Armstrong il bandito

TUTTOBICI | 01/03/2013 | 08:54
UN BANDITO. Neil Armstrong non era suo parente, nemmeno alla lontana, e nemmeno il passo compiuto da Lance Armstrong è minimamente paragonabile a quello mosso dal compianto astronauta sul suolo lunare. Allora, il piccolo passo di un uomo è diventato giustamente un grande balzo per l’umanità, mentre il passo di Lance, che ha deciso di parlare e aprirsi davanti alle tivù di mezzo mondo, è risultato un impercettibile sobbalzo: una piccola confessione per un piccolo uomo. Per la serie: bastava un tweet.
Era sufficiente che Oprah Winfrey gli domandasse: «Ti sei dopato?». E lui rispondesse: «Sì». Fine della confessione e delle trasmissioni. Risparmiati 90 minuti di ovvietà e vuoti. Non ha aggiunto nulla. Soprattutto non ha spiegato niente e non ha portato alla luce nessun elemento che possa servire a migliorare il nostro adorato sport.
A questo punto, però, la vera purificazione sportiva passa solo attraverso una confessione giurata davanti ad un tribunale sportivo. Davanti a membri del Cio, il governo mondiale dello sport. Davanti ad esperti della Wada, organismo mondiale dell’antidoping. Ma anche e soprattutto dell’Uci, che travolti dallo scandalo, si sono precipitati a dire: visto? noi non centriamo nulla.
Poveri cocchi, dicano quello che vogliono, ma delle due l’una: o i loro sistemi antidoping sono semplicemente ridicoli (il texano si è sottoposto negli anni a più di 500 controlli senza mai risultare positivo), oppure come sostiene da tempo l’australiano Michael Ashenden, fisiologo australiano, ex collaboratore dell’Uci, considerato il massimo esperto al mondo di doping ematico, il governo mondiale del ciclismo ha un ruolo perlomeno sospetto in tutta questa torbida vicenda.
Lo scienziato australiano ha abbandonato il “panel” dell’Uci che valuta i passaporti biologici, di cui era stato promotore e ideatore, proprio perché a disagio. Ha abbandonato e ha denunciato. In Italia pochissimi (noi tra questi) hanno dato voce a questo studioso che ha pubblicamente denunciato i suoi dubbi sul funzionamento del passaporto e soprattutto sul modo in cui l’Uci conduceva i controlli sul sangue destinati a “costruire” il profilo di ciascun corridore, in più di un’occasione. Dubbi pesanti: «In alcuni dei profili ematici che valutiamo - aveva detto Ashenden a Cyclingnews.com - ci sono dei “buchi” inspiegabili tra un controllo e un altro. Non li capisco: la strategia che sta perseguendo l’Uci mi sfugge».
Mi fermerei qui, perché ho già concesso troppo spazio a quello che io considero il peggiore corridore della storia: non perché si è dopato. Non perché ha negato: non è stato il solo e non sarà ahimé l’ultimo. Ma perché la sua tracotanza, la sua arroganza, la sua cattiveria non hanno eguali con altri corridori caduti nella rete del doping. D’altra parte, qualcuno ha detto «non c’è più posto per lui nel ciclismo». Tecnicamente è stato bandito. Ecco, a differenza di Ullrich e quanti come lui sono stati trovati con le mani nella marmellata, Armstrong è stato davvero un bandito.

UN GESTO. Lo scrive benissimo Gatti: ripartiamo da Filippo Simeoni. Concordo e rilancio. È un’idea, un suggerimento, per l’Accpi, l’associazione di categoria con la quale abbiamo da anni buoni rapporti. Porti al proprio interno uno corridore come Filippo Simeoni. È un gesto. Tutt’altro che simbolico. Tutt’altro che scontato.
 
COMPRENSIONE. In questo numero potrete leggere anche l’intervista esclusiva a Leonardo Piepoli. Non vi nascondo che ho pensato a lungo sull’opportunità o meno di concedergli dello spazio. In un momento come questo, non è stato assolutamente facile. O meglio, per me non lo è stato assolutamente. Mi hanno convinto le sue parole: accorate e spero sincere (a me sono sembrate tali). Soprattutto mi ha convinto il fatto che lui non abbia invocato il perdono o l’oblio, ma molto più semplicemente ha chiesto a Coni, Uci e Federazione di poter fare qualcosa per il ciclismo. Per riparare ciò che lui ha rotto. Per riabilitarsi anche solo in parte. Insomma, ha chiesto comprensione e si è reso disponibile a fare un percorso di espiazione e crescita. Non so se questo sarà possibile, lo decideranno le autorità competenti, ma perlomeno Leonardo - dopo quattro anni di silenzio -, ha ritrovato la forza e la dignità di parlare. Ha detto delle cose. A voi spetta il supremo giudizio. Ed è esattamente quello che vuole lui.

Pier Augusto Stagi, editoriale da tuttoBICI di febbraio


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COMMENTI
UCI complice
1 marzo 2013 13:15 luki
L'americano non è mai stato trovato positivo? Per forza le sue provette le buttavano senza controllarle come fanno all'Aqua cetosa di Roma con quelle dei calciatori.

Sottoscrivo
2 marzo 2013 13:52 pickett
Credo che stavolta Stagi abbia centrato in pieno il nocciolo della questione:Armstrong non era solo un dopato(dopati lo erano tutti,ormai credo sia chiaro anche ai più ingenui tra gli appassionati di ciclismo),era un vero proprio gangster.Questa é la vera differenza tra lui e gli altri suoi colleghi.Forse,però,Stagi avrebbe dovuto scriverlo qualche anno fa.Sicuramente lui e tutti gli addetti ai lavori sapevano già tutto.

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