IL PASTO IN RWANDA. The best of. GALLERY

STORIA | 23/11/2015 | 07:42
Il Tour of Rwanda 2015 è anche Herman Beysens, belga, antico gregario, poi eterno direttore sportivo e inguaribile malato d’Africa, che a ogni Giro del Burkina Faso ha portato soldi per costruire pozzi, adesso che ha raggiunto la quota di 140 pozzi porta soldi per mantenerli funzionanti, “perché in Africa è così - spiega -, se c’è una cosa che funziona più, non si sa come ripararla e allora la si butta via”. In questa edizione del Tour of Rwanda, Beysens, senza squadra, guidava la macchina della Skol, sponsor.

Il Tour of Rwanda 2015 è anche Beniamin, 25 anni, ugandese di origini ruandesi, venuto in Ruanda a un anno, subito orfano di padre, qui si dà da fare, vorrebbe fare il fotografo, è al seguito della corsa sul bus di uno sponsor, e per pagarsi i viaggi, sul bus, fa il d.j. Beniamin mi ha detto che per tre anni ha fatto il prete, o forse studiava da prete, poi ha capito che non era la sua strada, meglio quella del ciclismo.

Il Tour of Rwanda 2015 è anche quei corridori che, dopo qualche tappa, cominciano a infilarsi guanti della Lampre, calze della Cofidis, giubbotti della MTN-Qhubeka, ed è anche quei corridori che, caduti, si devono tenere i calzoncini bucati.

Il Tour of Rwanda 2015 è anche quel negozio specializzato in letti, letti di tutti i tipi, a una piazza, a una e mezza, a due, e fra la mercanzia esposta sulla strada (trattasi di showroom) c’è anche una bara, che in fondo è un letto per l’eterno riposo.

Il Tour of Rwanda 2015 è anche la squadra svizzera Meubles Descarte, che ha donato 250 maglie da ciclismo, è anche Jock Boyer, team manager americano dei Team Rwanda, che ufficialmente accompagna un fotografo in moto e praticamente detta le strategie in corsa, è anche lo spettacolo finale con giocolieri sui trampoli con birilli, danzatori sui pattini con ombrelli, e un motociclista che fa acrobazie su e giù dalla moto.

Il Tour of Rwanda 2015 è anche i carcerati, quelli in divisa arancione sono i ladri, quelli in divisa rosa sono i politici, sulla strada a spaccare le pietre o nei campi a zappare la terra, sorvegliati a vista, è anche i bambini delle montagne, coperti di stracci e scalzi, che rincorrono corridori e corsa.

Il Tour of Rwanda è anche i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, i poveri che si vedono e quelli che non si vedono, è anche le carriole e i Suv, è anche le bottigliette di plastica raccolte sulle montagne e quelle gettate in città, è anche le maglie tarocche di Balotelli (azzurra), Pirlo e Cannavaro (bianconere), è anche l’ordine pubblico a spintoni, a bastonate, a manganellate, a fucilate, è anche i sette euro a giornata (otto ore) a un muratore e i tre-quattro a un manovale a Kigali, la metà fuori da Kigali, perché a Kigali la vita costa il doppio, è anche la super e il diesel che costano un euro al litro.

Il Tour of Rwanda 2015 è anche le parole grazie (murakoze) e buongiorno (muraho), che hanno la stessa radice, come se ci fosse un grazie per ogni buongiorno e anche un buongiorno per ogni grazie.

Marco Pastonesi

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