BOTTA&RISPOSTA con Johan Esteban Chaves

| 04/10/2012 | 09:41
Presentati.
«Ho 22 anni e arrivo da Bogotà. So­no uno scalatore puro di 54 chili per 164 centimetri di altezza. Caratterialmente sono un ragazzo tranquillo, all’inizio un po’ timido ma se prendo confidenza risulto simpatico perché mi piace passare il tempo a ridere e scherzare».
Soprannome?
«In squadra mi chiamano Chavito perché sono il più piccolo del grup­po».
A che età hai iniziato a correre?
«A 14 anni. La passione per il ci­clismo me l’ha trasmessa papà Jairo, con cui da bambino andavo a vedere le gare, grande fan di questo sport e sopratutto di Lucho Herrera e Fabio Parra».
Ti ricordi la tua prima bici?
«Sì, me la regalò proprio papà. Era della misura più piccola in commercio, con i cambi sul telaio, azzurra e nera. La prima volta che la usai fu in una gara di duathlon che prevedeva 5 chilometri di cor­sa a piedi e 30 chilometri in bici. Mi piazzai terzo».
Cosa rappresenta per te la salita?
«Il terreno a cui sono abituato. In Colombia mi sono sempre allenato su stradoni in salita, praticamente non c’è altro. A cosa penso quando la strada sale? Che devo attaccare e andare più forte che pos­so!».
Come passi il tempo libero?
«Leggendo libri e guardando la televisione».
Come hai vissuto il passaggio al professionismo?
«Ho sentito molto il cambio di rit­mo. All’inizio ho sofferto le forti andature e il chilometraggio, man mano mi sono abituato e in estate, con temperature più latinoamericane, tutto è andato meglio».
Come ti trovi alla Colombia Col­de­portes?
«Come in una famiglia. Con Clau­dio Corti, Valerio Tebaldi, Oscar Pelliccioli e Oliverio Quin­tana la­voro molto bene. Quella che han­no dato a me e agli altri ragazzi è un’opportunità im­portante. Pos­siamo contare su una struttura se­ria e professionale, in cui ognuno può ritagliarsi le sue possibilità».
Ti aspettavi di vincere al primo an­no tra i prof?
«Era il mio obiettivo per questa stagione, ma visto quanto è stata dura all’inizio, vedevo il successo farsi sempre più lontano. La vittoria dell’ultima tappa della Vuelta a Burgos davanti a Henao credo sia stata una bella immagine per il ciclismo colombiano e un ottimo inizio per me. Ed il bis che ho con­cesso a Ca­maio­re ha con­fermato che il pri­mo successo non è stato figlio del caso».
A chi hai de­dicato la pri­ma vittoria?
«Al mio com­pagno di squa­dra e di casa Jarlinson Go­mez Pan­ta­no: do­po un’in­­fe­zio­ne vi­rale che l’ha co­stretto a star fer­mo due me­­si, fi­nal­men­te è tornato in sella. Il mio pensiero co­munque va sempre alla mia famiglia, il mio fan club personale: a papà che ha una im­presa di mo­bili, mamma Ca­ro­li­na che è casalinga e a mio fratello Bryan, che ha 14 anni, studia e va in bici, forse più forte di me».
Quali altri obiettivi hai nel mirino?
«Per il finale di stagione vorrei far bene al Giro di Lom­bardia, che si corre vicino a dove abitiamo (vive nella bergamasca, a Curno, con Chalapud, Pantano e Ospina, ndr) e presenta tanta salita. Mi manca da vedere solo com’è il Muro di Sormano... ».
Come ti trovi in Italia?
«All’inizio male, sono arrivato a gennaio e non sopportavo il freddo. Al mio paese se è brutto tem­po ci sono come minimo 15 gradi, quando sono atterrato da voi nevicava. Con l’estate va meglio e poi ado­ro il vostro cibo (sorride la­sciando vedere l’apparecchio ai denti, ndr). Vado pazzo per la la pasta e la pizza».
Hai intenzione di imparare l’i­ta­liano?
«È difficile, ma devo. In squadra quasi tutti lo parlano, se voglio comprare qualcosa al mercato de­vo sapermi esperimere e per capire qualcosa di quello che trasmettono in tv devo almeno farlo. Insomma, mi tocca».
Ti manca la Colombia?
«Soprattutto mi mancano gli affetti, la famiglia, il calore della gente, ma se voglio essere un corridore è in Europa che devo vivere».
Com’è il ciclismo nel tuo paese?
«Rispetto a quello italiano, è decisamente più uno sport di resistenza. In Colombia ti trovi ad affrontare salite di tre ore tutte dritte. I tornanti li ho scoperti in Italia! Qui gli strappi sono più corti, si deve essere esplosivi e più tattici».
La gara più bella di tutte?
«Il mio sogno è vincere il Tour de France. Mi chiedi se penso sia possibile? Ti rispondo che stiamo la­vorando per questo».
Hai un sogno?
«Per la mia carriera ve l’ho appena detto, per il resto vedremo cosa mi riserverà la vita».

da tuttoBICI di settembre
a firma di Giulia De Maio

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