STORIA | 06/06/2014 | 11:59 Giudici di gara, ufficiali di gara, commissari di gara, giuria, collegio di giuria, collegio dei commissari, sono varie definizioni e “distinguo” per una funzione centrale, necessaria, per lo svolgimento e la regolarità delle corse di ogni epoca, di ogni categoria e di ogni tipo.
Cerchiamo di mettere alcuni punti fermi sulla nascita e sull’evoluzione della categoria del ciclismo forse più nascosta che non vive - come deve essere del resto per la natura della sua funzione - sotto la luce dei riflettori ma deve operare con efficace discrezione. Un po’, per rendere l’idea, come l’arbitro del calcio che è certo d’avere assolto al meglio il suo compito quando non si fa notare e il suo nome appare solo sul tabellino della partita e non entra nella cronaca e nel commento della partita. Passando inosservato, senza appunti, significa che ha corrisposto al meglio al ruolo, alla sua funzione, con discrezione e capacità di regolazione, interpretazione e applicazione delle norme regolamentari, senza ingenerare critiche e influire sul risultato. Facile a dire, difficile, molto difficile, da realizzare soprattutto nei tempi recenti dove tutti i protagonisti e gli operatori sul campo di tutti gli sport vengono giudicati dalla critica con un voto e, sovente, con un commento.
Nel ciclismo questo metodo di giudizio non ha allignato e, per la maggior parte dei casi, i nomi dei componenti il collegio di giuria compaiono solo nei programmi di gara. Salgono alla ribalta della cronaca solamente in poche occasioni, nei casi che si prospettano soprattutto quando il collegio di giuria adotta dei provvedimenti di carattere tecnico, solitamente ed in maniera preponderante nelle concitate fasi finali di una corsa, nelle volate.
Questo nell’enunciazione di principio che, così come per gli arbitri di calcio, in soldoni e con poca generosità e comprensione della difficoltà del ruolo, si può rendere con la locuzione, sovente affibbiata agli arbitri di calcio e pure di altri sport, “un male necessario”. Chiariamo subito che, per fortuna, nel ciclismo il ruolo del giudice di gara - lo chiameremo sempre così - ha ben altra accettazione, comprensione e rispetto in confronto a quello che accade nel calcio e in altri sport che devono registrare tristi episodi e manifestazioni d’intolleranza e contestazione con alte frequenze e pure, purtroppo, talvolta, becera e gratuita violenza. Concentriamo però la nostra attenzione sul ciclismo. Sembra non vi sia, nella pur copiosa produzione della pubblicistica che ha accompagnato il ciclismo delle varie epoche, una documentazione scritta organica, di tipo didascalico e rievocativo, che cerchi di documentare, spiegare e rappresentare alcuni aspetti della multiforme realtà che compone la categoria dei giudici di gara. Ci fosse, magari nascosta da qualche parte, sarebbe bene accolta e utile per la migliore comprensione di questa realtà, realtà importante ed imprescindibile per la vita del ciclismo. Non parliamo di regolamenti, casistiche, relazioni e rapporti tecnici, tabelle o simili e tutto quanto importante, basilare, per regolare l’attività e che devono costituire il bagaglio e l’indispensabile base culturale (ma sì, usiamo questo aggettivo senza eccessivi timori o titubanze) dei giudici di gara ma, piuttosto, di testimonianze indicative della natura della composizione della categoria, delle motivazioni, delle aspettative - diciamo per campione - di coloro i quali sono nella categoria da sempre e di quelli che intendono entrarvi. - segue
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