BOTTA&RISPOSTA con Moreno Moser

| 02/07/2012 | 09:02
Ti presentano sempre come uno dei discendenti della famiglia Mo­ser: tu come vorresti essere chiamato?
«È vero, sono il figlio di Diego (e Vittorina), il nipote di Francesco (e di Aldo, e lo era anche di Enzo), il fratello di Matteo e Leonardo, il cugino di Ignazio e, alla lontana, dei Simoni ma voglio essere giudicato per il corridore che sto dimostrando di essere. Il cognome non mi pesa: come ho già detto, non si è mai visto un cognome che pedala da solo».
Prima di essere un Moser, chi è Moreno?
«Un ragazzo di 21 anni, abbastanza tranquillo e non troppo espansivo. Diplomato al liceo scien­tifico tecnologico, appassionato di musica e videogiochi, single».
Ti sei affacciato alla massima categoria vincendo il Laigueglia.
«Non potevo sperare in un inizio migliore tra i professionisti. La “spa­rata” è una dote che ho da sempre e cerco di sfruttare ogni volta che posso. Facevo lo stesso da dilettante. L’azione da finisseur è la migliore per godersi il taglio del traguardo a braccia alzate…».
A Francoforte ti sei ripetuto attaccando a 800 metri dall’arrivo.
«La seconda vittoria è stata importante per dimostrare che la prima non era stata un colpo di fortuna o un caso isolato, anche se ammetto che stavo cominciando a pensare che lo fosse. Un solo successo po­te­va valere fino a un certo punto: inizio stagione, effetto sorpresa, non tutti al massimo... Due giorni prima di Francoforte ero arrivato quinto al Giro di Toscana, mi ero piazzato quarto alla crono della Coppi & Bartali, nono a quella dei Paesi Baschi, ma non mi ero mai sentito il più̀ forte come era accaduto a Laigueglia. A Francoforte è̀ capitato di nuovo ed è stato speciale chiudere con una vittoria la mia prima parte di stagione».
Un colpo secco e via. Cosa pensi quando sei davanti tutto solo?
«Mi concentro solo nel non ascoltare la fatica e far girare le gambe il più veloce possibile. In tanti mi hanno fatto notare che vinco alla Saronni, a me non interessa il mo­do... Importa vincere».
Le classi ’89 e ’90 si stanno dimostrando ricche di talenti. Tra qualche anno potremmo aspettarci una sfida Moser contro ...
«Di ragazzi promettenti ce ne sono molti. Il primo che mi viene in mente è il mio compagno di squadra Viviani che ha già fatto vedere di essere un corridore vero, ma ha caratteristiche diverse dalle mie quindi non dovremmo scon­trarci. Penso quindi a Ulissi e Battaglin, che l’anno scorso tra i dilettanti mi ha dato tanto filo da torcere. Tra gli stranieri penso a Thibaut Pinot, ma è difficile fare previsioni a lungo termine perché il talento può emergere solo se ac­compagnato dalla testa e dalla costanza. Il tempo ci dirà chi diventerà un campione e chi no».
I tuoi compagni di allenamento?
«Mio cugino Ignazio, che corre nella Trevigiani, e Michele Simoni, dilettante della Mantovani che abita anche lui a Palù di Giovo».
A proposito di Ignazio ti piacerebbe ritrovarlo tra i prof?
«Sarebbe un sogno! Siamo molto legati, abbiamo trascorso l’infanzia assieme, le prime gare sempre uni­ti, sperando di arrivare entrambi nella massima categoria. Ritrovarci adesso sarebbe il massimo».
Niente Giro d’Italia, ti vedremo alla Vuelta?
«Non lo so, né io né la squadra sia­mo sicuri che io sia pronto ad affrontare una grande corsa a tap­pe. Dicono che quest’anno sia davvero impegnativa, a me non dispiacerebbe essere al via. Ora il pensiero comunque è tutto al campionato italiano, nel mio Trentino, poi si vedrà. Mi farò trovare pronto e motivato per cercare il risultato in ogni corsa, grande o piccola che sia».
Ti ricordi la tua prima gara?
«Certo! Da G3, finii 17° e non penso in corsa fossimo molti di più (sorride, ndr). Da piccolo ero ab­bastanza scarso, a ri­pen­sarci non so neanche io dove ho trovato la forza di andare avanti! I pri­mi risultati sono arrivati solo quando le gare hanno iniziato a presentare qualche salitella. La pri­ma vinta fu da G5 in mtb, una sorpresa per tutti. Sembrava im­pos­sibile che quel bambino ma­gro­lino con gli occhiali da miope fosse capace di vincere».
E la prima bici?
«Una Moser-Monteco­ro­na blu, di serie, uguale a quella di tutti gli altri giovanissimi della squadra. Ci credete che è ancora in giro? In questi giorni ho visto pedalare i ragazzini del paese e credo di averla adocchiata».
Il tuo terreno preferito?
«Mi piacciono i percorsi ondulati, le salite corte ma non cortissime. Diciamo che sopra i 3-4 km inizio a fare troppa fatica».
Personaggi di riferimento?
«Non mi ispiro a nessuno, ma cer­co di cogliere qua e là il meglio da uomini e don­ne che stimo, non so­lo sportivi. Ammiro l’astrofisica Mar­ghe­rita Hack e conosco a me­moria i film di Quentin Ta­ran­tino. Non ho cam­pioni da imitare però quando vincevano Gi­bo Simoni in bici e Valentino Rossi in moto ero contento. Pren­do spunto da tanti, tutto qui».
La tua gara dei sogni?
«Tra quelle di un giorno rispondo senza dubbio Liegi. Mi è piaciuto prendervi parte quest’anno e cre­do sia abbastanza adatta alle mie caratteristiche. Per i grandi Giri non posso ancora sapere quali sia­no i miei limiti perché non ne ho mai corso uno, ma non mi precluderei la possibilità di fare classifica, visto che a cronometro vado be­ne e il recupero è il mio forte. Pri­ma di risponderti devo provarne uno per dirti a cosa ambisco. In genere però sono uno che sogna in grande!».

da tuttoBICI di giugno
a firma di Di Giulia De Maio

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