BOTTA&RISPOSTA con Francesco Lasca

| 03/07/2012 | 08:54
Come ti presenteresti?
«Sono un ragazzo di 24 anni, marchigiano. Abito a Osimo, in provincia di Ancona, e sono al mio pri­mo anno tra i professionisti. I miei compagni di squadra mi chiamano Paco, abbreviazione di Fran­cisco, equivalente del mio nome in spagnolo. Potete chiamarmi Francesco o Paco per me ormai è lo stesso».
Cos’hai studiato?
«Mi sono diplomato all’ITIS di Ca­stelfidardo in Elettronica e In­formatica. Poi tra università e bici ho scelto la seconda, di questi tem­pi forse ho rischiato, ma per ora fortunatamente mi è andata bene».
Hai hobby particolari?
«Mi diverto con tutto ciò che ha a che fare con i computer e l’elettronica. Trascorro il mio tempo libero facendo lunghe passeggiate con il mio cane Lello e ascoltando musica, soprattutto le colonne sonore dei film».
Come ti sei appassionato al ciclismo?
«Per sbaglio (sorride, ndr). Un ami­co mi ha proposto di correre, così ho disputato la mia prima ga­ra da G3. Nelle categorie minori non vincevo tantissimo ma mi di­vertivo molto e credo che questo sia sta­to un bene. Ho dimostrato fin da subito tanta grinta e capito ben presto che mi ero scelto uno sport non facile. Mi sono abituato alla fatica e ho appreso una lezione importante: è più facile perdere che vincere. Questo primo ap­proc­cio credo mi sia servito molto e mi abbia permesso di arrivare fin qui, a differenza di altri ragazzi che da piccoli stravincevano, ma si sono fermati alle prime difficoltà».
Chi ti supporta nella tua professione?
«La mia famiglia: papà Pao­lo, mam­ma Gabriella e mia sorella maggiore Federica, che ha corso fino alla ca­te­goria junior. Si può dire che io e lei siamo cresciuti a pa­ne e ciclismo, domenica dopo domenica, tra una gara e l’altra, la passione della bici ha contagiato tutti in ca­sa Lasca. Mi sta molto vicino, or­mai da cinque anni, an­che la mia fidanzata Marina, che da quando ero dilettante ha af­frontato parecchi sacrifici per me, primo fra tutti la distanza».
Come ti trovi alla Caja Rural?
«In Spagna mi trovo molto meglio di quanto mi aspettassi. Quando grazie al mio ex direttore sportivo Elio Aggiano, (che credeva mol­to in me, si è impegnato al massimo per trovarmi un posto tra i grandi del ciclismo), ho firmato per questo team ero chiaramente felicissimo, ma anche un po’ impaurito di do­ver lasciare l’Italia. Prima avevo viaggiato davvero poco e questa nuova avventura rappresentava un’incognita. Ora posso dire di non aver potuto scegliere strada migliore. A sentire i pareri di alcuni colleghi forse si sta meglio all’estero che in una squadra italiana, ma io - non avendo pro­vato a correre da professionista in un team azzurro - non pos­so ancora fare pa­ragoni».
Come hai vissuto il passaggio nel­la massima categoria?
«Come tutti l’ho sentito, an­che se per quanto riguarda la preparazione non è cambiato mol­to. C’è una invece grande differenza nell’impegno sia fisico che mentale e nel modo di correre. Tra i dilettanti si parte a tutta e si arriva ancora più forte, tra i professionisti è più difficile gestirsi perché si parte veloci, poi magari si ha mo­do di rilassarsi un attimo e da un momento all’altro ci si ritrova a dover dare il massimo per arrivare in volata. È difficile da spiegare, chi non ha mai provato a stare in gruppo probabilmente non può capire quello che intendo».
Un corridore che stimi?
«Tom Boonen, perché dimostra di avere classe sia in bici che al di fuori del mondo delle due ruote, rispetto ad altri campioni mi ha impressionato positivamente an­che come persona, per il suo carattere. Come tipo di corridore mi emozionava molto Bettini, quando ero più piccolo per me ogni suo attacco era il massimo. Per il mo­do di gareggiare mi piacciono molto anche Freire e Sanchez».
Che corridore sei?
«Ho un discreto spunto allo sprint ma non amo le gare piatte, mi piacciono i percorsi misti: negli ultimi cinque anni, correndo in Toscana da dilettante alla Mon­summanese, non bastava essere veloce per vincere quindi ho lavorato molto duramente per migliorare in salita. Credo, però, di aver ancora molto da imparare anche riguardo me stesso».
Nel 2009 hai avuto la soddisfazione di arrivare sul podio al GP Li­berazione alle spalle di Modolo e Matthews, dopo due anni li hai ri­trovati nella massima categoria.
«Riguardando le foto di quell’arrivo mi sono chiesto spesso perché loro sono riusciti a passare subito mentre io ho fatto più fatica a strappare un contratto... Poteva essere l’anno buono, ma nel finale di stagione ho raccolto pochi risultati; l’anno dopo al Liberazione sono caduto all’ultimo chilometro e così ho sprecato un’altra bella occasione. Ad ogni modo sono contento dei miei trascorsi da dilettante perché sono stato sempre regolare».
Qual è il ricordo più bello che custodisci legato al ciclismo?
«Quando avevo 8 anni e ho portato a casa la mia prima biciclettina da corsa è stata una bella emozione, come altrettanto forte è stato debuttare tra i professionisti in Ar­gentina al Tour de San Luis».
Obiettivi per il 2012?
«Dal primo anno tra i professionisti spero di trarre esperienza e di divertirmi in bici come ho sempre fatto. Vorrei anche provare a vincere, credo di poterci riuscire. È dura, ma niente è impossibile».
Sogni per il futuro?
«Il primo si è realizzato, da ora in poi mi basterebbe essere felice».

da tuttoBICI di giugno
a firma di Giulia De Maio

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