Verba­nia. In queste cinque tappe me la sono  vista davvero brutta. Ma, se devo dirtela tutta, anche per gran parte della tappa di Cervinia non mi sentivo per niente bene, poi sapete benissimo come è andata a finire».

Il secondo posto al Giro lo consideri una sconfitta o una vittoria?
«Io lo considero una grande vittoria. Solo io e pochi altri sanno quanto sono stato male in quel Giro. Un conto è staccarsi quando trovi un avversario che è più forte di te, un altro è quando senti di non avere forze».

Torniamo alla Vuelta: cosa pensavi nel leg­gere che Landa era considerato un traditore?
«È un ragazzo di 25 anni, che va veramente forte, che si deve mettere al servizio di uno che ha la tua stessa età e che già si è fatto in quattro per te al Giro d’Italia, cosa gli vuoi dire? Tutto fuorché traditore. Fermarlo? E perché mai? Sarebbe stata un’ingiustizia. Ma avete visto cosa ha fatto dopo quella vittoria?».

Da ragazzino sognavi di diventare un corridore vincente e famoso o qualcos’altro?
«Io ho iniziato a 15 anni, e di grandi so­gni non ne avevo. Anzi, il mio sogno ricorrente era uno: avere una casa al mare. A me piace tanto il mare e mi tocca scalare le montagne… Per ora ho il lago: visto che bella la vista sul lago di Lugano?...».

Chi devi ringraziare per essere quello che sei?
«I miei genitori che hanno creduto sempre in me e hanno fatto tanti sacrifici anche a livello economico per assecondare la mia passione. Il problema non era solo comprare una buona bicicletta, ma sostenere i viaggi in aereo che dovevo fare tutte le settimane. È stato fondamentale nella mia crescita anche Andrea Cevenini, nel periodo in cui ho corso a Bologna. E poi la Pa­laz­zago di Ezio Tironi e Olivano Lo­ca­telli».

Come ti sei avvicinato al ciclismo, come è nato tutto?
«A me la bicicletta è sempre piaciuta tanto. Utilizzavo la Bmx per andare a giocare a calcio e a tennis. Poi ho voluto correre. Ricordo che mettevo da parte i soldi e con l’aiuto dei miei genitori mi sono comprato una mtb della Specialized. Prima gara nel 2005. In quell’occasione mio papà mi disse: “Ti accompagnavo con piacere a giocare a tennis, ricordati che io non ti accompagnerò mai alle corse in bicicletta”. La prima corsa in mountain bike a Vil­la­cidro. Ho bucato ed è stato un calvario».

Sei uno dei tanti ragazzi di Olivano Lo­ca­telli: tecnico duro ed esigente, rigoroso come pochi. Il vostro è stato un bel confronto tra caratteri forti.
«Ci siamo scontrati diverse volte, questo è vero, ma sempre in maniera co­struttiva. Io sono uno che vuole capire, che non ama obbedire e basta. Io cerco sempre il confronto e con Oli­vano ce l’ho avuto forte e importante. Ho però capito l’importanza dei suoi insegnamenti una volta andato via da lui. Pas­sato professionista mi sono trovato a pensare a quanto mi aveva detto e insegnato. Dalla sua scuola esci che sei davvero un corridore, non ci sono storie. Chi non ha la tempra per tenergli testa, non è un corridore».

Ti ha mai mandato a casa in bicicletta?
«No, forse una volta. Ma non è il pun­to: lui è un datore di lavoro molto esigente. Se vede che ti impegni, che dai il massimo, anche senza ottenere grandi risultati, Olivano non ti dice assolutamente nulla, perché capisce che stai dando il massimo. Quando vinsi il Giro della Valle d’Aosta, ricordo che il giorno dopo mi accolse con un perentorio: “Spero che tu non ti sia montato la testa… anche perché ad oggi non hai an­cora ottenuto nulla”. E francamente aveva ragione. Se vuoi arrivare in alto, non devi mai sentirti arrivato».

Vi sentite ancora?
«Spesso. Soprattutto per telefono».

Cosa è per te l’amicizia?
«È un valore molto importante. Anche in squadra, se c’è amicizia e stima, le co­se vanno molto meglio. Paolo Tira­longo è un amico insostituibile, al pari di William, il figlio di Tironi, e di quelli che ho in Sardegna: Antonio, Gian Fran­­co, Franco, Marcello…».

Cosa è per te la bicicletta?
«È passione. E anche se oggi è il mio lavoro, il mio approccio con la bicicletta è sempre lo stesso: ci vado per passione. Non ne posso fare a meno. Per me non è mai un peso. Non esco mai tanto per uscire: piuttosto sto a casa. Se devo riposarmi mi riposo, e so farlo molto bene, ma non sono mai uscito in allenamento in maniera superficiale, così tanto per uscire».

Cosa è per te l’amore?
«È tutto. Se trovi la persona giusta è il massimo. Valentina mi segue anche quando vado in ritiro, sa che tipo di la­voro devo fare e mi asseconda in tutto e per tutto. Quest’anno però non le ho fatto fare dietro moto, per lei si è sacrificato Umberto (Inselvini, ndr)».

Chi ha fatto il primo passo: tu o lei?
«Valentina, io mi sono fatto inseguire. Il giorno dopo esserci conosciuti è ve­nu­ta a trovarmi a Bergamo. Vado sempre all’attacco ma questa volta mi sono fatto inseguire. Diciamo che l’ho fatta subito entrare nel mio mondo fatto di spostamenti, chilometri e trasferte».

Dove vi siete conosciuti?
«A Milano, a casa di amici».

Lei sapeva che tu eri un ciclista professionista?
«Il papà di Valentina è sempre stato ap­passionato di ciclismo e sapeva perfettamente chi ero. Lei più vagamente. Quando ci siamo visti è stato però amo­re a prima vista. Dopo un mese vi­vevamo già assieme».

La prima cosa che fai al risveglio?
«Colazione. Al mattino ho una fame da lupo».

Cosa ti piace mangiare?
«La pasta, la carbonara in modo particolare. Poi vado matto per la pizza e la carne. Il pesce molto meno».

Cosa non ti piace per niente?
«La trippa, la mangio anche se non mi fa impazzire».

La prima cosa che pensi al risveglio?
«Che tempo fa? E mi precipito a controllare com’è il meteo. È l’incubo di noi corridori».

Il ricordo più dolce che hai della tua in­fanzia?
«Un viaggio a Parigi e a Lourdes con mamma e papà. A Lourdes ho comprato la prima maglia da ciclista, che ho an­cora a casa. Rossa, nera e bianca: quella è stata la prima cosa ciclistica che ho avuto tra le mani. Era il luglio del 2003».

C’è una cosa che mandava in bestia la mamma?
«La scuola. I miei genitori ci hanno sempre tenuto tantissimo e quindi, di conseguenza, mi stressavano un po’».

E il tuo papà?
«Quando non m’impegnavo a giocare a tennis: lui ci teneva troppo, probabilmente sognava che diventassi un campione. Quando ho iniziato ad andare in bici gli ho detto: “Adesso non mi devi più dire niente…”».

Tu sei uno che da sempre gira tantissimo. Molte le case, ma per essere considerata davvero la tua casa, cosa non deve mai man­care?
«Intanto mi deve piacere il posto. Quando sono arrivato a gennaio di quest’anno a Lugano, il posto mi è piaciuto subito. Guarda che sala, guarda che veduta che ho sul lago…. Poi però per essere la mia casa ci deve essere la bicicletta. Ma soprattutto Valentina: quando siamo assieme io sono a casa, dovunque».

Credi in Dio?
«Sì».

Destra o sinistra?
«Scrivo, mangio e faccio tutto con la destra».

Ti piace leggere e che cosa?
«I libri che trattano di personaggi. Le autobiografie mi piacciono tanto. Ho letto quella di Novak Djokovic e ora voglio leggere quella di Agassi».

Il film preferito?
«Titanic. Tutti mi prendono in giro ma a me fa ancora venire i brividi».

L’attore o l’attrice?
«Mi piace da impazzire Antonio Al­ba­nese. Attrice non saprei».

Quali sono le tue passioni oltre al ciclismo?
«Le vacanze. Mi piace andare in giro per il mondo. È troppo bello».

Hai delle manie?
«Prima del via mi faccio sempre il se­gno della croce. E poi porto lo stesso braccialettino che ha anche Valentina. Per correre devo avere sempre calze bianche, mentre non mi piacciono as­solutissimamente le scarpe nere: le in­dosso solo con abiti da cerimonia. Ma da tempo libero o da ciclismo mai di colore nere: le detesto».

Doccia o bagno?
«Doccia».

Carta o iPad?
«Guarda, io leggo tuttoBICI anche sull’iPad, ma la carta mi piace ancora molto».

Il cantante preferito?
«Non ne ho uno in particolare, me ne piacciono tantissimi. Due nomi? Em­ma Marrone e Vasco Rossi».

La canzone che più ti piace?
«Nel periodo in cui Valentina ed io ci siamo  conosciuti e innamorati passava per radio Una canzone d’amore di Max Pezzali: quella mi è rimasta nel cuore. Però se vado in bicicletta metto quelle da di­sco­teca, mentre se sono a casa ascolto di tutto, anche quelle che mi mette Va­lentina e non mi piacciono. Come ti ho detto, musicalmente, parlando sono on­nivoro».

Quando Umberto ti massaggia ascolti musica?
«Sì, ma decide lui cosa mettere. Prima però parliamo sempre un pochino tra di noi».

Mare o montagna?
«Mare».

La cosa che ti manda in bestia?
«Fai prima a chiedermi cosa mi va be­ne… Diciamo che ho un buon spirito critico. Una cosa che mi manda in be­stia, però, è quando sul lavoro vedo gente che non è professionale, che tira a campare. Questa cosa mi dà fastidio e non aspetto tanto a dirlo. Ho un ca­rat­tere particolare, ma le cose amo dir­le sempre in faccia. Io affronto sempre il problema».

Sei uno che chiedi scusa?
«Sì, se mi accorgo di aver sbagliato non ho problemi a chiedere scusa».

Il viaggio ideale?
«Una bella vacanza al mare».

Il posto più bello che hai visto?
«Il Madagascar mi è rimasto nel cuo­re».

Dove ti piacerebbe vivere?
«Se non fossi un ciclista, o comunque quando smetterò di correre e girovagare per il mondo per corse, ritiri e allenamenti, mi piacerebbe un po­sto al mare».

Sei uno che si sistema la bici da solo?
«Lo so fare, ma ho un meccanico talmente bravo…».

Collezioni Vespe, scarpe da tennis, chitarre o vinili?
«Non mi interessa nulla di tutto questo».

Il corridore al quale vorresti assomigliare?
«Contador».

La corsa dei sogni?
«Le grandi corse a tappe».

Ti piace la moda?
«Un mese e mezzo fa sono anche andato alla mia prima sfilata. Ma non ne fac­cio una malattia».

Il personaggio storico che più ti affascina?
«Sono un cavaliere dei quattro mo­ri…».

La bevanda della quale non puoi fare a meno?
«Mi piace tanto il vino rosso».

Il dolce preferito?
«Il tiramisu, ma vado pazzo anche per il gelato. Sai che sacrifici devo fare per contenermi...».

Il vino?
«Amarone della Valpolicella».

Come ti immagini tra qualche anno?
«Per il momento non m’immagino».

A chi vorresti chiedere scusa?
«A nessuno, anche perché se ho sbagliato con qualcuno gli ho sicuramente già chiesto scusa».

C’è qualcuno che dovrebbe chiedertelo?
«Sicuramente Greg Henderson».

Il sogno ricorrente?
«Quello di dover sostenere ancora l’esame di maturità: un incubo».

La squadra del cuore?
«Il Cagliari e poi simpatizzo per il Mi­lan, ma il mio tifo è molto molto tiepido».

Ti piacciono le moto?
«Quelle da cross».

Lo sportivo ideale?
«Valentino Rossi».

Cosa pensi dei giornalisti?
«C’è chi lo fa bene e chi meno bene. Io ho la fortuna di conoscerne tanti bravi e non ho problemi a confrontarmi con loro».

E dei tifosi?
«Sono il carburante della mente per qualsiasi atleta».

Ti piace twitter?
«Lo utilizzo ma con moderazione. An­che se incomincerò a utilizzarlo di più».

Cosa non faresti mai?
«Non giocherei mai con una playstation».

Cosa invece ti piacerebbe fare?
«Vorrei contribuire a far grande la Sar­degna grazie alle mie imprese. Mi piacerebbe che, grazie a me, il Giro potesse tornare nella mia regione. E magari ritornasse anche in calendario il Giro in Sar­degna»
.
È il terzo Oscar tuttoBICI dopo quelli che hai vinto nelle stagioni 2011 e 2012 da un­der 23: qual è il tuo sentimento per questo riconoscimento?
«Quando l’ho vinto per la prima volta da dilettante mi aveva toccato parecchio e anche oggi mi sento orgoglioso di averlo vinto. Ho sempre tenuto molto a questo riconoscimento, ha storia e tradizione e ogni settimana sul web seguivo e ho seguito l’aggiornamento delle vostre classifiche. Questo è il primo da professionista e spero che non sia l’ultimo. Rivincerlo significherebbe che sono stato il più bravo, il più forte: insomma, il migliore. L’Oscar tuttoBICI è per i migliori e se un anno non lo sei, ti serve da stimolo per migliorarti».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di dicembre
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