SCORTA. Marangoni e la sicurezza al Giro e al Tour
INIZIATIVE | 01/12/2013 | 09:41 Alan Marangoni, del G.S. Cannondale, romagnolo di Cotignola (RA), classe ’84, professionista dal 2009, bravo quest’anno a disputare le due corse a tappe più importanti al mondo. Gli organizzatori di Giro e Tour operano in contesti molto diversi. I primi devono faticare per ottenere il transito sulle strade, i secondi invece, per effetto della cultura sportiva francese, le strade è come se le prendessero e basta. In Italia il traffico viene bloccato per lo stretto necessario, in Francia per l’intero giorno. Ma premesso questo, caro Alan, hai percepito gradi diversi di sicurezza ? A prescindere dalle differenti difficoltà che possono incontrare gli organizzatori di queste due grandi manifestazioni, la sicurezza percepita dai noi corridori è praticamente la stessa. L’unica grande differenza è data dalla quantità di pubblico che al Tour è tale da mettere quasi paura ai corridori, perché in qualsiasi momento, non importa se in centro urbano, in campagna o in mezzo ai boschi, puoi trovare cumuli di gente o di famiglie intere i cui bambini si agitano pericolosamente a bordo strada. Quando pedaliamo sui lati esterni del gruppo noi corridori dobbiamo fare molta attenzione a non investire gli spettatori oppure a non essere accidentalmente colpiti da questi quando si sporgono per applaudire o per fotografare. Io stesso in una tappa, mentre stavo risalendo per portare le borracce ai compagni, sono stato involontariamente colpito ad un braccio da uno spettatore. Non vi dico il male che ho provato. Magari chi osserva il ciclismo soltanto attraverso la tivù avrà l’impressione che il pericolo maggiore sia nelle grandi salite, dove il pubblico ti lascia una lingua di asfalto solo all’ultimo momento oppure ti corre a fianco. Ma non è così, per noi corridori il grande pericolo è nei tratti in pianura, dove alla velocità elevata si somma il rischio di investire o di essere investiti in qualsiasi momento.
Al Tour, le segnalazioni dei pericoli, vengono lasciate esclusivamente ai gendarmi della scorta motorizzata, obbligando questi a continui sorpassi del gruppo per riportarsi in testa pronti per la segnalazione successiva. Al Giro invece, le segnalazioni vengono fatte con minore insistenza e solo dai motociclisti dell’organizzazione. In quale delle due condizioni ti sei trovato meglio? Le segnalazioni fatte dai motociclisti sono molto preziose per noi corridori, ma nel farle occorre considerare anche che per ognuna di queste si dovrà poi compiere la delicata e rischiosa manovra del sorpasso del gruppo per riportarsi di nuovo avanti. Il giusto grado di sicurezza, in questo specifico caso, non è dato quindi dalla quantità delle segnalazioni, ma dalla loro effettiva necessità rapportata al rischio indotto dei sorpassi successivi. Personalmente, mi sono trovato leggermente meglio al Giro.
La cartellonistica supplementare di segnalazione dei pericoli, obbligatoria nelle gare internazionali, l’hai trovata più efficace al Giro o al Tour, oppure è roba che nemmeno riuscite a scorgere? Non me ne vogliano gli amici della RCS, ma in fatto di cartellonistica i francesi dell’ ASO sono addirittura “maniacali”. Rotonde, dossi, curve e quant’altro possa costituire un pericolo, al Tour è tutto segnalato tramite una cartellonistica particolareggiata posizionata ai 200 e ai 100 m, generalmente in grado di scongiurare le conseguenze peggiori. Cartellonistica alla quale noi guardiamo effettivamente, perché di questi tempi, con i tanti ostacoli che ti trovi sulla strada, o tieni gli occhi aperti o rischi di non fare nemmeno mezza stagione.
Al Giro e al Tour avete utilizzato le cosiddette “radioline”, proibite invece per le gare non World Tour. Sotto il profilo della sicurezza le hai trovate utili? Caspita che le abbiamo trovate utili. E lasciamelo dire: averle eliminate è stata una boiata pazzesca, che non ha reso il ciclismo più interessante come si voleva far credere, ma soltanto meno sicuro. Tramite le radioline sia al Giro che al Tour venivamo informati dai nostri direttori sportivi su tutti i rischi improvvisi: macchie d’olio, asfalto sconnesso, restringimenti ed altro ancora che potesse mandarci con le ruote all’aria. Pensiamo solo per un attimo al finale della prima tappa del Tour, quando per un pullman incastratosi sotto il traliccio del traguardo, l’arrivo era stato dapprima anticipato ai 3 km e poi di nuovo spostato nel punto originario. Noi corridori in quel finale di gara potevamo sembrare pure dei bufali impazziti, ma tutti sapevamo quel che era stato deciso per l’arrivo. Si provi ad immaginare la stessa situazione senza le radioline! Auguriamoci solo che l’UCI voglia presto riconsiderare questa sua incomprensibile decisione.
Quando si prospetta un arrivo in volata, negli ultimi km l’andatura del gruppo arriva anche oltre i 65 orari. Cos’è che più diventa pericoloso a quella velocità e che magari talvolta viene sottovalutato? Da parte degli organizzatori nulla o quasi viene sottovalutato. Il pubblico occasionale invece spesso commette tre ingenuità, ciascuna capace di far cadere i corridori. La prima, quella di fare le foto senza tenersi a debita distanza. La seconda, quella di girarsi a fissare i primi concorrenti dimenticandosi che il grosso sta per sopraggiungere alle tue spalle. La terza, quella di sostare a bordo della carreggiata e non sul ciglio del fosso come sarebbe molto più sicuro. In questi frangenti le moto staffette non devono avere più la pretesa di superare i concorrenti. Il gioco dei marcamenti è all’estremo e nessuno è disposto a cedere il passo, perché se ti scansi per fare posto al motociclista, stai pure certo che il primo ad approfittare dello spazio lasciato libero sarà un corridore che vuole recuperare posizioni. Questo capita anche lontani dal traguardo, figuriamoci quando si è nei finali di gara.
Giro e Tour: ammiraglie che vanno e vengono, tv e fotografi in moto che sbucano da tutte le parti, cambi-ruota e auto della giuria che entrano ed escono in continuazione, tanto pubblico e molti tifosi che vi corrono a fianco. Secondo te, è tutto normale, tutto inevitabile, oppure per la vostra sicurezza c’è qualcosa che andrebbe rivisto? Personalmente non immagino siano possibili grandi cambiamenti, ma qualche miglioramento sì. Il pubblico, che non puoi certo augurarti di ridurlo, lo si potrebbe però rendere più consapevole attraverso una specifica informazione data dai media, scoraggiando in particolare l’esibizionismo di chi ti corre accanto solo per mostrarsi in diretta tivù. Riprese televisive spesso fatte in modo troppo ravvicinato, con motociclisti bravi ed esperti ma che non ti tolgono di dosso la paura di essere coinvolti assieme in una caduta. Le moto dei fotografi andrebbero leggermente ridotte, specialmente al Tour. Sta migliorando invece la condotta delle auto al seguito. C’è sempre qualche ammiraglia che si comporta come fossero dei banditi in fuga, ma l’impressione è che la maggioranza si comporti con maggiore prudenza, soprattutto al Tour dove non c’è tolleranza: lì, se fai il cretino, il giorno dopo sei a casa. Giusto quindi che la UCI, per queste gare World Tour, abbia da quest’anno preteso una specifica abilitazione per tutti i conducenti delle vetture al seguito, che mi auguro venga ulteriormente estesa al più alto numero possibile di competizioni.
Dall’esperienza fatta nelle grandi corse a tappe, ed in generale in quelle professionistiche, avresti qualche soluzione da proporre anche per la sicurezza delle gare cosiddette minori? Agli organizzatori, oltre a quanto di buono stanno già facendo, suggerirei di credere maggiormente all’utilità di una buona cartellonistica per indicare rotonde e pericoli di vario genere. Un investimento non molto costoso che può essere ammortizzato facilmente nel tempo. Ai corridori invece sconsiglierei vivamente di copiare quelle posizioni fuori sella, rannicchiate sul telaio della bici, che spesso i corridori professionisti assumono in discesa, ma che sono pericolosissime perché se capita un avvallamento o una buca non si è per nulla in grado né di frenare né di controllare il proprio mezzo. Si può benissimo essere “aerodinamici” senza compromettere il controllo della propria bici.
Caro Alan, un ultima domanda: in quale nazione (o grande corsa) hai trovato i migliori motociclisti di scorta? Sinceramente, non te lo saprei dire. Ci sono differenze operative ma tutti fanno del loro meglio e alla fine il risultato non è molto diverso. In generale per i motociclisti della scorta provo un senso di riconoscenza, magari esclusi i casi in cui questi ti superano a velocità eccessiva oppure tentano di farlo nei momenti meno opportuni. Trovo invece inevitabile sottolineare come siano i motociclisti belgi a dover affrontare le prove più dure. Il Giro delle Fiandre, ma soprattutto la Parigi-Roubaix, sono corse micidiali, diciamo pure pericolose, dove le strade strette ed il pavé obbligano i motociclisti (quanto i corridori) a continue acrobazie pur di rimanere in sella. In Belgio è proprio tutta un’altra storia. Ma la motostaffetta più intraprendente che mi è capitato di vedere all’opera è quella di due anni fa al giro dell’India Era previsto che ad un certo punto la corsa entrasse in autostrada. Se non che, al casello, nessuno aveva pensato di alzare le sbarre. Stavamo per fermarci quando, il motociclista che ci precedeva, sceso dalla moto si buttò col petto contro la sbarra scardinandola letteralmente. Fantastico! In India, se trovi una mucca in mezzo alla strada ti fermano la corsa, ma per le sbarre no. Quelle, se serve, le strappano senza attendere il casellante.
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