L'ORA DEL PASTO. Sormano, il muro

STORIA | 03/10/2015 | 09:53
E’ uno scherzo della natura e un agguato nel bosco. E’ una tamurriata prealpina e una pizzica lariana. E’ una pugnalata d’asfalto e una stilettata di castagni. E’ una palestra di free cycling e la pista ciclabile più dura al mondo. Perché è un muro del pianto e un muro del suono ma anche - il silenzio è il suono perfetto – un muro del silenzio. E’ il Muro di Sormano. E domani, al Giro di Lombardia, sarà il palcoscenico verticale di una liturgia ciclistica e di un’avventura umana.

La carta d’identità recita 1700 metri di lunghezza, 280 metri di dislivello, 17 per cento di pendenza media e 25 di massima. I libri raccontano dell’intuizione di Vincenzo Torriani e della prosa di Bruno Raschi, dell’arrampicata di Imerio Massignan e Vito Taccone, della crisi di Rik Van Looy e del record di Ercole Baldini, del velodromo naturale trasformato – dalle spinte – in “autentica corrida” (la sentenza spettò a Bruno Raschi), della riscoperta e della rinascita, della sua nuova vita, fra stradisti e bikers, fra professionisti e amatori, come succede a una sfida himalayana, perdipiù a due ruote.

In Italia c’è il Muro di Ca’ del Poggio, che sa di Prosecco, Veneto, e il Muro di Montelupone, che ulula di fatica, Marche. Fuori dall’Italia ci sono muri valloni, come quello di Huy, esclamativi, muri fiamminghi, pietrosi, e muri spagnoli, impietosi. Nei giorni di ciclismo, sui muri si costruiscono anche quelli di folla e del tifo. E le imprese scritte sui muri - a ciascuno la sua - diventano murales.

Per fare un muro ci vuole coraggio, per fare il Muro di Sormano il coraggio sconfina nella follia. La leggenda tramanda le gesta di Luigi Arienti, il gregario brianzolo (però oro olimpico a Roma nell’inseguimento a squadre su pista) che le salite amava farle al contrario, dall’alto verso il basso: in un Lombardia, ai piedi del Muro, non girò a destra verso la Colma, ma preferì tirare diritto verso il traguardo, e dietro di lui si smarrì, prima offeso, poi sollevato, il gruppo dei ritardatari.
Ma per tutti i corridori, domani, esiste una certezza, che è conforto ed ebbrezza. Fatto il Muro di Sormano, la loro vita avrà il dono della discesa.

Marco Pastonesi
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COMMENTI
Il Muro di Sormano non è un “muro”.
4 ottobre 2015 09:18 canepari
Un muro divide: c’è il Muro di Berlino, forse il più famoso; la Muraglia cinese (il più lungo); il Muro tra Palestina e Israele; il Muro tra Messico e Stati Uniti; i Muri di Ceuta, di Cipro dell’Irlanda del Nord. Il più fresco di fabbrica è il Muro spinato tra Serbia e Ungheria. I muri difendono, proteggono, ma dividono e separano. Per fare un muro di questi ci vuole paura e coraggio, coraggio che però è già sconfinato nella follia e nella disumanità. Per fare il Muro, o meglio la rampa di Sormano ci vuole un rapporto agile, un ottimo allenamento, bisogna pesare meno di 70 chili e aver voglia di fare molta fatica. Il muro di Sormano, non è un “muro”perché non ha mai creato divisioni, semmai ha unito, dai tempi di Massignan, generazioni di giovani con la passione della bicicletta con la voglia di sfidare la forza di gravità. I MURI VERI sono diversi….

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