GIUSTIZIA | 05/08/2014 | 11:19 Tre
testimoni decisivi. Tre testimoni sbucati dal nulla. Tre testimoni che
danno linfa alla versione degli inquirenti: «Pantani era in preda al
delirio di cocaina fin dal giorno precedente». Tre testimoni così
importanti da meritare la citazione persino nella relazione
sull’autopsia redatta dal professor Giuseppe Fortuni. Tre testimoni
fondamentali trattati come Paganini: niente bis concessi. Arrivano,
mettono nero su bianco e spariscono. Mai più sentiti, mai più
richiamati.
Il confronto. Al processo sono fantasmi e parlano solo attraverso le
parole messe a verbale il 14 febbraio. Tra le tante anomalie che hanno
riportato dopo 10 anni alla riapertura del caso (non più una overdose
accidentale, ma ipotesi omicidio), c’è anche la storia dei ragazzi che
avrebbero visto per ultimi il Pirata. Incontrandolo sul pianerottolo del
residence Le Rose, perché uno di loro (giocatore di basket) abitava lì.
Il racconto di quel faccia a faccia non è banale: Pantani è descritto
in malo modo, succube della coca e quasi consapevole di una prossima
fine. Insomma, una conferma piena della idea che la polizia ha in testa
fin dal primo momento in cui ha messo piede dentro la stanza occupata
dal romagnolo. Ma è andata proprio così? I dubbi sono legittimi, perché
un’ora prima il Pirata riceve in camera il ristoratore Oliver Laghi: gli
consegna quella che sarà l’ultima cena. Non solo, con lui parla 4/5
minuti, un colloquio normale e improntato al futuro prossimo («domani
posso portarti mio figlio per un autografo?» chiede Laghi ricevendo in
risposta una pacca sulle spalle e un «sì» convinto). Basta così poco
tempo al ciclista per passare da normale a «fuori di testa»? Ma c’è di
più, molto di più. Per capire meglio, è necessario spiegare come la
polizia acquisisce la testimonianza dei tre ragazzi: i tempi e i modo
possono fare la differenza.
Notte di particolari. Marco Pantani ufficialmente è trovato cadavere
verso le 20.30 di sabato 14. La notizia inizia a trapelare all’esterno
solo un’ora dopo e diventa pubblica verso le 22.30. Iniziano i primi
lanci d’agenzia, poi c’è il rimbalzo sui siti (10 anni fa internet non
aveva i social ad alimentare in tempo reale i rumors), le tv cercano
conferme prima di interrompere le trasmissioni. Verso le 22.45 ogni
remora è fugata: la morte di Marco Pantani, il ciclista più amato in
Italia e all’estero, è un dato di fatto. Si sa ancora poco su quello che
possa essere accaduto, ogni ipotesi è aperta. Gli inquirenti sono al
lavoro dentro l’albergo, si apprestano a girare il video quando arrivano
i tre ragazzi e dicono di avere delle cose da dire sul Pirata. E’
sabato, la notte di San Valentino, ma alle 23 sono già a disposizione
degli inquirenti. Raccontano di aver visto il campione meno di 24 ore
prima: era stato lui a uscire sul pianerottolo perché infastidito dal
chiasso che aveva sentito. Raccontano di aver faticato a riconoscerlo
perché in condizioni davvero precarie, sciatto nella pulizia personale
(«puzzava») e con un chiaro distacco dalla realtà. Uno dei tre riferisce
una frase lunga (circa tre righe nel verbale), quasi filosofica e non
di facile memorizzazione. E poi ci sono anche le parole a effetto,
profetiche, pronunciate da Pantani in romagnolo: «Non so se per me ci
sarà un domani». Questo è il quadro consegnato alla polizia. Il verbale
diventa importante anche nel lavoro del professor Fortuni: il delirio da
cocaina, che avrebbe portato il ciclista a distruggere la stanza e
vedere fantasmi, diventa una costante. Nella relazione, il medico
legale fa riferimento proprio alle parole dei tre ragazzi per dipingere
uno stato di alterazione quasi perpetuo.
Due Pantani. Eppure le cose non stavano proprio così. Quantomeno il 13
sera ci sono due Pantani: il primo, quello che apre al ristoratore, è
normale, tranquillo, socievole, disponibile a parlare del futuro, tanto
da promettere un autografo. Questo accade tra le 20.30 e le 21. Poi il
Pirata consuma la cena (una omelette al prosciutto più dei succhi di
frutta) e si tramuta in un’altra persona. Il Pantani secondo, quello che
in preda alla cocaina protesta con i tre ragazzi per il chiasso sul
pianerettolo, pronuncia frasi sconnesse e parla del futuro in modo
funesto. Accade verso le 22. In un’ora c’è una trasformazione totale.
Come è possibile? Dopo l’omelette, Pantani si mette a mangiare anche la
coca? Oppure le cose sono andate diversamente?
Anomalie. Di sicuro c’è un fatto: mentre i tre ragazzi sono ascoltati
dalla polizia con il cadavere ancora nella stanza, diventando una prova
per confermare lo stato confusionale del ciclista, il ristoratore non
viene mai convocato. Mai: né in sede di indagini preliminari, né durante
il processo. Eppure era stato uno degli ultimi a vedere Pantani vivo.
Non solo, anche i tre ragazzi escono presto di scena: sentiti il 14
sera, non saranno mai più richiamati a ripetere quella testimonianza.
Neppure durante il dibattimento. Dopo più di 10 anni forse sarebbe il
caso di mettere a confronto i due Pantani. E capire dove sia l’errore.
da La Gazzetta dello Sport a firma di Francesco Ceniti
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