STATO DI CRISI

| 15/10/2011 | 10:06
Direi che non è più il caso di attendere. Abbiamo visto abbastanza. Non corriamo il rischio d’essere superficiali e precipitosi. Sì, possiamo tirare una conclusione molto giustificata e molto ponderata. È il momento di dichiarare ufficialmente aperto lo stato di crisi.

Siamo in crisi di risultati, nel senso che non vinciamo una cosa vera da epoche immemorabili, e siamo in crisi di interesse. Sicuramente la seconda è anche effetto della prima: ma non solo. Persino in caso di buoni risultati, è sempre più problematico ottenere attenzione dai media. I media sentono che il grande pubblico non è più così interessato. Resiste lo zoccolo duro, che il Cielo lo conservi a lungo, ma fuori dalla cerchia di noi quattro fanatici non si sente più nessuno parlare di ciclismo. Questa la verità. Inutile poi chiederci come gonzi fatalisti perché mai sponsor e magnati siano sempre più recalcitranti al nostro richiamo…

Facciamoci caso: nell’ultimo periodo, il ciclismo è riuscito a catturare interesse, a far parlare di sé, con ripieghi che non c’entrano nulla con il ciclismo. For­se io sono un po’ rimba, ma mi pare che l’ultimo clamore l’abbiamo rilevato con il Giro di Padania, ma non certo per la corsa in sé, che era ben poca cosa. Quanto al resto, silenzio totale e disinteresse generale. E non voglio parlare del Mondiale, perché quello è un disinteresse che ci siamo andati a cercare con il lanternino, con lucida determinazione suicida, organizzando una corsa - già di per sé balorda per collocazione autunnale e per ambiguità del risultato - mo­notonamente riservata agli sprinter. Sappiamo cosa questa scelta internazionale abbia significato per noi: inutile star qui a infierire, ma è dura in un’Italia disinteressata pietire interesse con la nazionale di Bennati e Modolo, gran bravi ragazzi, niente da dire, però pressoché ignoti al di fuori della loro cerchia familiare.

Mettiamocelo in testa: la concorrenza degli altri sport, ma persino delle altre occasioni di intrattenimento, dal cinema alla musica, è spietata. Ormai l’offerta è gigantesca. Chi non tiene alto il suo appeal, viene bellamente ignorato. Piccolo esempio: persino l’Inter campione, quando ha giocato contro ignoti e impronunciabili turchi in Champions Lea­gue, si è trovata attorno un gelido deserto. E allora cosa pretenderemmo noi, di strappare attenzione e passione con questa pochezza?

Sono pesantemente incarognito, nel dire queste cose. Non mi piace il disfattismo per il disfattismo. Mi piacerebbe parlare di un vero rinascimento, pa­gherei anche qualcosa di tasca mia. Ma purtroppo non è questa la situazione. E prima ne prendiamo atto, prima possiamo inventarci qualcosa per uscirne. Certo, abbiamo sempre davanti un presidente federale ineffabile e rassicurante, quel Renato Di Rocco che ogni volta tranquillizza la nazione citando i dati dei tesseramenti in aumento (vai a sapere, n.d.r.). Ma avere un “presidens ridens” non ci pone al riparo dalla grandine. La grandine c’è e la si sente tutta.

Ovvio, mica è tutta colpa del popolare Di Rocco. Ci mancherebbe altro. Il primo, ve­ro problema nostro è la mancanza del campionissimo, che in qualunque sport individuale determina i successi d’ascolto. Quanto questo sia vero lo comprendiamo ogni vol­ta che un giovane Nibali riesce a in­ventarsi qualcosa di speciale: im­provvisamente, sembra che la luce si riaccenda. Ma purtroppo quest’anno Nibali non è esploso come tutti ci aspettavamo (diamine: si fa l’anno prossimo, ce lo deve), e altro non c’è rimasto. Basso, lo dico ad­dolorato, è da voto 2: un campione come lui, che punta la stagione e la faccia sul Tour, non può venire a rifilarci il Giro di Padania, c’è un limite a tutto. Cunego si è battuto bene, Scarponi pure, ma neppure loro sono riusciti a strappare un’apertura di Tg con l’impresa giusta. Niente, da troppo tempo siamo sottotono e sottotraccia, e l’effetto pa­lude è purtroppo inevitabile.

Eppure, anche in assenza o in attesa del campionissimo, qualcosa di più e di meglio potremmo avere. A livello di pratica popolare, il ciclismo è l’unico sport che viva un colossale boom. Chi gi­ra la domenica per località amene, anche soltanto in auto, sa che cosa intenda dire: noi ciclisti ormai sbuchiamo da tutte le parti. Sì, assistiamo a questo mistero incredibile: gli italiani praticano sempre più uno sport che guardano sempre meno. Qualcuno sa dirmi perché?

Io ho una mia idea. Se il “presidens ridens” e i suoi uomini, anziché trastullarsi nei loro simposi pieni di reducismo e di re­torica, queste stramaledette riunioni che hanno addosso due dita di muffa e tre di polvere, dove sempre gli stessi se la suonano e se la cantano rimembrando i tempi eroici di Coppi e Bartali, se questa brava gente una volta alzasse la testa dal­l’aragosta e dalle nostalgie potrebbe notare che per esempio alla maratona delle Dolomiti c’è un incredibile afflusso di manager, capitani d’industria, finanzieri, tycoon, attori, registi, politici, eccetera eccetera, tut­ti infoiati in una passione da ultrà. Chiedo, mi chiedo: è mai possibile che questi personaggi così au­torevoli, danarosi e influenti, chiaramente convinti della bicicletta come nuovo mezzo di tendenza, non compaiano mai - che so - alla Milano-Sanremo o al Giro d’Italia? Ma è possibile che gente tanto preziosa, per la passione e anche per il futuribile impegno diretto nel no­stro ambiente, nemmeno venga in­vitata, contattata, arpionata? Ma è possibile che alle nostre corse, le ul­time rimaste, dobbiamo sempre ri­vedere le solite quattro facce tristi, tutte arciconvinte di contare moltissimo, e quando ci scappa il colpo di vita al massimo portiamo sulla li­nea di partenza e sul palco tv qualche subrettina un po’ baldracca?

Sono solo domande. Se mi provocano, ne posso sparare a raffica. Ad esempio: perché abbiamo abolito le punzonature, unico momento che portava i campioni in mezzo al popolo? Perché la federazione si butta a pesce, con smodato entusiasmo, sul neonato Giro di Padania, mentre si volta dall’altra parte quando le nostre corse più gloriose ad una ad una schiattano penosamente? Perchè non c’è un cane, in federazione, capace di prendersi la briga d’andare personalmente dai direttori di grandi giornali e grandi televisioni a spiegare che il ciclismo non è morto con Coppi e Bartali, come credono, ma esiste ancora? Cos’è, siamo così orgogliosi da non poterci permettere di chiedere aiuto?

Dio santo, volevo scrivere una rubrica e mi ritrovo a firmare un lenzuolo degno d’un convegno invernale. Qualcuno penserà che lo faccio perché ai convegni nessuno m’invita. Ma non è esattamente così. Il problema è che quando guardo il ciclismo di oggi mi si chiude una vena e mi parte la rabbia. Il presidente si fa prendere dal riso, io mi faccio prendere la mano. C’è tipo e tipo.


di Cristiano Gatti
da tuttoBICI di ottobre, in edicola
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COMMENTI
15 ottobre 2011 10:42 froome
Purtroppo quello che scrive Gatti è la fotografia della realtà. Il problema è come saltarci fuori, perchè è vero che il presidente federale vale zero, ma mi pare che dietro di lui non ci sia un gran che.

puntiamo sui giovani
15 ottobre 2011 11:16 turribikecenter
il settore giovanile sta scomparendo.
sempre meno ragazzi si approcciano al ciclismo e ci sono sempre meno corse.
molti soldi finiscono nelle casse dei team amatoriali che come tali dovrebbero autofinanziarsi.
dirottimamo questi sponsor nel ciclismo vero e forse fra qualche anno avremmo un campione vero capace di esaltare le folle.

finchè...
15 ottobre 2011 11:48 dinross
fintanto chè avremo una dirigenza cosi,per il ciclismo non c'è speranza...

Tutto vero
15 ottobre 2011 11:51 TorrazzaForever
Ribadisco il mio convincimento. Di Rocco con Mc Quaid o Verbruggen non ragiona da primus inter pares, ma ancora da funzionario che risponde "si, buana" al politico.
Il movimento ha bisogno di un faro, di una scossa, non di un impiegato.
Sul Padania è vero, bravo Davico, ma tutti gli altri che tirano la carretta da anni e quest'anno la ripropongono con la crisi, cosa sono? Dei martiri?
Anche la vicenda Bettini è stata gestita penosamente. La tragedia di Ballerini ha aperto un'autostrada a Bettini, che ha buttato tutte alle ortiche. Ha avuto una grande occasione, ma ha toppato su tutti i fronti. A questo punto darei credibilità a Salvoldi, forse meno "fashion", ma più concreto, vincente e meno chiacchierato.

Campioni
15 ottobre 2011 12:23 insella
In Italia siamo imbattibili a distruggere veri e potenziali Campioni,Basti pensare
a Petacchi che poteva giocarsi il mondiale.Poi sicuramente non possiamo impazzire
per le prestazioni dei vari Bennati e Nibali.

E' giusto
15 ottobre 2011 12:24 LorenzoFiuzzi
Avevamo il migliore, lo abbiamo fatto morire nella solitudine. In Spagna e Francia non sarebbe mai successo. Siamo un popolo miserabile. Declassati anche nel ciclismo. Giusto così.

CARO GATTI....
15 ottobre 2011 13:11 trame
CARO SIGgatti.. io ho trovato questo articolo un pò melanconico e un pò inrispettoso nei confronti dei corridori in generale, vede voi dico voi giornalisti cavalcate a dovere solo onori mai oneri voi si che vincete sempre....troppo facile...

bingo !
15 ottobre 2011 16:24 nikko
bbiinnggoooo !!!
bene bravo.........................Gatti

il muto che urla ai sordi
15 ottobre 2011 18:03 lulone
Caro Sig. Gatti,
premetto che io sono un appassionato di calcio e non di ciclismo.
Ma perchè scrive questo articolo nel sito e sul giornale letto solo ed esclusivamente da appassionati di ciclismo?Perchè non Si compra una pagina di un quotidiano nazional popolare come "il corriere della sera" o addirittura "la gazzetta dello sport",dato la matrice sportiva della sua lettera?
Beh Le svelo un segreto:gli appassionati di ciclismo sanno già queste cose!!!
Io credo che Lei sia a conoscenza che i media siano manovrati dai presidenti di calcio,i quali non possono permettersi di perdere sponsor di un certo calibro che potrebbero passare a finanziare altri sport.
E allora gridiamolo che il ciclismo è BOICOTTATO!!!
Che questo calcio che è diventato politico sta soffocando il mondo...
Perchè a un appassionato come me fa schifo sapere che i giocatori si vendono le partite rubando soldi alla gente onesta!!
Io credo il ciclismo debba fare leva su questo;ma fino a quando la lotta sarà fatta solo all'interno del mondo del ciclismo perderete tutte le battaglie!!!
....a meno che i vertici del ciclismo siano manovrati anch'essi come i media,allora si spiegherebbe tutto!!!!
grazie.

Gatti,cambia sport!
15 ottobre 2011 23:22 pickett
Se non mi sbaglio questo Gatti era quello che .circa un anno fa auspicava che delle grandi classiche come la Roubaix venissero trasmessi dalla RAI solo gli ultimi 40 km!E ora si lamenta della scarsa considerazione dei media...Si dia al calcio!

Più di un responsabile.
15 ottobre 2011 23:24 valentissimo
I problemi del ciclismo di oggi hanno origini un po vecchiotte e credo che vadano distribuiti in modo paritario tra gli ultimi due presidenti, anche de Di Rocco, per il bene di questo sport dovrebbe passare la mano, visto che agisce a colpi di spot solo per salvare la poltrona!!!

Bravo
15 ottobre 2011 23:32 motostaffetta
Bellissimo articolo.
Scritto con il cuore.
Condivido buona parte delle tesi espresse.
Ci vorrebbero dirigenti con la mente del signor Gatti.

è così
16 ottobre 2011 11:04 lupin3
Dopo aver distrutto Pantani, il ciclismo italiano è il minimo che si merita, di sparire. Per quanto riguarda il boom del ciclismo amatoriale che non ha il minimo effetto positivo sul ciclismo agonistico giovanile, anzi, vi drena potenziali risorse, è solo la spia di una società individualista e malata

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