ACCPI. La protesta dei corridori e la "questione clima"

PROFESSIONISTI | 27/02/2015 | 16:51
La protesta dei corridori in Oman che si sono opposti a correre in condizioni climatiche estreme (tempesta di sabbia e asfalto bollente a quasi 50°, con rischio di tubolari scollati) riporta alla ribalta il protocollo-meteo e le regole più chiare al riguardo richieste dall'Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani fin dalla primavera scorsa. A che punto è arrivata la "lotta sindacale" su questo argomento? L'abbiamo chiesto al presidente dell'Assocorridori italiana Cristian Salvato.

Presidente quando avete iniziato ad affrontare la "questione clima"? 


«Grazie alle preziose informazioni forniteci dall'Associazione Nazionale dei Medici Sportivi (AIMEC) presieduta dal dottor Roberto Corsetti, fino all'anno scorso medico del Team Cannondale, il 18 novembre 2014, è stata organizzata una seduta congiunta di tutte le associazioni, organizzatori e altri invitati del nostro movimento, dedicata alla pratica del ciclismo agonistico in condizioni climatiche estreme. In tale sessione due esperti di fama internazionale come il dottor Schena di Verona e il francese Racinais originario del Qatar (che sta studiando tra l'altro come affrontare questa problematica in vista dei Campionati del Mondo del 2017) hanno presentato le loro deduzioni e l'ACCPI ha concluso con la presentazione di un documento di sintesi che è diventato richiesta ufficiale di modifica dei regolamenti vigenti».


Di questo tema si parla però da ancora più tempo... 

«Sì, io sono stato eletto presidente solo alla fine del 2013 ma già quando ero vicepresidente durante il mandato di Amedeo Colombo non potevamo rimanere indifferenti davanti a episodi clamorosi in occasione dei quali i nostri ragazzi hanno dovuto pedalare a 50° o al contrario sotto la neve. Mentre l'Italia celebrava la vittoria al Tour de France di Vincenzo Nibali, insieme al segretario generale Federico Scaglia alla riunione dell'Associazione Ciclisti Professionisti (CPA) a Parigi abbiamo esposto le nostre idee con i nostri interlocutori internazionali portando effettivamente alla ribalta il problema».

Attualmente non è prevista una normativa che regola questo aspetto, è corretto? 

«Esatto. In seguito a casi di gelo e neve come quelli che gli atleti hanno dovuto affrontare al Giro d'Italia nel 2012 e 2013 o alla Milano-Sanremo 2013 (costata a Manuel Belletti la sensibilità di un dito) e, all'opposto, a temperature decisamente elevate come quelle incontrate al Giro di California 2013 (ricordate Mauro Da Dalto, ustionatosi il gluteo cadendo sull'asfalto bollente?), l'ACCPI ha chiesto al CPA di sviluppare uno studio sulle temperature massime e minime (tenendo presente località, altitudini, umidità e condizioni meteorologiche in genere) che potrebbero comportare ai corridori un disagio o addirittura un rischio per la salute nello svolgere l'attività agonistica».

Questo tema è stato preso in considerazione anche da parte di altri sport. «Sì. Il beach volley e il tennis si sono dotati di protocolli che valutano la reazione tra caldo e umidità come tra freddo, vento e acqua. L'Assocalciatori Internazionale (F.I.F Pro) e la FIFA / UEFA hanno modificato il regolamento per i Campionati Mondiali 2014 in Brasile e per la Champions League, stabilendo che una commissione tecnica decida e applichi durante la competizione un time out temporaneo di 5' per far riposare gli atleti e fornir loro le "cure" necessarie per svolgere al meglio l’attività agonistica».

Il ciclismo è per tradizione uno sport da duri, non si rischia di snaturarlo? 

«Lo spettacolo e la fatica sono l'essenza del nostro amato ciclismo ma la tutela della salute dei nostri atleti deve avere la priorità. I corridori meritano rispetto e sicurezza, come tutti gli altri lavoratori. Senza stravolgere il nostro sport, che è fatto di imprese e atleti di grande spessore, il problema va analizzato e affrontato. L'anno scorso abbiamo chiesto alle altre associazioni le loro eventuali proposte e alla CPA di inviare a firma congiunta una proposta all’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) per migliorare e modificare al meglio l’articolo 2.2.029 ed evitare in futuro applicazioni soggettive da parte di ogni singolo organizzatore. I regolamenti in materia purtroppo sono obsoleti, la decisione se correre o annullare la corsa è a discrezione dell'organizzatore e della giuria che a questo proposito non hanno delle indicazioni precise da seguire. A nostro avviso il regolamento dovrebbe prevedere dei parametri di massima che tutelino gli atleti e la loro incolumità unitamente a chi si impegna per allestire la gara in prima persona. Ci auguriamo che nella prossima riunione che si terrà a Milano il 19 e 20 marzo i rappresentanti dei corridori vengano ascoltati dall'UCI, unico organo che può cambiare l'attuale legislazione».

Giulia De Maio

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