VEGNI. «Mealli un maestro, la Tirreno un fiore all'occhiello»
TIRRENO-ADRIATICO | 04/03/2015 | 00:48 Se volete che vi mandi cordialmente a quel paese domandategli se ha più a cuore il Giro d’Italia o la Tirreno-Adriatico. Per Mauro Vegni sono «due cose uguali ma distinte. Nel senso che il Giro è il Giro e la Tirreno pure. Ma io ho un sogno: portare la corsa dei Due Mari, che oggi è una realtà stupenda dal punto di vista tecnico-sportivo, ad essere un vero evento, al pari del Giro. Uno di tre settimane, l’altra di una».
Mauro Vegni, toscano di Cetona (provincia di Siena), classe ’59, a soli cinque anni si trasferisce a Roma, e sul pianerottolo di casa conosce Franco Mealli, uomo che per Mauro è davvero «un padre, al quale, ciclisticamente parlando ma non solo, devo tutto».
Mauro, mercoledì prossimo soffierai sopra le 50 candeline della Tirreno: per uno come te che ne ha vissute in prima persona 40 è un’edizione dai mille significati… «È proprio così. La prima Tirreno seguita al fianco di Mealli è data 1976. Avevo solo 17 anni. Per Mealli sono stato il figlio maschio che non ha mai avuto. Dal ’75 in poi ho vissuto l’attività del Velo Club Forze Sportive Romane in prima persona, a volte anche bigiando la scuola. E dopo il diploma ho iniziato a lavorare con Mealli a tempo pieno, imparando da lui ad occuparmi di tutto: della parte organizzativa vera e propria di una manifestazione come dell’impostazione e dello studio progettuale della stessa e ancora dei rapporti con i fornitori e con i collaboratori. Io ho iniziato dal basso, lavorando in segreteria. Ricordo che all’epoca con noi lavorava anche Alvaro Paciucci, grande giudice di gara dal quale ho imparato tantissimo. In quegli anni gli ordini di arrivo e i comunicati si facevano con il ciclostile. Un giorno il ciclostile si blocca. Ricordo ancora Paciucci che mi ha fatto una lavata di capo tremenda perché non avevo provveduto a ripararlo».
Dovevi riparare anche i ciclostile? «O almeno trovare al volo chi lo facesse per me. Insomma, ci si doveva arrangiare. Tanto per raccontare un altro aneddoto sui miei primi anni nel mondo del ciclismo, sempre al fianco di Mealli: io ho imparato gli indirizzi di tutti i giornali romani, perché una volta stilato il comunicato stampa, li portavo personalmente a piedi, in bicicletta o in autobus nelle varie redazioni. A quei tempi si faceva così».
Un aggettivo per spiegare, a chi non l’ha conosciuto, chi è stato Franco Mealli. «Generoso. Aveva una passione smisurata e aveva intuizioni non comuni. La Tirreno è nata per colmare un vuoto. All’epoca c’era la Parigi-Nizza, ma non tutti potevano correrla. Troppe squadre restavano al palo, non potendo di conseguenza preparare al meglio la Sanremo. Ecco che Mealli intuisce che c’è da creare qualcosa: chiama Waldemaro Bartolozzi, Luciano Pezzi, Giorgio Albani e altri grandi team manager del tempo, e con loro mette in moto la prima edizione si quella che sarebbe stata definita in seguito la corsa dei Due Mari. Mealli è stato un grande innovatore. Grande, preparato e appassionato. Fu il primo a stabilire un rimborso spese per le squadre, quando nessuno aveva nelle corde questo modo di raffrontarsi con i team».
L’edizione numero 50 della Tirreno-Adriatico è semplicemente stellare, con una partecipazione che fa invidia pure al Tour… «Nibali, Contador, Froome, Quintana, ma non solo loro nobilitano una corsa che da anni gode di buonissima considerazione. Io e noi di Rcs Sport, siamo felicissimi di questo. Ne siamo orgogliosi e riconoscenti. Il mio sogno, però, è lavorare sempre meglio in modo da portare anche questa corsa di una settimana ad essere un evento, proprio come se fosse un piccolo Giro d’Italia, un condensato di emozioni, cultura, spettacolo e sport esattamente come la corsa rosa».
Cosa ha reso unico Franco Mealli? «L’aver creato una corsa come la Tirreno-Adriatico».
Di cosa vai orgoglioso tu? «Di averla portata ad essere quello che è: la corsa di una settimana più importante e prelibata del mondo».
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