| 04/06/2012 | 09:35 Presentati. «Sono nato a Bera nei Paesi Baschi l’11 ottobre di 37 anni fa. Oggi vivo a Fuenterrabbìa con mia moglie Noemi e nostra figlia Maddì di 3 anni. Pedalo da più di 30 anni e sono laureato ISEF. Sono un tipo tranquillo, perdo la calma solo davanti alle ingiustizie». Come hai cominciato a pedalare? «Il secondo giorno di asilo, a 3 anni, chiesi a mia mamma di andare a scuola in bici. Il paese in cui sono cresciuto è molto tranquillo, all’epoca non c’era traffico e mamma acconsentì. Non avevo una bici mia, usai quella di mia sorella». Ricordi la tua prima bici da corsa? «Benissimo! Me la regalarono a 6 anni, una Alzania blu con tre rapporti. Purtroppo è la stessa bici con cui a 7 anni sono finito sotto una macchina. Fu un brutto incidente: mi ruppi la testa del femore e nei sei mesi passati in ospedale venivo assitito da una psicologa perché, per l’operazione, avrei dovuto avere una gamba più corta dell’altra di 2-3 cm. Grazie alla riabilitazione invece la differenza è stata limitata a 9 mm quindi non zoppico e posso addirittura gareggiare ad alti livelli, anche se quando pedalo muovo le spalle e la testa più dei miei colleghi». Se oggi tiri le somme... «In genere preferisco guardare avanti, più che indietro. Non ho grandi rimpianti perché ho sempre scelto la strada che mi sembrava la migliore. Devo ringraziare il ciclismo perché tutto quello che ho arriva da lui, a partire dall’amore visto che ho conosciuto mia moglie a una gara di dilettanti in cui era giudice di gara. Dopo due anni in Spagna alla Ibanesto ho sempre corso per squadre italiane: sei anni alla Lampre, da due sono con Fabio Bordonali». Che legame hai con l’Italia? «È la mia seconda patria, l’unico posto al mondo oltre ai Paesi Baschi in cui mi sento a casa. Ormai mi sento un po’ italiano: ho tanti amici, conosco la lingua, sono immerso nella cultura...». Com’è la vita del gregario? «Appagante. Sono stato fortunato ad aver capito presto il mio ruolo e sono soddisfatto per come ho svolto e sto svolgendo il mio lavoro. Nella massima categoria ho vinto solo una gara (tappa alla Parigi-Nizza nel 2006, ndr), ma ho sempre sentito mie le vittorie dei miei capitani. Arrivare con le braccia al cielo è bello, ma non è l’unica cosa che conta». Qual è stato il momento più emozionante della tua carriera? «L’arrivo della quarta tappa del Giro dei Paesi Baschi di quest’anno a Ibardin, la mia città natale. Ho baciato l’asfalto del traguardo posto sulla salita su cui sono cresciuto e in cima alla quale da bambino vedevo arrivare la corsa perché gareggiare in casa, acclamato dai tuoi tifosi e dalle persone che ti vogliono bene è un’emozione indescrivibile, per me ha un sapore più intenso della vittoria. Custodirò quella giornata alla pari degli altri sogni realizzati: arrivare a Parigi, a Milano e sul Mortirolo». Quando non sei in bici, come trascorri il tempo? «Di tempo libero ne ho davvero poco visto che sono direttore del giornale PLD Pro e collaboro con la rivista Pedalièr. Tutti i giorni mi sveglio alle 6 del mattino e fino alle 8, approfittando del fatto che Maddì è ancora nel mondo dei sogni, lavoro al computer scegliendo articoli e foto, poi esco ad allenarmi. Riesco a far tutto, ma alle 10 di sera crollo a letto (sorride, ndr). D’inverno mi piace praticare diversi sport, ma durante il periodo delle gare non coltivo particolari hobby: mi godo la vita in famiglia e mi rilasso leggendo dei libri, anche in italiano. Quelli di Mauro Corona li ho letti tutti!». Come ti trovi alla Utensilnord Named? «Bene, attorniato da tanti ragazzi che hanno voglia di crescere. Sono il vecchietto del gruppo, il mio compito è guidarli e dar loro qualche consiglio. Contemporaneamente mi ritaglio i miei spazi e cerco di togliermi qualche altra soddisfazione». Quali i tuoi obiettivi per il 2012? «Con il Giro del Trentino si è conclusa la mia prima parte di stagione, ora un breve stacco e poi spero di ottenere con i miei compagni risultati da primavera in poi». Tante stagioni, quali motivazioni? «Negli ultimi anni i sacrifici che comporta questo sport mi pesano meno rispetto a quando ero un ragazzino. Così penso a godermi tutto ciò che quando smetterò sono sicuro mi mancherà». Prima di chiudere... «Vorrei correre la Parigi-Roubaix! Ho partecipato ai tre grandi giri e alle classiche più importanti, ho conquistato una vittoria e tagliato il traguardo di Ibardin. Nel cassetto è rimasto questo sogno». Cosa ti aspetti per il tuo futuro? «Fisicamente sto ancora bene, da sempre ho in testa di smettere a 40 anni, quindi... Poi spero di rimanere legato al mondo del ciclismo, la mia vita. Fino a qualche anno fa non l’avrei mai detto, ma ora inizio a vedermi in ammiraglia. Grazie ai miei studi già alleno qualche ragazzo, chissà che un giorno non diventi direttore sportivo».
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