ASTANA. Martinelli: «I più forti siamo noi»

PROFESSIONISTI | 29/01/2015 | 07:00
«La squadra più forte del mondo? Guarda, a co­sto di apparire sbruf­fone, dico la nostra. Io sono convinto che faremo una grandissima stagione e l’organico che ab­bia­mo quest’anno non ha nulla da in­vidiare niente a nessuno. La squadra da battere sarà la nostra: l’Astana».
Chi parla è Beppe Martinelli, per il mondo del ciclismo “Martino”, per me che lo co­nosco da anni “Beppe” è in forma smagliante. È in gran for­ma, soprattutto sereno, dopo qual­che settimana turbolenta e ricca di tensione per via di quella licenza World Tour mes­sa in ghiacciaia dal­la Com­mis­sione delle licenze Uci.
Come da tradizione ci troviamo po­co prima di Natale per un brindisi a casa sua, a Lodetto, frazione di Ro­vato, in piena campagna bresciana. Al desco lo schieramento titolare, quello di sempre: Beppe, la si­gnora Anna che or­chestra tutto con maestria, nonno Pie­ro che ascolta, non fiata ma mangia con gusto. E poi i fi­gli Francesca, giudice di gara e terminale organizzativo del Team Astana, e Davide, talentuosa promessa del ciclismo italiano con spiccate doti nelle prove contro il tem­po, anche se scalpita visto che tem­po da perdere non ne ha più. Sul tavolo co­ni­glio in umido e un manzo all’olio di Rovato da urlo: una prelibatezza  che accarezza il palato e riempie il cuore. Im­man­cabile la po­lenta, una ricca selezione di formaggi, un buon rosso e per un brindisi di fine e inizio anno un Amets dal nome beneagurante:  in basco significa “so­gno”. Un vino targato Mar­zio Bruseghin, visto che è lui a produrlo.
«E il sogno è quello di ripetersi: e io ci credo - ci dice subito Beppe, che è di­steso e a suo agio come pochi -. Vor­rei fare un grande Giro, un grande Tour e una grande Vuelta: abbiamo davvero tutto per poter far be­ne».

Il brindisi è anche per quella dannata licenza WorldTour che l’Uci aveva messo in forse e si è fatta desiderare fino all’ultimo…
«Abbiamo sempre pensato positivo - dice -, soprattutto grazie a Vin­cenzo (Nibali, ndr) che ha uno spirito davvero unico. Non ti  nascondo però che mercoledì 10 dicembre ab­b­iamo tremato. La risposta doveva arrivare at­torno alle cinque, invece abbiamo avu­to la certezza di far par­te ancora del grande ciclismo mondiale solo alle 21.20, quando il no­stro avvocato Alexis Schoeb ha ricevuto la comunicazione direttamente dall’Uci e a sua volta l’ha comunicato a noi che eravamo in ritiro a Cal­pe».

Un buon motivo per fare due bei brindisi…
«Altroché…».

Mai pensato all’eventualità di una re­tro­cessione tra i team Professional?
«Guarda, non ci volevamo nemmeno pensare, anche perché quell’ipotesi per quanto ne so io non era praticabile. Se l’Astana usciva dal grande giro, usciva dal ciclismo. L’Uci avrebbe perso un grande team e di questi tempi non è facile trovarne altri. La crisi si fa sentire molto in Ita­lia, ma anche all’estero le cose non vanno benissimo…».

Scampato pericolo.
«Proprio così».

Quelle positività però sono state devastanti.
«Quelle dei fratelli Iglinski sono sta­te un vero e proprio tradimento, so­prattutto per Vino (Vinokourov, ndr), che li considerava, oltre che con­nazionali, due cari amici. È stato davvero pugnalato alle spalle. Le altre tre positività, quelle targate Astana Continental, co­me già spiegato erano una realtà molto diversa dalla nostra. Facevano capo di­ret­ta­mente al ministero dello sport ka­za­ko. Ma innegabilmente anche quella è stata una brutta storia. Fortuna­ta­mente la Commissione delle Licenze ha valutato con assoluta serenità il tut­to, sulla base di fatti certi e non sulle il­lazioni».

Come ti sei spiegato quel forcing me­diatico portato in modo particolare da Gaz­zetta e Repubblica?
«Non me lo sono spiegato e non me lo spiego ancora adesso. Come non mi spiego la notizia di quella fantomatica visita di Michele Ferrari nel nostro ritiro un anno fa a Mon­te­ca­ti­ni. È semplicemente ridicolo, per non dire completamente fuori da ogni logica».

Ma è vero che avete deciso di adire alle vie legali?
«Per quanto ne so io, sì: non si scher­za su certe cose».

Vincenzo, anche in questa vicenda è sembrato sempre molto sereno, fiducioso e tranquillo.
«Lui è fatto così. È il suo bello. Ha una tranquillità interiore che è fantastica».

E Aru?
«Lui era più teso e agitato, non si era mai trovato in una situazione simile. Sentiva la pressione che avvolgeva il team, e so­prattutto faceva fatica a capire quello che stava succedendo. Il brutto è che non solo lui faceva fatica a capire».

Torniamo al ciclismo: sei davvero convinto che quest’anno l’Astana possa essere il team da battere?
«Assolutamente sì. Abbiamo inserito nel nostro organico un gruppo di corridori di grandissima qualità. Lars Boom, Dario Cataldo, Davide Ma­la­car­ne, Diego Rosa, il giovanissimo colombiano Angel Lopez Moreno, vincitore del Tour de l’Avenir: sono tutti atleti di grandissima qualità, che aumentano davvero di molto il peso tecnico del nostro team».

A proposito di Moreno: non era forse il caso di farlo maturare ancora un anno in un team più piccolo?
«No comment».

Il Giro per Nibali resterà un sogno non realizzabile?
«Con quella crono di 60 chilometri si­curamente sì. Paolo (Slongo, ndr) è già andato a vederla più volte. L’ha se­zio­nata per benino, e non si può dire che sia fatta per un corridore come Vin­cen­zo. È vero, quando vinse il Giro si di­stinse nella crono di Saltara, ma quella era tutto un mangiaebevi: su e giù. Que­sta di Valdobbiadene ha 30 km iniziali piatti piatti come un tavolo da bi­liardo, che agevolerà non poco gli specialisti del cronometro. Sessanta chilometri, anche a livello tecnico, sono davvero tanti. È uno sforzo da 1 ora e 20 minuti, non tutti hanno certe doti».

Il Tour sulla carta sembra essere molto più adatto a Vincenzo…
«È sulla farsa riga di quello dello scorso anno, forse anche meglio dal nostro punto di vista. Sei arrivi in salita, il pri­mo sul muro di Huy. Poi la tappa del pavé, e quest’anno possiamo disporre anche di un uomo di grande peso come Boom che un anno fa la tappa della Rou­­baix la vinse. Sia ben chiaro, le cor­se non si vincono né sulla carta, né tantomeno a tavolino, ma ci si può ragionare».

Come avete lavorato a Calpe?
«Molto bene. Rispetto ad un an­no fa stanno tutti molto me­glio, sia Vincenzo che Fabio».

Come vedi Aru?
«È cresciuto molto. Lo vedo molto più uomo, e come corridore anche molto più consapevole dei propri mezzi. Il terzo posto al Giro ha fatto tanto, ma le due vittorie e il quinto posto finale alla Vuelta gli hanno dato molto di più. Fa­bio sa di possedere doti non co­muni: questo è il futuro. Su questo non ci sono dubbi».

A Calpe eravate divisi in tre gruppi di lavoro.
«Esattamente. Gorazd Stan­ge­lj seguiva Boom, Cataldo, Sanchez, Malacarne, Westra e via elencando: in pratica quelli che esordiranno per pri­mi. Io seguivo Aru, Tiralongo, Rosa, Kangert e altri. Mentre Shefer aveva Nibali, Va­not­ti, Scarponi e compagnia».

Scusami: ma con quella crono di 60 km Aru non parte pure lui molto penalizzato rispetto a Contador e anche ad un corridore come Rigoberto Uran?
«Assolutamente, ma Fabio sono certo che avrà le qualità per difendersi anche su un terreno che non lo vede certamente tra i grandi favoriti. Una cosa è certa: dovrà essere al top già sull’Abe­tone, dove ci sarà il primo arrivo in sa­lita. Da lì non si scappa».

Secondo te perché Alberto Contador ha deciso di venire al Giro?
«Io ho avuto la fortuna di conoscerlo quando è venuto in Astana, e di lui ho apprezzato, oltre all’immenso talento, la voglia di correre e vincere. Alberto ama la sfida, ama correre e soprattutto ama vincere. Se ad inizio stagione lui si dannava l’anima per vincere l’Algarve, figuratevi con quale preparazione potrà venire al Giro, corsa che per altro ha sempre amato. Io poi ho una mia speranza: forse ha meno certezze in chiave Tour, quindi punta molto sul Giro. Me­glio per noi. Forse».

Tu dici Astana più forte di tutte, molti di­cono Tinkoff Saxo Bank…
«Sarà una bella sfida».

A proposito di sfide: cosa potrà fare Mi­chal Kwiatkowski?
«Sfaterà la maledizione della maglia iridata. Questo è un grandissimo corridore, che può far saltare il banco su qualsiasi terreno».

E Froome?
«È un’incognita. Mi sembra me­no sicuro di prima. E forse lo so­no anche quel­li del team Sky».

Ci sarà la prima vera sfida tra Vin­cenzo e Quintana.
«Sarà anche lui un cliente scomodo».

Ma Vincenzo secondo te riuscirà a ripetersi?
«È quello che mi auguro e secondo me ha tutto per riuscirci. È nella piena ma­turazione. È consapevole di quello che vale. È sereno. È felice. È un uomo realizzato. Sa che ogni cosa in più che riuscirà ad ottenere da adesso in poi servirà solo per accrescere la sua grandezza. Vincenzo può diventare uno dei massimi interpreti del ciclismo italiano e mondiale. Nemmeno lui sa dove può arrivare. Io un’idea ce l’ho, ma me la tengo per me, altrimenti mi danno dell’esagerato. In ogni caso Vin­cenzo esor­dirà dal 4 al 7 febbraio al Du­bai Tour. Tre settimane dopo rispetto al 2014, anche perché il Tour de San Luis gli fece più male che bene».

Slongo dice che con Vincenzo c’è poco da migliorare.
«Credimi, Paolo ha già trovato i punti deboli dove poter renderlo più performante».

Vincenzo è cresciuto agonisticamente tantissimo, ma è restato quello di sempre.
«È il suo bello. Non ho mai avuto per le mani un corridore così. Per lui è tut­to normale. Primadonna? Ma lo sapete che Vincenzo si attacca ancora lui il nu­mero sulla maglia. È un esempio, in tutto. Grandi lo si è nelle opere, non ne­gli atteggiamenti. Dicono: non urla, non si fa rispettare? Non sanno nulla di Vincenzo e non sanno nulla della no­stra squadra».

Senti, nel team è restato anche Valerio Agnoli: cosa ti aspetti da lui?
«Che abbia capito la lezione. Nessuno ce l’aveva con lui, ma Valerio deve com­prendere che fa parte di una grande squadra e di un grande progetto e si deve comportare di conseguenza».

Vinokourov general manager. Tu team ma­nager. Una struttura divisa in blocchi di lavoro ben definiti…
«Noi è dallo scorso anno che lavoriamo con questa logica. Dal 2017, secondo la nuova riforma del ciclismo ipotizzata dall’Uci, tutte le squadre dovranno avere la stessa struttura. Per il momento siamo in otto, tra Bmc, Trek, Sky e Lampre Merida... In parole povere, io sono il referente e il coordinatore di tut­ti i tecnici. La squadra è divisa in tre blocchi distinti composti da dieci corridori ciascuno: ogni blocco ha un re­spon­sabile medico, un tecnico e un pre­paratore/allenatore. Questo consente ai corridori di avere sempre tre figure di riferimento chiare e ben definite. Io al termine di ogni sessione di lavoro faccio una relazione sul dropbox della squadra, al quale possono accedere Vi­nokourov, i tecnici, i medici e alcuni uo­mini dello staff: per esempio un mas­saggiatore o un magazziniere. Una volta alla settimana, generalmente al lunedì o al martedì, teniamo una riunione via Skype per verificare il lavoro svolto fino a quel momento».

Alle tue dipendenze sei tecnici.
«Esattamente. Fofonov, Iakovlev, Slongo, Shefer, Stangelj e Zanini. I me­dici sono Andreazzoli, Magni e Rachel Ortolano. Gli allenatori Maurizio Maz­zoleni coadiuvato da Marco Battaglia, e Paolo Slongo coadiuvato da Marino Rosti. Insomma, facciamo un gran bel lavoro collegiale. Siamo una squadra».

Chi è il tuo punto di riferimento?
«Alexandr Shefer. Con lui mi sento almeno due-tre volte a settimana. Ci confrontiamo un po’ su tutto».

Torniamo ai corridori: Michele Scarponi.
«Da lui mi aspetto molto, sia per Vin­cenzo che per la crescita di Aru e questo può farlo solo andando forte in bi­ci­cletta, non solo nel dopocena. Lui fa gruppo come pochi, forse come nessuno, ma deve capire che deve essere più determinante in corsa».

Guardini.
«Andrea è la mia scommessa da vincere e sono convinto che la vincerò. In parte ci sono già riuscito, visto che è sta­to riconfermato».

Diego Rosa.
«Mi piace un sacco, sia come corridore che come persona. Al Giro sarà il no­stro vero jolly».

Malacarne.
«Deve ritrovare un po’ di autostima do­po due anni molto difficili. Ha un gran bel motore, e quando dico che ha un bel motore significa che ha ampi mar­gini di miglioramento. Nemmeno Davide sa dove può arrivare, ma sono convinto che farà molto bene».

Cataldo.
«Insieme a Boom è uno dei corridori che farà fare il salto di qualità a questa squadra. Lo volevo già tre anni fa, poi decise di andare alla Sky. Sono felicissimo di averlo finalmente con me. Per Vincenzo sarà uno degli uomini più pre­ziosi in assoluto».

Vanotti e Tiralongo.
«Sono due garanzie, non si discute. Su di loro si può dire poco, per non dire tutto. Ai ragazzi giovani dico semplicemente: guardateli. Diventerete corridori».

Rein Taaramae.
«Anche lui ha un motorone. Negli ultimi due anni si è un po’ perso, io sono convinto che con noi tornerà a far ve­de­re che razza di corridore è».

Ti manca forse uno come Alessandro De Marchi…
«Mi sarebbe piaciuto molto, ma siamo stati battuti sulla velocità».

Se tu dovessi scegliere, su cosa punteresti?
«Domanda difficilissima. Però mi piacerebbe rivincere il Tour con Vincenzo e vincere la Vuelta con Aru. La Vuelta manca nel mio palmares».

Cosa chiedi al 2015?
«Che anche l’Italia si accorga di che raz­za di atleti ha per le mani. Nibali e Aru sono ragazzi eccezionali, che vorrebbero avere altri e invece li abbiamo noi ma - come dice Vino - non li meritiamo. E forse ha ragione lui».

Sono in tanti però che li vogliono ognuno per la propria strada…
«Ognuno è libero di pensarla come vuole. C’è chi vorrebbe vederli correre assieme tutti i Grandi Giri, chi invece consiglia loro di cambiare aria per pedalare da capitani unici. Intanto so­no qui e vanno be­ne. C’è spazio per tutti, e loro sono i primi a saperlo. E per la squadra è meglio avere questo tipo di problemi di abbondanza che non avere due ra­gaz­zi come loro. Lo ri­peto: l’Astana sarà la squadra da battere e Vincenzo e Fabio metteranno tutti a tacere con i loro risultati. Questa è la mia scommessa. Ma questo è anche il mio augurio».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di gennaio
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